Il dibattito sul significato e sull’uso appropriato dei test antigenici, cosiddetti rapidi è sempre vivace e induce ad alcune considerazioni metodologiche a partire dal contenuto delle linee guida ministeriali. Ad esempio nel contesto clinico, ovvero di fronte ad un “caso sospetto sintomatico con o senza link epidemiologico” o in un “soggetto in quarantena se compare sintomatologia (es. contatto stretto di caso confermato)” il documento del ministero raccomanda:
· Prima scelta: Test molecolare su tampone
oro/naso faringeo (**)
· Alternativa: Test rapido antigenico su
tampone oro-naso faringeo o nasale + conferma con test molecolare per i casi
positivi (*)
· Commento. Anche se in questo caso il
test rapido potrebbe avere una affidabilità maggiore perché il soggetto è
sintomatico (con una minore probabilità di falsi negativi), tuttavia il tampone
molecolare rimane la prima scelta (si veda anche il PS).
Come già sottolineato mancano indicazioni pratiche sulle decisioni da prendere nel sospetto di un falso negativo. Questo fatto è abbastanza comprensibile in un documento che detta regole generali ed astratte rispetto alle situazioni contingenti e alle circostanze particolari, ovvero di fronte allo spettro di varietà/unicità dei casi clinici reali. Alcuni colleghi hanno giustamente posto il problema pratico così sintetizzabile: quando dobbiamo sospettare un falso negativo?
La questione ha risvolti cognitivi ed epistemici non
indifferenti e un po' paradossali, perchè bisogna sospettare un "inganno", si deve smascherare un dato falso, si deve in chiave popperiana distinguere una falsificazione autentica da una ingannevole e "fasulla". Posto che per questioni economiche ed organizzative non
si può chiedere a tappeto il test molecolare agli esiti negativi dei tamponi rapidi, che risolverebbe alla radice il dubbio, a quali criteri/indicatori si
può ricorrere per orientare la decisione? La questione attiene ad una specifica situazione non rara in clinica, che pone il decisore di fronte ad un dilemma allorquando emerge una discrepanza tra il giudizio clinico e gli accertamenti, ovvero quando una diagnosi data per certa viene smentita dall'esito negativo di un test.
Tamponi negativi e approccio di sanità pubblica
Lo schema proposto dal documento ministeriale è tarato
sui diversi contesti decisionali che spaziano dai casi clinici individuali alla
dimensione sovraindividuale dell’igiene/prevenzione pubblica per il controllo
dell’infezione. La differenza è dirimente in quanto un conto è decidere quale
test è più appropriato per una classe di soggetti, ad esempio per lo screening
di una categoria di lavoratori asintomatici, e altra cosa è l’obiettivo di arrivare
alla diagnosi in un soggetto sintomatico. Vi sono poi le situazioni intermedie
in cui l’obiettivo diagnostico individuale si sovrappone a quello collettivo di
salute pubblica, come nel caso dei contatti stretti con un caso positivo. Il
rischio di incappare in un falso positivo o negativo, con le potenziali e speculari
conseguenze, varia in funzione della tipologia del paziente/categoria e dell’obbiettivo
che ci si pone con il test diagnostico.
Come sopra accennato le indicazioni ministeriali per i
diversi scenari risentono inevitabilmente della priorità preventiva
pubblica, di matrice igienico-epidemiologica, anche se si rivolgono
inevitabilmente ad attori clinici, ai quali peraltro non sono concessi margini
decisionali sulla scelta del test più appropriato, tranne ai MMG e ai medici del PS che possono eseguite i tamponi antigenici.
Ad esempio i probabili falsi negativi presenti in una
popolazione generale sottoposta a screening antigenico hanno ben altro
significato e conseguenze di quelli ipotizzabili in un gruppo professionale, come
quello degli operatori socio-sanitari. Nella valutazione di appropriatezza del
test oltre alle caratteristiche di sensibilità/specificità, rientrano anche le
diverse probabilità a priori di malattia, la finalità del test, la presenza o
meno di sintomi, le diverse fasi dell’infezione e le potenziali conseguenze di
un test “falso”, in un senso e nell’altro.
Le conseguenze del falso negativo dei test rapidi utilizzati nello screening dei lavoratori ad alto rischio di
contatto attivo o passivo con il Sars-Cov2 (operatori socio-sanitari), sono tali da sconsigliarne l’utilizzo o
di adottare provvedimenti cautelativi, come la ripetizione in caso di sospetto falso
negativo.
