Claudio Maria Maffei nel suo ultimo intervento a proposito del vivace dibattito tra favorevoli alla dipendenza del MMG e al mantenimento della convenzione propone di “uscire dalla trincea dello scontro tra Pro e No Dip per affrontare in campo aperto il tema trattandolo come un problema di sanità pubblica”. Di seguito provo a tracciare un bilancio dei costi/benefici della “cura” prescritta, con una proposta finale.
Il cambiamento radicale nella gestione della MG, propugnato da un variegato fronte riformatore, presuppone il superamento dell’assetto convenzionale con la combinazione di tre riforme: specializzazione universitaria, passaggio alla dipendenza e ristrutturazione della rete territoriale grazie al PNRR (Case ed ospedali di Comunità, COT e assistenza domiciliare) come sede di lavoro dei futuri MMG dipendenti.
I potenziali vantaggi del passaggio alla dipendenza sono così schematizzabili
- Maggiori tutele per il medico dipendente: malattia, ferie, tredicesima, maternità, assicurazioni, indennità di fine rapporto, retribuzione fissa oraria, fattori produttivi etc.
- Un più efficace “governo” del territorio, grazie al rapporto di subordinazione e al modello gerarchico aziendale, per favorirne l’integrazione con il resto del sistema pubblico
- Una garanzia di maggiore omogeneità delle prestazioni erogate, anche per il venire meno dei condizionamenti negativi della libera scelta del paziente (il “ricatto” della revoca del medico “usa e gatta”) che hanno reso il rapporto con gli assistiti instabile e in certi contesti ingovernabile.
I vantaggi della dipendenza in termini di diritti del lavoratore e come via di fuga dalla “dipendenza” verso pazienti “esigenti” e pretenziosi sono le principali motivazioni “interne” alla categoria. La disponibilità di adeguate sedi fisiche come Case e Ospedali di Comunità, sono una pre-condizione per l’instaurazione del rapporto di subordinazione per questioni logistiche, di economia di scala, costi fissi, esigenze di coordinamento, controllo e gestione amministrativa etc.
Sul versante opposto degli svantaggi della dipendenza troviamo
- La difficoltà delle CdC a garantire una diffusione capillare dei servizi sul territorio, attualmente assicurata dagli studi dei MMG singoli o in piccoli gruppi
- La riduzione dell’autonomia professionale e gestionale del medico convenzionato, correlata all’attuale rapporto di lavoro parasubordinato
- Il rischio del venir meno della personalizzazione, correlata alla libera scelta, per il prevalere del rapporto di subordinazione gerarchica e della fungibilità dei compiti assistenziali, specie in caso di retribuzione oraria al posto della quota capitaria
- problemi sul versante della sostenibilità finanziaria, normativa e logistica in caso di “assunzione” di tutti gli attuali MMG e concreti rischi di discontinuità del sistema previdenziale e della copertura pensionistica garantita dall’ENPAM.
Per alcune criticità economiche e logistiche appare poco probabile un immediato passaggio alla dipendenza di tutta la categoria a favore di una forma graduale riservata ai futuri MMG diplomati al Corso di specializzazione universitaria in sostituzione dell’attuale CFSMG; sulla soluzione incrementale converge l’ipotesi del doppio binario avanzata dalle regioni per il rinnovo dell’ACN 2019-2021 (convenzione snella, su due livelli contrattuali e all inclusive più assunzione graduale dei neo-MMG specialisti). I problemi sorgono non tanto per questioni astratte o di principio ma per condizioni e criticità non banali di una transizione ad alto rischio su vari fronti.
I benefici della dipendenza sono stati rimarcati nella lettera aperta al Ministro Speranza sottoscritta da oltre 150 giovani MMG. Appare però dubbia l’affermazione in base alla quale con la dipendenza le migliori tutele dei professionisti si tradurrebbero, in modo quasi automatico, in un miglioramento del servizio in quanto le “condizioni di lavoro sono fondamentali per la migliore assistenza ai Cittadini” a fronte di un regime convenzionato che "si riverbera pesantemente sulla qualità del servizio che può essere offerto ai Cittadini". Quasi che la deliberazione di un programma di policy coincidesse con la sua efficace messa in atto, come se una revisione del profilo giuridico si traducesse meccanicamente in risultati empirici a prescindere dall’impatto sul sistema organizzativo, socio-tecnico e professionale.
Insomma non è detto che maggiori tutele per i lavoratori si traducano in modo lineare e certo in miglioramento della qualità assistenziale, per due considerazioni contro-fattuali: in primo luogo numerosi segnali provenienti dal mondo della dipendenza ospedaliera descrivono una diffusa condizione di disagio e malessere tra i medici del SSN, non dissimile da quella vissuta sul territorio, che rende il rapporto di lavoro subordinato poco invidiabile. In secondo luogo la subordinazione gerarchica a prescindere dal contesto organizzativo territoriale non garantisce a priori l’omogeneità nella qualità del servizio e delle prestazioni, come dimostra l’ampia variabilità delle performances dei SSR regionali, della rete ospedaliera e delle Aziende sanitarie locali, storico tallone d’Achille del nostro sistema.
