sabato 17 giugno 2017

Breve e schematica guida alla "presa in carico" della cronicità

Di seguito sono elencate alcune informazione a punti schematici, a partire dall’esperienza dei CReG precursori della Presa in Carico (da ora PiC), ricavate dal congresso regionale SIMG di Padenghe del maggio 2017, dedicato al ruolo della Medicina Generale nella Presa in carico della cronicità.

Differenze rispetto ai CReG
Nei GReG era il medico ad arruolare i cronici mentre nella PiC saranno gli assistiti a scegliere il proprio gestore tra quelli accreditati (Cooperativa di MMG, ASST, privati no-profit o profit etc). Inoltre l'arruolamento nei CReG avveniva sugli elenchi forniti dalla regione (60-70% circa di arruolati con i CReG) mentre con la PiC avverrà sulla base della scelta del gestore da parte dell'assistito e quindi in un contesto di concorrenza con gli altri gestori accreditati, oltre alle Coop di MMG. Altra differenza sostanziale sta nel carattere sperimentale dei CReG e nella natura invece "istituzionale" della PiC, destinata ad avere risultati pratici nella prossima legislatura, e quindi con poche chance di modifiche dell'impianto generale.

Differenza rispetto al Governo Clinico dell'ATS di Brescia
Il Governo Clinico delle patologie croniche è centrato sul monitoraggio e sulla valutazione degli indicatori di processo ed esito dell'assistenza ai pazienti (target dei parametri clinici, come valore di glicemia, emoglobina glicata, PA, colesterolo totale etc..) mentre la PiC è inizialmente focalizzata sul rispetto dei tempi e sull'esecuzione delle prestazioni previste dal PAI e solo in un secondo tempo prevede alcuni semplici indicatori di processo.

Compiti del MMG in cooperativa
Oltre alla redazione del PAI e del Patto il MMG la Coop deve comunicare al gestore, tramite programma dedicato in remoto, la prescrizione degli accertamenti, la consegna dell'"impegnativa" all'assistito e la registrazione degli esiti, in modo che il centro servizi del gestore/provider possa monitorare tutto il percorso, tramite flussi informatici per la rendicontazione alla regione; l'obiettivo è la verifica dell'esecuzione e il monitoraggio degli stessi da parte l'assistito, anche tramite SMS, mail, telefonate di ricordo/sollecito etc..

Caratteristiche della Cooperativa
Deve essere costituita da un minimo di 30-50 soci per poter far fronte ai costi fissi amministrativi e quindi remunerare adeguatamente il MMG. Orientativamente con i CReG la percentuale assorbita dai costi amministrativi variava, in funzione della tipologia e delle dimensioni della coop, dal 30% al 70% e in questo secondo caso il margine per i medici è modesto. La Coop deve accordarsi con tutti gli erogatori presenti sul territorio per garantire al cittadino la libertà di scelta, ma ovviamente saranno privilegiati quelli di prossimità geografica. In pratica il MMG aderente ai CReG ha ricevuto incentivi per circa 10000 €/anno lordi, a fronte dell'arruolamento e della gestione del PAI dei 2/3 circa dei propri assistiti cronici (da 400 a 600 per un massimalista). Se la Coop non si dota di un proprio Centro Servizi dovrà avvalersi delle prestazioni e dell'infrastruttura tecnologica di un provider privato, con il quale dovrà stringere un accordo, ovviamente oneroso, che influirà sui costi generali e sulla remunerazione della PiC.

PAI e Patto di Cura
Nei monopatologici del III° gruppo della stratificazione regionale (1900000 cittadini) il PAI coincide grosso modo con il PDTA, mentre nei pluripatologici si tratta di fare una sintesi tra le indicazioni dei diversi PDTA in modo personalizzato ed aderente alle caratteristiche del paziente stesso. Software dedicati posso fornire un aiuto per la compilazione dei PAI in modo semi-automatico, in particolare confrontando ed armonizzando i diversi PDTA, anche se ogni medico può inserire o togliere esami a sua discrezione nei cronici complessi. Il PAI è un programma annuale per il cronico stabilizzato a cui si possono aggiungere le prestazioni urgenti, come il ricovero per un evento acuto, che poteranno successivamente ad una revisione del PAI stesso. Non bisogna dimenticare che non esistono linee guida e PDTA per gli over 75 e soprattutto per i pazienti multipatologici, disabili, fragili etc.

