venerdì 4 agosto 2023

"L'emergenza sanitaria ha cambiato le persone in peggio".

L’ultima settimana prima della pausa ferragostana si chiude con l’immagine del collega emiliano che al termine del suo ultimo giorno di lavoro e contornato dai suoi assistiti ha organizzato una sorta di rito di passaggio pubblico alla nuova condizione di pensionato, sfasciando con una mazza il telefono fisso usato negli ultimi anni per tenere i contatti con i suoi assistiti e divenuto una fonte di intollerabile stress. 

Il video è diventato “virale” (pandemico?) sui social per poi approdare alle pagine cartacee dei giornali nazionali e dei rispettivi siti, scatenando la prevedibile reazione degli hater che affollano il web, sempre pronti ad esternare i loro cupi umori alla giusta occasione: insulti, dileggio, scherno sono fioccati alternati ad un più misurato biasimo e alla riprovazione moralistica per l’indecoroso spettacolo.

Nelle varie interviste rilasciate il protagonista di questa dolorosa vicenda umana e professionale, dovuta a “a tanti problemi che hanno influito sulla mia condizione generale”, ha fornito la chiave di lettura del gesto pubblico, correlata al contesto dal quale è scaturito: "...diciamo che il peggio è arrivato col post Covid. La gente in generale è diventata più cattiva, più maleducata. Molti rapporti si sono incrinati, l'emergenza sanitaria ha cambiato le persone. In peggio. Pazienti sempre meno pazienti, il nostro lavoro non bastava mai".

Come si suol dire una immagine talvolta ha una carica simbolica e comunicativa superiore a dotte disquisizioni e riesce a bucare video, attirare attenzione, curiosità e far riflettere la gente a parte le reazioni violente di pancia. Quanto agli addetti ai lavori sono emerse due fazioni. I medici di MG naturalmente si sono identificati, hanno solidarizzato, empatizzato e compreso perfettamente il significato dell'atto plateale, certo poco elegante ed edificante, ma sintomatico di un disagio e di un travaglio condiviso.

Sulla opposta barricata, in linea di massima, si sono trovati gli esponenti della medicina di II livello che scandalizzati hanno espresso biasimo e attribuito significati disdicevoli al gesto “dadaista”, senza lo sforzo di spiegare e soprattutto comprendere le motivazioni profonde di quello che è stato rubricato comportamento indecoroso, sceneggiata ad uso del web o sintomo di disadattamento.

Il collega era sull'orlo del burn-out, per sua indiretta ammissione, come tanti medici ospedalieri che si dimettono dal PS. In situazioni di grande stress, come quelle di front office in cui gli operatori sanitari fanno da parafulmine delle carenze sistemiche, in PS come sul territorio, esistono due soluzioni comportamentali di matrice etologica: l'attacco o la fuga, flight o fight. Quando nessuna delle due è praticabile subentra spesso una sorta di paralisi con elevati livello di ansia e stress, fino a che si profila la via d'uscita dalla situazione intollerabile. E' ciò che probabilmente è accaduto al collega, prigioniero di un contesto incontrollabile che non riusciva più a gestire, per via di una disponibilità telefonica che alla lunga si è rivelata una prigione per i suoi effetti perversi: da qui il gesto luddistico sul dispositivo. Perchè è difficile tornare indietro, soprattutto in MG, quando si offre un servizio opzionale che ben presto diventa un atto dovuto ed abusato, per la legge ferrea dell'induzione della domanda nel contesto gratuito.

Sul piano interpretativo i commenti hanno fatto riferimento alla dicotomia tra descrizione dei dati di fatto e giudizi di valore. Alla seconda sono riconducibili le reazioni di censura dell'episodio per il suo carattere individuale di teatralità, lesivo dell'onorabilità e del decoro della categoria, offensivo verso i pazienti che hanno utilizzato il telefono fracassato, poco consono rispetto ai doveri di accoglienza, disponibilità e alla "missione" professionale, tanto da evocare un richiamo ordinistico.

Sul versante opposto del significato simbolico, nel tentativo di cogliere il carattere meta individuale della performance, i commenti ne hanno sottolineato la valenza collettiva, nel senso della punta emergente ed estrema di un profondo disagio, grido di dolore per un malessere diffuso lanciato da tempo dalla categoria, rimasto perlopiù inascoltato; per un triennio è andata in onda a puntate una campagna di denigrazione verso i medici fannulloni, che lavorano poco e male, che non rispondono al telefono etc.. da parte dei media e di altri attori pubblici che si è riverberata, da un lato, nel risentimento e negli umori rancorosi della gente e, dall’altro, nell’infastidita reazione degli addetti ai lavori per il pregiudizio arrecato all'immagine professionale. 

Eppure da anni si promuove empatia, comprensione, ascolto che evidentemente non valgono per i peones del territorio, abbandonati a se stessi per oltre un decennio e oggetto di un accanimento burocratico di cui ora pagano il prezzo in termini di stress personale e relazionale, in un contesto destabilizzante e senza via d'scita tranne il pensionamento di massa.

Il protagonista nelle diverse interviste ha fornto una chiave di lettura psicologica e sociale delle motivazioni alla base dell'atto fonoclastico: il Covid-19 sul territorio ha prodotto una cesura antropologica, segnata dalla transizione descritta da Cavicchi all'inizio del secolo da paziente ad "esigente", rispetto al precedente equlibrio relazionale, basato sulla deferenza e con tensioni latenti, fino a rompere di fatto quella alleanza terapeutica alla base del contratto implicito che lega medico e paziente; a seguito dello shock pandemico la tradizionale relazione di cura è sottoposta a quotidiani e aperti conflitti che minano alle basi la tradizionale ispirazione ippocratica e probabilmente segnano anche il definitivo tramonto storico del professionalismo e della dominanza medica.

P.S. Per analizzare episodi come questi e prospettare soluzioni adeguate ai problemi occorre partire dall'ascolto profondo perché, secondo Crozier, “non si può comprendere una situazione se non analizzando ciò che dicono le persone che la vivono. Mettendosi al loro posto si coglie la razionalità del loro comportamento”. Con l'ascolto profondo l'intervistatore "rende un servizio al suo interlocutore che tenderà a ringraziarlo se avrà fatto bene il suo mestiere, a condizione però che le domande vertano su argomenti importanti per l'interessato: i suoi problemi, le sue difficoltà, come riesce ad affrontarle, a risolverle eccetera". In questo modo “si può conoscere il reale funzionamento di un sistema di interrelazioni umane” e "il comportamento concreto di persone prese nelle strette di un meccanismo complesso, nel quale hanno responsabilità, ma che non controllano".

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