giovedì 19 novembre 2020

La gestione organizzativa del Covid-19 (I): le carenze della medicina territoriale

Si sente dire che la medicina del territorio si è dimostrata impreparata a fronteggiare la pandemia, che i MMG non fanno abbastanza sul fronte del Coronavirus, che la medicina territoriale è arretrata e sostanzialmente fallimentare. Questa vulgata viene ripetuta con enfasi retorica da settimane sui media, tanto da aver fatto breccia presso l'opinione pubblica ed essere diventata atto di accusa pubblico verso la MG. Le cose stanno proprio così? In realtà da una indagine sociologica pubblicata a giugno 2020 sembra emergere un'opinione degli italiani per nulla critica verso la "sanità di base", seppur con variegate sfumature regionali.

https://inapp.org/it/inapp-comunica/sala-stampa/comunicati-stampa/fase-3-inapp-“6-italiani-su-10-promuovono-ssn-ora-rilanciare-i-servizi-territoriali”

Per quanto riguarda le presunte carenze della medicina del territorio è bene ricordare alcuni dati di fatto, che sembrano sfuggire ai più. Dal mese di marzo i MMG hanno continuato a seguire i malati cronici in studio ed in assistenza domiciliare, rispondono giornalmente a decine di telefonate della gente spaventata e disorientata, dando informazioni, appuntamenti, prescrivendo farmaci ed accertamenti mentre per mesi è stato praticamente impossibile comunicare con molte strutture sanitarie; inoltre poliambulatori e distretti sanitari sono rimasti chiuse al pubblico, mentre ricoveri, visite specialistiche ed accertamenti diagnostici già programmati sono stati rinviati sine die, anche nei mesi estivi quando il coronavirus era in letargo. 

Peraltro il MMG fino a poche settimane fa aveva il mandato di evitare i contatti con i pazienti sospetti o affetti, onde evitare ciò che è accaduto in primavera quando quasi un centinaio di colleghi sono stati contagiati e non sono più tra noi. Basta fare quattro conti per calcolare quanto tempo e impegno serve per diagnosticare, denunciare, prescrivere farmaci o accertamenti, mantenere i contatti, monitorare, certificare ed ricontrollare al termine della quarantena con i tamponi tutte le centinaia di migliaia di nuovi casi che settimanalmente si sono aggiunti dalla meta di ottobre fino alla metà di dicembre.

Mediamente ogni nuovo caso di Covid viene gestito con questi tempi e modi:

Per seguire tutti questi malati a domicilio i medici di famiglia dovrebbero distogliere tempo ed energia indirizzate alle cure di tutti gli assistiti con problematiche croniche ed acute, che continuano ad afferenti agli studi sul territorio rimasti sempre aperti e disponibili, per focalizzare il proprio intervento esclusivamente sulla gestione dell'emergenza infettiva. Peraltro la terapia e la gestione domiciliare dei pazienti Covid-19 più impegnativi dal mese di marzo è garantita dalle USCA, appositamente create e formate per queste specifiche funzioni, dotate di idonei DPI e formate per tali compiti, compresi i tamponi a domicilio e le ecografie polmonari. Con le USCA si è scelta la strada della "specializzazione" funzionale per differenziazione dei compiti professionali. La risposta organizzativa delle USCA è di matrice ospedaliera, estranea alla cultura e alle pratiche territoriale, perchè risponde alle nuove esigenze epidemiche con una gestione di tipo nosocomiale. 

A nessuno viene in mente, ad esempio, di chiedere ai colleghi della USCA di gestire anche gli altri  problemi di salute dei pazienti polipatologici che visitano a domicilio: il loro mandato è chiaro e ben delimitato! Alla MG invece si chiede di fare l'uno e l'altro, ovvero continuare seguire tutti i pazienti acuti e cronici in studio come sempre, con visite ambulatoriali e domiciliari, gestire diagnosi e contatti telefonici con i sospetti covid, con tutte le annesse procedure informatiche e certificative, visitare e gestire i pazienti Covid a domicilio, fare tamponi rapidi e le vaccinanzioni etc.. Il tutto con le stesse risorse organizzative ed umane che già prima della pandemia erano deficitarie, in particolare in alcuni contesti socioeconomici.

In primavera tutte le risorse interne all'ospedale sono state deviate sulla gestione dell'emergenza pandemica, ad esempio spostando impersonale medico ed infermieristico nei reparti di medicina e pneumologia riconvertiti a Covid, con l'effetto di paralizzare di fatto le altre attività assistenziali rivolte all'ambiente esterno al nosocomio, dalle visite specialistiche agli accertamenti diagnostici, dagli interventi chirurgici alle prestazioni in day-hospital etc... L'ospedale si rinchiuso in se stesso, ha eretto nuove barriere per contenere l'influenza ambientale, si è protetto dall'incertezza e dalle perturbazioni provenienti dalla società, ha reindirizzato tutte le risorse umane, infrastrutturali e tecnologiche per preservare il nucleo tecnologico e specialistico dal subdolo assalto del virus, che si insinuava in ogni stanza, in ogni servizio. Cosa sarebbe accaduto sul territorio se le cure primarie avessero adottato la stessa soluzione organizzativa? A nessuno ovviamente viene in mente di biasimare internisti, immunologi e pneumologici perchè hanno tralasciato le attività ambulatoriali privilegiando il Covid-19 e abbandonando a loro stessi i pazienti!