Problemi incontrati con i CReG e verosimilmente anche con la PiC.
Hanno riguardato soprattutto il rispetto dei tempi delle prestazioni previste dal PAI (tempi d'attesa per esami previsti), le divergenze con gli specialisti riguardo agli esami inseriti nel PAI e quelli suggeriti dagli specialisti stessi a seguito delle consulenze, la presenza nel PAI di esami non compresi tra quelli previsti dall'esenzione per patologia con relativo pagamento del tickett. Compito delle AST sarà di dirimere eventuali divergenze o conflitti sui contenuti del PAI, tra MMG e specialisti, e soprattutto tra MMG e gestore con l'istituzione di una commissione ad hoc, nel caso in cui non sia una Coop a gestire la PiC o che il MMG non aderisca alla PiC stessa.

Incentivi economici.
Si è passati dalla previsione di una percentuale massima dell'8% di incentivo per il medico, prevista nella prima delibera di gennaio, alle tre cifre fisse (35, 40 e 45 Euri per ogni classe, comprensivi dei 10 € del PAI) della delibera di maggio sulla modalità di PiC. La differenza rispetto alla cifra media riconosciuta alle Cooperative dei CReG (80 € a pz. arruolato) è consistente e con la PiC dovrebbero essere erogate alla cooperativa a fronte di progetti innovativi di telemedicina e del rispetto di pochi e semplici indicatori di processo nella popolazione arruolata (presenti in gran numero nel CG dell’ASL di Brescia fin dall'inizio).

Stratificazione della popolazione e dei cronici
La stratificazione "aritmetica" dei soggetti portatori di patologie croniche è parziale e riduttiva. Servono altri strumenti di categorizzazione che contemplino l'interazione tra le dimensioni clinico-funzionali e socio-assistenziali, in particolare per i pazienti multipatologici del gruppo 1 (150000 lombardi "gravi", prevalentemente in assistenza domiciliare). La stratificazione regionale sovrastima i monopatologici e sottostima le altre classi, a vantaggio della regione.

Cronoprogramma e modalità applicative delle delibere
·             Entro il 31 luglio presentazione delle manifestazione di interesse per l'accreditamento dei gestori
·             Entro il 15 settembre esame delle domande ed accreditamento dei gestori, che rispondono ai criteri stabiliti dalle circolari esplicative, ed entro il 15 ottobre esposizione degli erogatori contrattualizzati dal gestore
·             Dal gennaio 2018 avvio della prima fase con l'invio delle lettere ai 3 milioni di cronici lombardi per la scelta del gestore 
·             Primavera 2018 arruolamento dei cronici, dopo redazione del PAI e sottoscrizione del Patto di Cura (3-4 mesi)
·             Seconda metà del 2018: progressiva messa a regime di tutto il processo

sabato 10 giugno 2017

Il codice di priorità inappropriato può trascinare in tribunale il professionista sanitario

Con l’introduzione della ricetta elettronica sono cambiati anche criteri di priorità delle prestazioni, passando da due a quattro. Ha destato dubbi interpretativi il Codice U (Urgente) in relazione alla dicitura presente sul pro-memoria cartaceo della richiesta, che recita: "NEL PIU' BREVE TEMPO POSSIBILE O, SE DIFFERIBILE, ENTRO 72 ORE"; la scadenza dei tre giorni per l’esecuzione della prestazione era già prevista dal cosiddetto "bollino verde”,  vigente in Lombardia dall’inizio del secolo, che tuttavia ha poco a che fare con la necessità di eseguire un esame “nel più breve tempo possibile”. Chi decide, in base a quale valutazione clinica e/o rischi medico-legali se la prestazione deve essere eseguita in poche ore piuttosto che differita di 1-3 giorni?

