giovedì 13 agosto 2020

La complessità della pandemia (II): la dimensione sociodemografica

Dall’inizio di agosto il profilo epidemiologico della pandemia ha subito una lenta ma significativa trasformazione: nella prima decade di agosto sono stati registrati 3334 nuovi casi (2664 asintomatici e 660 sintomatici) rispetto ai 2343 (1953 asintomatici e 389 sintomatici) dell’ultima di luglio. A cosa si deve questo trend in ascesa, a prescindere dalla dimensione culturale descritta nel precedente post? Due determinanti sociodemografici sono venuti in primo piano con l’evidenza dei numeri di un “contagio” apparentemente fuori controllo.

Fino alla fine di luglio il gran numero di asintomatici in circolazione da oltre 2 mesi non ha provocato aumento di ricoveri, necessita di terapia intensiva e ulteriori decessi, stabili o in lenta e riduzione nonostante l’allentamento delle misure di contenimento a partire da maggio, che molti paventavano ad alto rischio di ripresa dei contagi. Tutti i 200 asintomatici, scoperti più o meno casualmente ogni giorno da giugno, hanno avuto contatti sociali, familiari e lavorativi per settimane prima di essere intercettati dallo screening senza che questo fatto abbia provocato nuovi cluster, con tutte le potenziali conseguenze come nel caso dei due focolai lombardi di marzo.

Due nuove variabili possono spiegare l'evoluzione in atto. In primo luogo il periodo di vacanze estive, che ha favorito viaggi, incontri ed assembramenti ha accentuato la diffusone del virus tra i giovani tanto da ridurre in maniera significativa l’età mediana dei nuovi casi, passata da 68 a 39 anni e con contagi decuplicati tra gli under 19. Di conseguenza si è riequilibrato il rapporto tra nuove diagnosi per sospetto diagnostico e per screening, che ora sono quasi alla pari rispetto al precedente rapporto di 4 a 1. Fortunatamente tra gli oltre 10 mila asintomatici intercettati e tra le nuove diagnosi di agosto non si sono ancora manifestati grandi diffusori in grado di innescare un “incendio” locale.

In secondo luogo dagli ultimi dati si ricava che il 30% dei nuovi casi di malattia è di importazione o dovuti a contagi comunitari a partire da un caso clinico che fa scoprire "a ritroso" decine o centinaia di portatori sani: gli esempi di focolai lavorativi sono numerosi dalle aziende di trasporti e logistica all’industria degli insaccati del cremonese etc..  All'origine dell'impennata di nuovi portatori asintomatici dell’ultima decade, ora in fase di ridimensionamento dopo la conclusione degli screening, c’è però un dato nuovo. Dell'azienda agricola mantovana dove lavorano indiani e pachistani agli migranti sbarcati in Sicilia, dell'ex caserma di Treviso adibita a residenza per migranti al centro di accoglienza di Udine le condizioni socioeconomiche ed abitative hanno fatto la differenza nella diffusione del contagio, peraltro in forma prevalentemente asintomatica, come nei 400 micro focolai familiari censiti in tutta Italia nelle ultime settimane.

Chi conosce per esperienza le condizioni dei lavoratori immigrati dall’asia nella bassa lombarda sa quanto possano essere affollate e malsane le abitazioni in cui vivono, spesso vecchie cascine semi-abbandonate nella pianura, e sa quanto siano restii ad andare dal medico per qualche disturbo di poco conto. E’ quindi probabile che nei mesi scorsi alcuni abbiano avuto sintomi minori di Covid-19, complice un’età media bassa, non riferiti ai MMG anche per il timore di dover restare due settimane in quarantena o in isolamento fiduciario senza lavoro. E’ in questo contesto socioeconomico che verosimilmente si è allargato senza clamore il focolaio di Covid-19 della bassa lombarda, fino a quando un sintomatico è stato intercettato dal MMG ed è partito lo screening dei contatti familiari e lavorativi che fatto emergere il cluster.

Infine non sorprende che in una condizione abitativa affollata, come quella dell’ex caserma Serena di Treviso che ospita migranti da anni, sia divampato un macro-focolaio di contagi peraltro innescato da un operatore sociale sintomatico. Se c'era un sito e un'occasione ideale perché un super diffusore appiccasse un incendio virale di proporzioni lombarde era la caserma di Treviso, dove risiedono quasi 300 migranti, di cui ben 248 sono risultati positivi al tampone. Questo esito è anche il riflesso dell’abbandono del sistema di accoglienza diffusa precedentemente in vigore e smantellato nell’ultimo anno e mezzo. Invece è stato un operatore sociale a portare il virus nell’edificio, diffuso peraltro in forma asintomatico tra la maggioranza degli ospiti; più o meno analogo è il caso di Mantova con 127 positivi su 400 dipendenti, contagiati in misura minore in quanto distribuiti nei paesi del circondario rispetto alla concentrazione abitativa di Treviso. Insomma il trend in atto ha a che fare con i riflessi sulla salute delle condizioni di vita e delle note disuguaglianze socio-economiche.

Si può facilmente immaginare il numero di asintomatici potenzialmente presenti nelle baraccopoli della Calabria e della Puglia, se tutti i lavoratori agricoli stagionali immigrati nella zona dovessero essere sottoposti a tampone!

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