sabato 26 gennaio 2019

La difficile gestione dei sintomi aspecifici in medicina generale

Una recente sentenza della Cassazione su un caso controverso (si veda il P.S.) e discussioni in rete sulle richieste di accertamenti diagnostici hanno fatto emergere il problema della gestione dei sintomi aspecifici in MG. Bisogna preliminarmente accordarsi sul significato della coppia specifico/aspecifico, che può avere due accezioni: statistica, nel senso della specificità probabilistica del sintomo in analogia con la sensibilità/specificità del test diagnostico, e per così dire “anatomica”, nel senso della più o meno chiara localizzazione di un sintomo a livello di un organo, sistema o apparato (a questo significato fanno riferimento le successive considerazioni).

Nella pratica, specie sul territorio, si possono presentare una gamma di situazioni in cui sintomi soggettivi si possono accompagnare o meno a segni clinici obiettivabili da parte del medico. Il continuum dei casi pratici è delimitato da due estremi: da un lato il singolo sintomo soggettivo isolato, ovvero senza alcun fattore di rischio anamnestico o segno clinico associato, e dall’altro una combinazione di più sintomi, segni obiettivi e fattori di rischio anamnestici, tra loro coerenti e convergenti verso una certa diagnosi, spesso “evidente”. Ai due estremi del continuum specifico/aspecifico troviamo quindi situazioni di massima e minima incertezza diagnostica. Nel senso che l’incertezza è massima quando l’informazione è ridotta all’osso - come nel caso del sintomo aspecifico isolato – mentre è minima quando l'informazione è elevata per il combinato disposto di sintomi e segni clinici specifici.

Tra i due estremi del continuum, da un lato la massima aspecificità e all’opposto una chiara organo-specificità, si collocano la maggioranza delle presentazioni cliniche caratterizzate da gradi intermedi di combinazione tra informazioni soggettive (sintomi non obiettivabili, come il dolore) segni fisici rilevati all’esame semiologico del paziente (ad esempio la megalia di un organo) a cui si possono associare informazioni anamnestiche rilevanti e gli esiti degli accertamenti di laboratorio, di immaging etc.. per una conferma o smentita dell’ipotesi diagnostica avanzata.

Gli esempi pratici dei due estremi sono presto fatti: da un lato abbiamo tutti i sintomi vaghi, indistinti e isolati, ovvero senza alcun riscontro obiettivo, tipici della medicina del territorio (astenia, malessere generale, prurito, debolezza, aumento/calo di peso/appetito etc…) mentre dall’altro malattie febbrili batteriche acute, come tonsilliti od otiti di agevole diagnosi ispettiva. In una posizione mediana vi sono casi con segni e sintomi di localizzazione d’organo, come disturbi dispeptico-dolorosi o tumefazioni articolari, che però non sono sufficienti per porre una diagnosi di certezza. In linea di massima più il sintomo è organo-specifico più si restringe il cerchio delle ipotesi diagnostiche, fino al caso estremo del sintomo patognomonico, che equivale ad una diagnosi di certezza immediata; purtroppo l'idea che si potessero avere sintomi patognomonici per ogni malattia si è rivelata con il tempo e con l’irruzione della tecnologia illusoria.

In questo processo di indagine viene adottato il metodo bayesiana, seppur implicito o grossolano, per ridurre l’incertezza e aumentare la probabilità soggettiva di un’ipotesi a scapito delle altre, grazie all’acquisizione di nuove informazioni. Se le informazioni raccolte con l'esame obiettivo, dopo la selezione del sintomo chiave o la definizione del problema, hanno un peso probabilistico "forte" allora il sospetto diagnostico sarà di fatto confermato, nel senso che di fronte ad un sintomo ben definito associato ad un segno clinico specifico il ventaglio di ipotesi si restringe drasticamente in modo "naturale", fino alla prevalenza di una singola ipotesi sulle altre.

In altri termini la probabilità a priori di una certa malattia viene incrementata dalle cosiddette probabilità condizionali (nel senso della sensibilità e specificità del sintomo + segno clinico) fino a superare una certa soglia, che fa scattare un''ipotesi diagnostica, più accreditata delle concorrenti. Quando i sintomi e i segni clinici sono particolarmente evidenti e inequivoci allora scatta automaticamente la diagnosi per pattern recognition, come nel caso già evocato della tonsillite acuta batterica o di un’eruzione cutanea da Herpes Zoster. 