L'ATS, interpellata in proposito dai medici, non ha risolto i dubbi in quanto si è limita a ribadire 
semplicemente che la prestazione Urgente deve essere espletata entro 72 ore dal momento della prenotazione, che deve essere fatta entro 48 ore dalla prescrizione del curante” ( http://curprim.blogspot.it/2016/11/codice-di-priorita-urgente-tra.html )La posizione dell’ente pubblico non scioglie l’ambiguità della dicitura del pro-memoria cartaceo: l'espressione "Nel più breve tempo possibile" infatti connota chiaramente una richieste di prestazione da erogare nelle strutture di emergenza/urgenza nell’arco di alcune ore fino a 24; altra cosa è l'urgenza differibile, abitualmente instradata ed espletata nelle strutture ambulatoriali "ordinarie" in 1-3 giorni, previa prenotazione allo sportello o tramite telefonata al CUP.

A complicare il quadro normativo arriva una sentenza della Cassazione (https://app.box.com/s/onbdith5i6dsgsxv2ckx4txcfh9woppr) sulla scorretta attribuzione del codice cromatici del triage in PS, che è destinata ad influenzare anche l’utilizzo dei codici di priorità della ricetta, assimilabili ad una sorta di triage territoriale sulle prestazioni ambulatoriali. La sentenza riguarda il caso di un'infermiera addetta al triage che, all'arrivo in PS di un paziente, aveva erroneamente assegnato il codice verde invece di quello giallo, con conseguente ritardo diagnostico risultato fatale per il malcapitato. In sostanza secondo i giudici della suprema corte in caso di errore “cromatico” si configura il reato di omicidio colposo, qualora il paziente a causa di un codice inappropriato non venga curato correttamente e per tempo.

Chiunque abbia esperienza pratica di medicina del territorio sa che esiste una sostanziale differenza tra le due formulazioni della priorità Urgente, non solo in termini burocratico-amministrativi. L’utilizzo di una delle due diciture deriva da una valutazione clinica e di appropriatezza temporale della prescrizione: l'esempio paradigmatico è il sospetto di sindrome coronarica acuta, che necessita di immediati accertamenti clinico-specialistici in PS, ovvero nel più breve tempo possibile, e non certo di un semplice ECG differito di 24-72 ore in un poliambulatorio extra-ospedaliero.

Alla luce della  sentenza della cassazione l’ambiguità semantica del Codice Urgente risulta ancor più evidente; il rischio di ritardare l’esecuzione di un accertamento diagnostico "salva-vita", a causa di un’interpretazione inappropriata del carattere Urgente della prescrizione, potrebbe comportare sia un pregiudizio per la salute dell’assistito sia esporre il medico ad una denuncia per malapratica. 

Ancora una volta è la pratica a suggerire le modalità corrette, in relazione al sospetto diagnostico, per garantire l’appropriatezza temporale ed organizzativa di accertamenti o visite specialistiche Urgenti, onde evitare che un esame da eseguire nel più breve tempo possibile, ovvero nell’arco di poche ore, venga invece posticipato di 1-3 giorni.

In buona sostanza è il contesto organizzativo che connota e "incorpora" nel processo l'appropriatezza temporale della prestazione: la richiesta di un accertamento Urgente in regime ambulatoriale ordinario equivale alla tempistica del "bollino verde" (differibilità fino a 72 ore) mentre per ottenere la stessa prestazione "nel più breve tempo possibile" si impone l'obbligo dell'invio in PS. Ecco quindi alcune semplici regole per prevenire ogni equivoco sul carattere urgente di un esame o di una visita specialistica, nel senso del più breve tempo possibile:

Richiedere una Ricovero URGENTE in PS, sia con ricetta cartacea che dematerializzata
Richiedere una Visita specialistica con Urgenza su ricetta rosa e compilata a penna (evenienza comune al domicilio del paziente)
Richiedere una valutazione Urgente in Pronto Soccorso utilizzando il ricettario personale
Richiedere una visita con priorità Urgente utilizzando la ricetta dematerializzata, ma evidenziando "nel più breve tempo possibile" e/o inserendo la stessa dicitura nello spazio del quesito diagnostico (opzione più rischiosa).