Questa sorta di riflesso condizionato manageriale è stato definito negli sessanta da J.D. Thompson che per primo ha descritto l'obiettivo primario della gestione razionale delle organizzazioni complesse, tecnologicamente differenziate e specializzate (si veda il PS): la difesa del proprio nucleo tecnico dalle influenze perturbanti dell'ambiente, compito attribuito alle strutture di confine che hanno relazioni con l'esterno e possono svolgere la funzione di filtro all'accesso, come ad esempio il PS. Nel nucleo tecnico si può esprimere la massima efficienza e la razionalità dei processi seriali ad alta densità tecnologica, in quanto sistema chiuso e "sigillato" rispetto all'imprevedibilità e all'incertezza provenienti dall'ambiente.

In sostanza il coronavirus ha avuto un impatto destabilizzante sulle strutture a più elevata concentrazione tecno-specialistica, che si sono dovute riconvertire e ristrutturare in poche settimane per fare fronte all'emergenza infettiva, preservando il nucleo tecnico delle Terapie Intensive dalla saturazione per l' "assedio" del Covid-19. La chiusura ha avuto una duplice valenza: prima di tutto per evitare il più possibile l'accesso del virus alla struttura (percorsi covid dedicati in PS, intere strutture covid-free etc..) e secondariamente per proteggere il più possibile le TI dalla saturazione (aree sub-intensive, riconversione dei reparti di medicina e pneumologia etc.). Insomma il modello di Thompson della chiusura a riccio è scattato in modo automatico e spontaneo in tutte le strutture per far fronte all'emergenza tagliando i ponti con l'ambiente.

Al contrario la medicina del territorio più distribuita, meno organizzate e meno "tecnologica" ha potuto continuare la propria attività clinico-assistenziale rivolta a 360 gradi alle patologie acute e croniche sul territorio, fronteggiando nel contempo a distanza anche i casi di Covid-19 paucisintomatici e meno impegnati sul piano respiratorio, pur con i propri limitati mezzi diagnostico-terapeutici ed organizzativi. Per rispondere ancor più efficacemente al Covid-19 la MG doveva costituirsi a "nucleo tecnico" infettivologico territoriale, erigendo una barriera invalicabile per tutte le altre patologie che afferiscono normalmente agli ambulatori, per dedicarsi alla sola pandemia sul modello delle USCA. Si provi ad immaginare gli effetti di una simile chiusura degli studi dei MMG, così come sono stati inaccessibili al pubblico i poliambulatori e servizi diagnostici ospedalieri e territoriali. 

Invece grazie alle sue caratteristiche organizzative (distribuzione a rete non gerarchica, frammentazione territoriale, approccio informale e personalizzato, scarsa dotazione tecnologica e di personale, compensata da flessibilità gestionale etc..) la MG ha continuato ad operare, seppur regolamentando l'acceso con gli appuntamenti onde evitare affollamento delle sale d'attesa. Certamente si poteva fare di più anche sul territorio, specie se le cure primarie fossero state supportate da un'organizzazione distrettuale articolata e solida e non lasciate a se stesse da tempo, senza una governance e adeguati investimenti come dimostra la decennale vacanza contrattuale. 

Sempre da una decina di anni si attende in Lombardia l’applicazione della Riforma Balduzzi, che doveva incentivare le aggregazioni dei medici di MG o AFT e le strutture multiprofessionali della medicina territoriali. In compenso nella nostra regione la rete dei distretti sanitari è stata dismessa all’inizio del secolo, in nome della concorrenza tra aziende e gestori sul mercato sanitario, che invece potevano costituire assieme alle AFT un valido supporto organizzativo per far fronte alla pandemia, coordinare la rete territoriale facendone emergere risorse e potenzialità. Di questo vuoto organizzativo stiamo pagando tutti, per un verso o per un'altro, le conseguenze.

PS. Principali proposizioni del modello di Thompson (da l' "Azione organizzativa", Ed Isedi)

  • Secondo razionalità, le organizzazioni cercano di chiudere ermeticamente i loro nuclei tecnologici alle influenze ambientali
  • Secondo razionalità, le organizzazioni cercano di costituire protezioni per ridurre l'impatto delle influenze ambientali circondando i loro nuclei tecnici con componenti di input e  di output,
  • Secondo razionalità, le organizzazioni cercano di anticipare e di adattarsi a quei mutamenti ambientali che non si possono evitare o attenuare;
  • Quando protezione, attenuazione e previsione non salvaguardano i loro nuclei tecnici dalle fluttuazioni ambientali, le organizzazioni sottoposte a norme di razionalità ricorrono al razionamento. Si tratta di espedienti di manovra che forniscono all'organizzazione una certa capacità di autoregolazione nonostante l'interdipendenza con l'ambiente. 

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