Diagnosi di Covid-19, falsi negativi e approccio a soglia
Come si può immaginare lo spettro del falso negativo condiziona in generale il procedimento diagnostico. Il grande assente nel documento ministeriale è il giudizio clinico dei singoli casi che spetta ai medici pratici quando sorge il sospetto di Covid-19; l'unico accenno alla valutazione clinica si ha nelle note sui test rapidi dove si riporta la raccomandazione dei produttori, secondo i quali "la negatività del campione, a fronte di forte sospetto di COVID-19, dovrebbe essere confermata mediante test molecolare" (si veda anche il PS). Questa carenza è probabilmente inevitabile e l’incertezza diagnostica deve essere gestita dai medici di fronte ad un “caso sospetto sintomatico con o senza link epidemiologico”. Come scongiurare quindi lo spettro del falso negativo e con le sue deleterie conseguenze?
Per affrontare il problema ci viene in aiuto la logica bayesiana applicata alla valutazione probabilistica soggettiva del cosiddetto approccio a soglia di diagnosi e terapia; si tratta di un modo semplice ed elegante di trasferire la complicata formula di Bayes alla pratica clinica. Il treshold approach risale agli anni ottanta ed ipotizza due soglie decisionali collocate lungo un continuum di probabilità soggettiva, che va dalla massima incertezza a priori fino alla “certezza” diagnostica della probabilità a posteriori del 100% (si veda anche la figura). L'incremento della probabilità soggettiva è la risultante delle probabilità condizionali correlate alla sensibilità/specificità dei test diagnostici prescritti.
Le informazioni anamnestiche abbinate a quelle
cliniche incrementano progressivamente la probabilità di malattia
che in due punti del continuum può superare altrettante soglie decisionali
- quella
diagnostica, quando oltrepassa un valore minimo di probabilità che
fa scattare la prescrizione di test diagnostici con l’obiettivo di confermare
o smentire l’ipotesi formulata (la probabilità condizionale del test)
- quella terapeutica, quando i dati raccolti hanno un significativo "peso" informativo tanto da superare la seconda soglia che sfocia nella prescrizione della terapia appropriata saltando la conferma diagnostica.
Il modello può essere applicato anche alla diagnosi del Covid-19 con alcune precauzioni in rapporto alla significatività e alla gran varietà dei sintomi dell’infezione. Ad esempio la rilevazione del sintomo più specifico del Covid-19, ovvero l’abbinamento anosmia + ageusia, consente di superare di slancio sia la soglia diagnostica sia quella terapeutica, sebbene manchi una cura specifica ed efficace; anche dopo l'osservazione del binomio polmonite interstiziale bilaterale+ipossemia arteriosa si supera abbondantemente la soglia terapeutica, con la conseguente messa in atto di tutti i provvedimenti del caso fino al ricovero e all’intubazione.
Al polo opposto si colloca la gamma di sintomi
minori e aspecifici che si sono aggiunti nella seconda fase della pandemia a
quelli simil influenzali codificati nella prima ondata primaverile: cefalea,
mialgie, artralgie, spossatezza, disturbi gastrici, febbre<37,5° etc.. Essendo poco specifici sono anche fonte
di incertezza ed in presenza di un’elevata circolazione del virus nelle
zone ad elevata prevalenza di Covid-19 faranno comunque superare la soglia
diagnostica imponendo di fatto la prescrizione del tampone molecolare o di quello antigenico per
discriminare, ad esempio, una sindrome influenza dal Covid-19. Al contrario la tipica triade sintomatologica influenzale (febbre>37,5°, tosse e rinorrea) imporranno la prescrizione a tutti dell'indagine eziologica, molecolare o antigenica.
In caso di "dissonanza cognitiva" tra il test antigenico negativo (nel dubbio di un "falso") e il sospetto diagnostico si possono configurare tre casi
- quando si prescrive il test antigenico per sintomi aspecifici al limite della soglia diagnostica, l’esito negativo smentisce l'ipotesi di Covid-19 e prevale sul giudizio clinico
- di fronte ai quadri più specifici, come anosmia/ageusia o polmonite interstiziale, che superano la soglia terapeutica prevale invece il giudizio clinico su quello negativo del laboratorio, a conferma della diagnosi di Covid-19
- nella zona intermedia tra le due soglie l’incertezza potrà essere risolta, in caso di forte sospetto clinico, solo da un secondo test più affidabile, ad esempio il molecolare, oppure dalla ripetizione dell'antigenico. Questa, ad esempio, è la linea di condotta suggerita dalle disposizioni aziendali in alcuni PS, in caso di esito negativo di un tampone antigenico sospetto per essere un "falso".
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