Questi suggerimenti sono prioritariamente rivolti alla tutela etica e deontologica degli assistiti e, nel contempo, alla prevenzione del rischio medico-legale per il medico curante.

mercoledì 7 giugno 2017

Le Direttive Anticipate di Trattamento alla luce della pluralità dei valori e dell'etica delle conseguenze

E’ stata approvata da un ramo del parlamento la legge che introduce nel nostro ordinamento le cosiddette Disposizioni Anticipate di Trattamento o DAT. I capisaldi della legge sono tre.

·                     Sulla base della “tutela del diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all'autodeterminazione della persona”, si stabilisce che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge”. 
·                     “Ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso.[…] Ai fini della presente legge, sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l'idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici”. 
·                     “Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un'eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può, attraverso le DAT, esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari”.                                                                                                                                                                     
Le critiche alla legge si appuntano su due argomenti fondativi (http://www.centrostudilivatino.it/le-dieci-ragioni-per-le-quali-la-legge-sulle-dat-stravolge-la-professione-medica/)
·                     l’introduzione del principio della disponibilità della vita umana contro quello, scritto in Costituzione e derivante da secoli di civiltà giuridica, della sua indisponibilità;
·                     la sostituzione del consenso informato, quale “atto fondante” della relazione fra medico e paziente, al principio di beneficialità, che finora ha orientato tale relazione.

1.Le considerazioni che seguono attengono alla sfera etica e bioetica senza entrare nel merito dell’apparato giuridico-normativo della legge legislative sulle DAT. Si farà riferimento, nell’analisi del consenso informato e della DAT, a due cornici culturali mutuate dall’etica e dalla filosofia politica, in particolare al pensiero e alle categorie interpretative di Max Weber (1864-1920) e Isaiah Berlin (1909-1997).

Entrambi gli autori hanno analizzato il cosiddetto pluralismo dei valori e dei principi, l’uno dal punto di vista delle Scienze politiche storico-sociali e l’altro dal versante della storia delle idee: i valori che ispirano le scelte politiche ed individuali, lungi dall’essere universali e necessari, sono caratterizzati da una intrinseca pluralità ed incommensurabilità, nel senso che ogni valore ha una legittimità in sé, e proprio per questo  non sempre vi è coerenza e sintonia tra diversi valori. Anzi spesso vi è dissonanza o aperto conflitto, tanto da proporre al decisore difficili dilemmi morali perché "i conflitti di valore fanno parte dell'essenza di ciò che sono i valori e di ciò che noi stessi siamo". Il cosiddetto monismo, che si colloca agli antipodi del pluralismo dei valori, ritiene al contrario che possa esistere una società ideale nella quale i diversi valori si armonizzano e si integrano in un tutto organico e coerente.

Nell’ambito della bioetica la discrasia o dissonanza tra principi generali è frequente tanto da alimentare i dibattiti e le argomentazioni a favore dell’uno o dell’altro principio in casi concreti. In un certo senso si può affermare che la soluzione dei dilemmi bioetici è la principale attività dei comitati e delle commissioni chiamate a dare il proprio parere su materie specifiche. Le DAT non sfuggono al pluralismo dei valori/principi: il dibattito pubblico si è focalizzato sul contrasto tra sostenitori dell’autodeterminazione del paziente – precondizione del consenso/rifiuto informato – e coloro che privilegiano il principio dell’indisponibilità della vita, evocato nel documento dell’Associazione Livatino. 

La pluralità dei valori e il loro conflitto emerge con evidenza nel caso della legge sulle DAT che risolve il contrasto a favore del principio giuridico dell’autodeterminazione, cioè a vantaggio dell’autonomia decisionale del paziente. Come osserva Sandro Spinsanti l'orientamento filosofico al rispetto per l'autonomia, di derivazione Kantiana, viene interpretato in ambito sanitario "come divieto di interferire nelle scelte autonome dell'individuo per ciò che riguarda vita e morte, salute e malattia, trattamento terapeutico e limiti di questo".