Lungi dall’essere una garanzia assoluta di efficacia quella della dipendenza è una soluzione semplice, "ontologica" ed essenzialistica, per problemi complessi e sfaccettati; essa si regge su una premessa cognitiva, data per scontata, in base al quale basta cambiare lo status giuridico per ottenere i risultati attesi, così come in altri ambiti è sufficiente modificare leggi, norme e procedure per indurre il cambiamento vincendo automaticamente resistenze e ostacoli di natura sociale, culturale ed organizzativa. Si tratta dell’imprinting giuridico-formale della nostra PA che antepone il rispetto delle direttive e delle regole alla definizione ex ante di progetti con obiettivi e programmi articolati, valutazioni in itinere ed ex post di risultati e performances, documentati da appropriati indicatori di processo, qualità ed esito.
A questa cornice teorico-pratica fa riferimento il PNRR nel momento in cui promuove la realizzazione di strutture fisiche che potrebbero innescare dal basso innovazioni pragmatiche, grazie all’input dei finanziamenti UE; il cambiamento è possibile se nella CdC verranno attivati processi clinico-assistenziali di qualità a prescindere dalla definizione giuridico-formale del rapporto di lavoro. A condizione però che cambi la cultura organizzativa, gli obiettivi e soprattutto le pratiche condivise, ad esempio con la diffusione del modello dei PDTA, per troppo tempo trascurati colpevolmente dai sindacati medici.
Al contrario un’eccessiva enfasi su soluzioni tanto radicali quanto ipotetiche, come la dipendenza, tende ad anteporre la natura del rapporto di lavoro rispetto alla competenza e agli strumenti per garantire appropriatezza degli esiti clinico-assistenziali, vale a dire accountability dei processi/esiti, continuità e integrazione ospedale-territorio, "obiettivi e percorsi assistenziali, strumenti di valutazione della qualità assistenziale, linee guida, audit", che era il mandato specifico affidato alle AFT dalla Balduzzi e l'obiettivo dell'indennità di Governo Clinico dell'ACN, entrambi disattesi da una politica sindacale miope e conservatrice.
Il confronto tra dipendenza e convenzionamento andrebbe trattato come un problema di sanità pubblica e ricondotto alla valutazione dei risultati empirici conseguiti da medici con diversi profili giuridici, che incorporano anche diversi rapporti interpersonali, relazioni economiche ed organizzative. Servirebbe insomma una sorta di trial pragmatico di confronto sugli esiti raggiunti nelle due coorti professionali riguardo ad uno specifico compito, come la presa in carico e la gestione della cronicità tramite PDTA. A questo proposito ci vengono in aiuto i recenti premi Nobel dell’Economia, conferiti pochi giorni fa a tre studiosi americani. La domanda è legittima: cosa c'entrano i Nobel dell'economia con il PNRR, la riforma della medicina del territorio e il passaggio alla dipendenza dei MMG?
David Card, Joshua D. Angrist e Guido W. Imbens sono stati premiati a Stoccolma per gli studi empirici sulle relazioni causali degli interventi in vari ambiti economici e sociali, dagli effetti dell'introduzione del salario minimo al ruolo dell'educazione sulle condizioni economiche; i loro studi sono accomunati dalla stessa metodologia, ovvero il confronto sul campo tra due popolazioni, simile ad un trial clinico controllato, condotto con sperimentazioni "naturali" e non in laboratorio per verificare se gli esiti nelle due coorti sono o meno favorevoli all’ipotesi scientifica testata: https://www.ilpost.it/2021/10/11/nobel-economia-2021/
Grazie alle loro indagini alcune domande sulle relazioni tra economia e società e sugli effetti di programmi riformatori possono trovare risposta tramite “esperimenti naturali”, cioè studi empirici basati sull’osservazione di ciò che accade nella vita reale, che restituiscono all'economia il profilo di scienza sociale. Mi rendo conto della difficoltà di un simile approccio, tuttavia la proposta di doppio binario avanzata dalle regioni – nuova convenzione “snella” all inclusive + passaggio alla dipendenza dei futuri MMG specializzati - potrebbe fornire il contesto “naturale” per un confronto empirico tra due gruppi di MMG, omogenei per caratteristiche professionali e formazione ad hoc ma distinti per il profilo giuridico del rapporto di lavoro. Un analogo metodo è stato utilizzato, ad esempio, da Agenas per la valutazione dei risultati della PiC lombarda. Certo, serviranno tempi lunghi ed un adeguato disegno “sperimentale” ma forse ne vale la pena per uscire dalla trita contrapposizione a priori tra due tifoserie.
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