Si tratta delle diagnosi “a prima vista” o per pattern recognition frutto della semplice osservazione dell’organo interessato, come accade spesso nelle patologie dermatologiche, del cavo orale o ORL in cui una probabilità soggettiva elevata consente di passare direttamente alla terapia senza bisogno della conferma diagnostica da parte del test. In altri casi il sintomo organo-specifico l’ipotesi dovrà essere messo alla prova di un test diagnostico ad elevata sensibilità/specificità per la confermata/smentita definitivamente dell’ipotesi stessa da parte dall'esito del test diagnostico.

Giova ricordare che statisticamente il 20-25% dei sintomi lamentati da pazienti ambulatoriali restano orfani di una chiara diagnosi, anche dopo ripetuti accertamenti diagnostici o consulenze specialistiche. Vengono definiti MUS (Medically Unexplaned Symptoms) e per buona parte si tratta di disturbi aspecifici, vaghi, atipici, indistinti e sfuggenti che mettono a dura prova i medici pratici (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5297117/)

In queste situazioni non può funzionare il pattern recognition e quindi la ricerca di prove a favore dell'una o dell'altra diagnosi dovrà svolgersi ad ampio spettro clinico - ad esempio con una batteria di esami, come si fa in caso di sospetto astenia, febbre o prurito - per rafforzarne una a scapito delle altre. Si deve cioè ricorrere al metodo ipotetico-deduttivo o meglio ipotetico-selettivo per via del gran numero di ipotesi potenzialmente generate dal sintomo aspecifico (ad esempio quelle relative all’astenia sono decine) e quindi fonte di grande incertezza diagnostico-differenziale e decisionale. Per quale tra le tante ipotesi correlabili al sintomo lamentato si dovrà optare?

In tutti i sintomi aspecifici si apre un notevole ventaglio di ipotesi diagnostiche, che devono essere filtrate e vagliate sia con un attento esame obiettivo sia, soprattutto, con accertamenti tesi ad acquisire quelle informazioni che non sono state ricavate nelle fasi anamnestiche e con l’esame clinico; spesso gli esami vengono prescritti più con l’intento di escludere perlomeno le ipotesi più frequenti/gravi dal punto di vista fisiopatologico ed epidemiologico, senza privilegiare una sola ipotesi, che non con l'obiettivo di confermare una congettura diagnostica. 


Come afferma il filosofo Dario Antiseri “una mente pullulante di ipotesi riesce a cogliere, a rilevare, fatti che per altre menti povere di ipotesi sarebbero insignificanti o addirittura ignoti” da cui deriva "uno dei normali comandi della metodologia che, trascurato, può portare - come già vide Murri - a gravi errori. Questo comando suona; davanti ad un problema, fai proliferare le tue ipotesi (principio della proliferazione delle ipotesi)!"

In buona sostanza il processo può essere immaginato come una sorta di proliferazione e successiva “selezione naturale” di ipotesi diagnostiche concorrenti, al termine della quale sopravvive l'ipotesi più adatta a spiegare i sintomi e a dirimere i dubbi diagnostici. Più il sintomo è aspecifico e isolato più elevata è l’incertezza ed ampia sarà la gamma di ipotesi generate mentalmente e messe alla prova del processo di selezione per eliminazione progressiva fino alla diagnosi. Gli accertamenti diagnostici, in presenza di un sintomo aspecifico isolato, sono funzionali più che alla conferma alla cosiddetta diagnosi d’esclusione per confutazione progressiva di ipotesi.

In presenza di un sintomo specifico il quesito diagnostico nella richiesta di accertamenti sarà altrettanto specifico e dettagliato - ovvero sintomo+segno+sospetto ed eventuali comorbilità/rischi significativi - mentre nel sintomo aspecifico sarà il mero disturbo lamentato dal paziente, senza una chiara ipotesi esplicativa. Il primo procedimento diagnostico è la sintesi tra l'approccio induttivo bayesiano e quello ipotetico, mentre il secondo è squisitamente ipotetico-selettivo per eliminazione di ipotesi (nel canonico procedimento scientifico ipotetico-deduttivo si confrontano di solito due ipotesi teoriche alternative).