2.Per meglio comprendere la natura del conflitto/dilemma tra autodeterminazione e indisponibilità è opportuno ricorrere ad un altro schema interpretativo, che dobbiamo sempre a Max Weber, ovvero alla distinzione radicale tra Etica delle intenzioni, ma anche delle convinzioni e dei principi, ed Etica della responsabilità o delle conseguenze. Per la prima a guidare le scelte dell’agente prevalgono le (buone) intenzioni, spesso con sfumature religiose, che possono essere assimilate in bioetica al dovere della beneficialità.

All’opposto, nell’etica della responsabilità sono preminenti le valutazioni delle probabili o possibili conseguenze delle scelte individuali e collettive, con la clausola che oltre agli esiti prevedibili, sono da mettere in conto anche effetti imprevisti, controintuitivi o addirittura perversi. Secondo Weber le due etiche sono inconciliabili dal punto di vista della razionalità dei mezzi in rapporto ai fini e asimmetriche riguardo alla prescrittività normativa, che prevale nell’etica delle intenzioni.

La distinzione etica weberiana è il discrimine che separa anche i principi generali della bioetica. E’ facile infatti intravvedere in filigrana i due versanti: da un lato le intenzioni/doveri bioetici, con i principi di beneficialità e non maleficità, e dall’altro l’etica delle responsabilità/conseguenze con i principi autonomia e giustizia distributiva. L’esempio più frequente di conflitto all’interno del pluralismo dei principi bioetici è quello tra una concezione illimitata della beneficialità  verso il singolo malato e il dovere dell’equa distribuzione delle risorse a favore di tutta la popolazione di malati e sani. Le DAT propongono quindi un inedito conflitto tra consenso/rifiuto informato (principio di autonomia decisionale) versus indisponibilità della vita, connotata peraltro più dal punto di vista giuridico che etico. Le DAT risolvono il contrasto tra intenzioni e responsabilità a favore dell'autodeterminazione, nel momento in cui si profila tra i due attori una divergenza di valutazione circa la beneficialità di un’opzione diagnostico-terapeutica.

Non a caso nel documento del Centro Studi Livatino si indica nella beneficialità il corollario dell’indisponibilità della vita, intesa come principio guida delle decisioni, in quanto gerarchicamente sovraordinata rispetto al consenso/rifiuto, ovvero all’autonomia del paziente espressa con le DAT. Va da sè che se le direttive anticipate non contano in virtù dell’indisponibilità della vita - ad esempio per l’interruzione dell’idratazione e dell’alimentazione artificiale - le volontà del cittadino passano in secondo piano rispetto alla beneficialità del medico, chiamato a gestire idratazione e alimentazione contro i desiderata del diretto interessato. Porre a fondamento del rapporto tra medico e paziente la beneficialità, a scapito del consenso/dissenso, significa imporre paternalisticamente l’etica delle intenzioni per dirimere il contrasto tra difformi opinioni circa le conseguenze delle decisioni diagnostico-terapeutiche.

Peraltro anche l’indisponibilità della vita è soggetta ad una gradazione pratica (nel senso della logica fuzzy) e non alla dicotomia tutto/nulla. Si pensi ad esempio ad un paziente che rifiuti consapevolmente un trattamento, per una patologia grave, avente buone possibilità di successo nel senso della guarigione. Il rifiuto informato della cura proposta non equivale forse ad una assunzione di disponibilità circa la sorte della propria esistenza? Il caso della ragazza padovana che nel 2016 rifiutò la chemioterapia per una forma leucemica acuta, grazie al raggiungimento della maggiore età, è in questo senso emblematico. Se è legittimo qui ed ora rifiutare consapevolmente una terapia “salva vita” fino all’exitus, perché non si può dissentire ex-ante in caso di idratazione/alimentazione di un organismo mantenuto artificialmente in vita in quanto privo di una ragionevole speranza di guarigione? 


Bibliografia a richiesta