lunedì 10 agosto 2020

La complessità della pandemia (1): la cultura

Nella gestione della pandemia si intrecciano tre livelli di realtà e tre dimensioni metodologiche e teorico-pratiche:
  •         Quella micro della virologia e della biologia molecolare, relativa alla struttura e alla descrizione dei rapporti fisiopatologici di SarsCov2 con l’organismo umano
  •          Quella meso della malattia individuale Covid-19, con le sue poliedriche manifestazioni sintomatologiche ed espressioni cliniche
  •          Quella macro, statistico-epidemiologica ed igienica, dell’evoluzione del contagio a livello di popolazione e geografico.
Questi livelli esprimono diversi punti di osservazione, valutazione e modelli esplicativi dello stesso fenomeno biologico che si influenzano reciprocamente, attorno ai quali si sono cristallizzate nel dibattito pubblico tre "fazioni" divise sul che fare per contrastare la pandemia. La prima e la terza sono per loro natura avulse dalla pratica empirica e convergono su posizioni radicali nella valutazione della gravità della pandemia rispetto alla dimensione meso, più ancorata alla pratica sul campo e alla dimensione individuale; la pratica clinica, olistica per sua natura, deve tener conto dei tre livelli per abbracciare tutto lo spettro dell’infezione/malattia rispetto agli altri approcci, più focalizzati riduzionisticamente sulla propria dimensione a scapito della altre. Le interazioni tra i tre livelli di realtà, non sempre coerenti tra loro, e con l'ecosistema caratterizzano la complessità della pandemia. Ma oltre alla differenziazione disciplinare la pandemia ha messo in risalto altre due dimensioni di sfondo, oggetto delle successive considerazioni

La cornice culturale di riferimento

Le divisioni tra le “fazioni”, prevalentemente accademiche, hanno una matrice “antropologica” in quanto caratterizzano le diverse cornici di riferimento culturale del variegato sistema medico-scientifico, che esprime una pluralità di punti di vista, priorità e schemi percettivo-valutativi. Il fatto è che medici e scienziati non hanno a che fare solo con conoscenze certe, oggettive e condivise dalla comunità, ma anche con margini variabili di incertezza circa la realtà delle cose, lo stato del mondo e soprattutto il da farsi per modificare il corso degli eventi. 

Mai come con la pandemia da Covid-19 l’incertezza ha giocato un ruolo così rilevante nel confronto tra esperti e pubblica opinione, generando inevitabilmente varietà di opinioni, pareri, valutazioni e interpretazioni soggettive circa i dati di fatto e le decisioni. Le opinioni divergenti fanno risaltare la componente antropologica, ovvero la cornice culturale di riferimento dei vari attori scientifici in campo, che in quanto tale resta sullo sfondo e sconfina nella dimensione valoriale ed etico-politica. Gli opinion leader si sono divisi tra coloro che non volevano sentir parlare delle conseguenze socioeconomiche delle misure di contenimento del Covid, assolutizzando il punto di vista sanitario, ed altri invece attenti e preoccupati per le “esternalità” negative della lotta alla pandemia, risaltate dagli interventi dei relatori nel convegno del Senato e oggetto di dibattito politico. 

Non a caso da sempre i medici si dividono sulle opzioni culturali ed etiche che fanno da cornice alla propria attività: quale spazio dare al mercato e quale all’intervento pubblico, ridurre le diseguaglianze di salute o promuovere la libertà di cura, quale confine tra salute e malattia in una società pervasa dalla cultura del rischio, quali priorità nell'allocazione di risorse scarse etc. Basti pensare ai significati, alle attese e all'evoluzione che il concetto di salute ha avuto nel tempo e nello spazio, da mezzo secolo a questa parte, e al suo impatto sulla società e sull'economia. Si tratta di scelte di fondo che implicano valori culturali e criteri di priorità non deducibili dalla dimensione descrittiva della scienza "pura". La controversia sull’aggressività clinica del coronavirus e sulla contagiosità dei soggetti asintomatici - numericamente prevalenti sui sintomatici nell’attuale fase pandemica – con le conseguenti scelte pubbliche, ha rappresentato la faglia di separazione tra le due “fazioni”, in attesa di prove oggettive per sciogliere i nodi problematici.

In sostanza con la complicità dell'incertezza è venuta meno anche l'unanimità (di facciata) e il (presunto) carattere monolitico della scienza, dato per scontato e "naturale" da alcuni. Durante i dibattiti televisivi si percepiva in alcuni accademici il disagio di dover recitare la parte degli scienziati che vanno sempre d’accordo tra loro. La dimensione antropologica del sistema medico-scientifico si compone di una pluralità di cornici culturali di riferimento - in modo  tacito come succede nell’incontro con migranti, latori di diversi sistemi culturali – che emergono nel momento dell’azione, quando ci si deve confrontare con dubbi circa gli esiti della stessa; il pluralismo culturale della comunità scientifica, talvolta inconsapevole e sotto traccia, è venuto allo scoperto nell’ultima fase della contingenza pandemica per il carattere fuzzy del virus - ad esempio circa le divergenze di opinioni sulla contagiosità/virulenza del Covid-19 - clinicamente morto per alcuni e vivo e vegeto per altri. 

Insomma il pluralismo non risparmia nemmeno la comunità medico-scientifica: ottimisti e pessimisti, allarmati e rassicuranti, bicchieri mezzi pieni e mezzi vuoti allignano anche tra i medici! Ma c'è un'altra dimensione che si sta imponendo all'attenzione degli "addetti ai lavori", oggetto del prossimo post.

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