Spesso di fronte al sintomo aspecifico si deve attendere l'evolvere degli eventi che possono condurre ad un naturale chiarimento dei disturbi e ad una diagnosi grazie al miglioramento della specificità dei sintomi successivi: il tempo e/o le nuove informazioni sono il motore che fa progredire il processo diagnostico fino al suo esito finale (purtroppo nelle malattie rare questo processo è spesso assai lento fino a raggiungere gli anni).  In attesa che, grazie al fattore tempo, emergano altri "indizi", proprio come nella classica indagine giudiziaria, si devono prescrivere perlomeno alcuni esami di primo livello, con l'obiettivo di sfoltire la lista delle potenziali ipotesi.

Ad esempio di fronte ad un paziente con febbre o prurito isolato o astenia il numero di possibili malattie supera le decine, per cui non è possibile avanzare ipotesi diagnostiche specifiche; si dovrà quindi procedere per macro-ipotesi fisiopatologiche alternative (ad esempio origine infettiva, neoplastica, ematologica, immunologica e di origine sconosciuta) e quindi in prima battuta dovranno essere sondate tutte le piste “investigative”, con accertamenti a 360 gradi, per poi restringere via via il campo, ad esempio ad una ipotesi infettiva di natura virale, piuttosto che batterica o parassitaria.

Il processo di proliferazione/selezioni delle ipotesi utilizzato in presenza di sintomi aspecifici può essere assimilato al metodo scientifico descritto sinteticamente dal filosofo della scienza Karl Popper, in analogia all’evoluzione biologica: "Il progresso scientifico non consiste nell’accumulazione di osservazioni, ma bensì nell’eliminazione delle teorie meno buone e nella loro sostituzione con teorie migliori, in particolare con teorie che abbiano un contenuto maggiore. Si trattava quindi di una competizione fra teorie, una specie di lotta darwiniana per la sopravvivenza". Basta sostituire il termine "teoria" con "ipotesi diagnostica" e il gioco è fatto.

 P.S. Corte di cassazione - Sezione III civile - Ordinanza 30 novembre 2018 n. 30999

Nel 2001 M.A. decedette in seguito alle conseguenze della rottura di un aneurisma cerebrale. Nel 2002 la moglie ( C.A.) ed i due figli minori ( M.A. e G.) di M.A. convennero dinanzi al Tribunale di Nuoro Mu.Lu., F.R.M.N. e la AUSL n. (OMISSIS) di Nuoro, esponendo che:
  • il rispettivo marito e padre, M.A., il (OMISSIS) ebbe uno svenimento e, su indicazione del medico curante, si rivolse al pronto soccorso dell'ospedale (OMISSIS), dove venne visitato dalla dott.ssa F.R.M.N., la quale gli prescrisse unicamente una visita cardiologica ed il controllo della pressione sanguigna;
  • cinque giorni dopo ((OMISSIS)), sempre su indicazione del medico curante, a causa d'una preesistente cefalea M.A. tornò nel medesimo ospedale, dove venne visitato dalla dott.ssa Mu.Lu., la quale anche in questo caso non prescrisse particolari accertamenti diagnostici, limitandosi a prescrivere l'assunzione del farmaco Laroxil;
  • il (OMISSIS) M.A. venne colto da una emiparesi sinistra; questa volta, sempre nell'ospedale di (OMISSIS), venne sottoposto ad un esame TAC del cranio, che rivelò la presenza d'un ematoma intracranico, dovuto alla rottura d'un aneurisma:
  • sebbene il paziente, trasferito a (OMISSIS), fosse stato ivi sottoposto ad intervento chirurgico di evacuazione dell'ematoma e di chiusura della lesione che l'aveva provocato ("clippaggio" dell'aneurisma), M.A. decedette il (OMISSIS) a causa delle conseguenze del pregresso ematoma intracranico;
  • i sanitari dell'ospedale di (OMISSIS) furono imperiti e negligenti nella gestione del paziente, dal momento che non lo sottoposero tempestivamente a quegli esami (come una TAC del cranio) che avrebbero potuto rivelare la presenza dell'aneurisma, e consentire più tempestive e salvifiche cure.
Conclusione: la sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alla Corte d'appello di Cagliari, la quale nel riesaminare il gravame applicherà il seguente principio di diritto: tiene una condotta colposa il medico che, dinanzi a sintomi aspecifici, non prenda scrupolosamente in considerazione tutti i loro possibili significati, ma senza alcun approfondimento si limiti a far propria una sola tre le molteplici e non implausibili diagnosi.

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