Una recente sentenza della
Cassazione su un caso controverso (si veda il P.S.) e discussioni in rete sulle richieste di
accertamenti diagnostici hanno fatto emergere il problema della gestione dei
sintomi aspecifici in MG. Bisogna preliminarmente
accordarsi sul significato della coppia specifico/aspecifico, che può avere due
accezioni: statistica, nel senso della specificità probabilistica del sintomo
in analogia con la sensibilità/specificità del test diagnostico, e per così
dire “anatomica”, nel senso della più o meno chiara localizzazione di un
sintomo a livello di un organo, sistema o apparato (a questo significato fanno riferimento
le successive considerazioni).
Nella pratica, specie sul
territorio, si possono presentare una gamma di situazioni in cui sintomi
soggettivi si possono accompagnare o meno a segni clinici obiettivabili da
parte del medico. Il continuum dei casi pratici è delimitato da due estremi: da
un lato il singolo sintomo soggettivo isolato, ovvero senza alcun fattore di
rischio anamnestico o segno clinico associato, e dall’altro una combinazione di
più sintomi, segni obiettivi e fattori di rischio anamnestici, tra loro
coerenti e convergenti verso una certa diagnosi, spesso “evidente”. Ai due
estremi del continuum specifico/aspecifico troviamo quindi situazioni di
massima e minima incertezza diagnostica. Nel senso che l’incertezza è massima
quando l’informazione è ridotta all’osso - come nel caso del sintomo aspecifico
isolato – mentre è minima quando l'informazione è elevata per il combinato disposto di sintomi e segni clinici specifici.
Tra i due estremi del continuum,
da un lato la massima aspecificità e all’opposto una chiara organo-specificità,
si collocano la maggioranza delle presentazioni cliniche caratterizzate da
gradi intermedi di combinazione tra informazioni soggettive (sintomi non
obiettivabili, come il dolore) segni fisici rilevati all’esame semiologico
del paziente (ad esempio la megalia di un organo) a cui si possono associare informazioni
anamnestiche rilevanti e gli esiti degli accertamenti di laboratorio, di immaging etc.. per una conferma o smentita dell’ipotesi diagnostica avanzata.
Gli esempi pratici dei due
estremi sono presto fatti: da un lato abbiamo tutti i sintomi vaghi, indistinti
e isolati, ovvero senza alcun riscontro obiettivo, tipici della medicina del
territorio (astenia, malessere generale, prurito, debolezza, aumento/calo
di peso/appetito etc…) mentre dall’altro malattie febbrili batteriche acute,
come tonsilliti od otiti di agevole diagnosi ispettiva. In una posizione
mediana vi sono casi con segni e sintomi di localizzazione d’organo, come disturbi
dispeptico-dolorosi o tumefazioni articolari, che però non sono sufficienti per
porre una diagnosi di certezza. In linea di massima più il sintomo è
organo-specifico più si restringe il cerchio delle ipotesi diagnostiche, fino
al caso estremo del sintomo patognomonico, che equivale ad una diagnosi di
certezza immediata; purtroppo l'idea che si potessero avere sintomi
patognomonici per ogni malattia si è rivelata con il tempo e con l’irruzione
della tecnologia illusoria.
In questo
processo di indagine viene adottato il metodo bayesiana, seppur implicito o
grossolano, per ridurre l’incertezza e aumentare la probabilità soggettiva di
un’ipotesi a scapito delle altre, grazie all’acquisizione di nuove
informazioni. Se le informazioni raccolte con l'esame obiettivo, dopo la
selezione del sintomo chiave o la definizione del problema, hanno un peso
probabilistico "forte" allora il sospetto diagnostico sarà di fatto
confermato, nel senso che di fronte ad un sintomo ben definito associato ad un
segno clinico specifico il ventaglio di ipotesi si restringe drasticamente in
modo "naturale", fino alla prevalenza di una singola ipotesi sulle
altre.
In
altri termini la probabilità a priori di una certa malattia viene incrementata
dalle cosiddette probabilità condizionali (nel senso della sensibilità e
specificità del sintomo + segno clinico) fino a superare una certa soglia, che
fa scattare un''ipotesi diagnostica, più accreditata delle concorrenti. Quando
i sintomi e i segni clinici sono particolarmente evidenti e inequivoci allora
scatta automaticamente la diagnosi per pattern recognition, come nel caso già
evocato della tonsillite acuta batterica o di un’eruzione cutanea da Herpes
Zoster.
Si tratta delle diagnosi “a prima vista” o per pattern recognition frutto
della semplice osservazione dell’organo interessato, come accade spesso nelle
patologie dermatologiche, del cavo orale o ORL in cui una probabilità soggettiva elevata
consente di passare direttamente alla terapia senza bisogno della conferma
diagnostica da parte del test. In altri casi il sintomo organo-specifico
l’ipotesi dovrà essere messo alla prova di un test diagnostico ad elevata
sensibilità/specificità per la confermata/smentita definitivamente dell’ipotesi
stessa da parte dall'esito del test diagnostico.
Giova
ricordare che statisticamente il 20-25% dei sintomi lamentati da pazienti
ambulatoriali restano orfani di una chiara diagnosi, anche dopo ripetuti
accertamenti diagnostici o consulenze specialistiche. Vengono definiti MUS (Medically
Unexplaned Symptoms) e per buona parte si tratta di disturbi aspecifici, vaghi,
atipici, indistinti e sfuggenti che mettono a dura prova i medici pratici (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5297117/)
In queste situazioni non può
funzionare il pattern recognition e quindi la ricerca di prove a favore
dell'una o dell'altra diagnosi dovrà svolgersi ad ampio spettro clinico - ad
esempio con una batteria di esami, come si fa in caso di sospetto astenia,
febbre o prurito - per rafforzarne una a scapito delle altre. Si deve cioè
ricorrere al metodo ipotetico-deduttivo o meglio ipotetico-selettivo per via
del gran numero di ipotesi potenzialmente generate dal sintomo aspecifico (ad
esempio quelle relative all’astenia sono decine) e quindi fonte di grande
incertezza diagnostico-differenziale e decisionale. Per quale tra le tante
ipotesi correlabili al sintomo lamentato si dovrà optare?
In tutti i sintomi aspecifici si apre un notevole ventaglio di ipotesi diagnostiche, che devono essere filtrate e vagliate sia con un attento esame obiettivo sia, soprattutto, con accertamenti tesi ad acquisire quelle informazioni che non sono state ricavate nelle fasi anamnestiche e con l’esame clinico; spesso gli esami vengono prescritti più con l’intento di escludere perlomeno le ipotesi più frequenti/gravi dal punto di vista fisiopatologico ed epidemiologico, senza privilegiare una sola ipotesi, che non con l'obiettivo di confermare una congettura diagnostica.
Come afferma il filosofo Dario Antiseri “una mente pullulante di ipotesi riesce a cogliere, a rilevare, fatti che per altre menti povere di ipotesi sarebbero insignificanti o addirittura ignoti” da cui deriva "uno dei normali comandi della metodologia che, trascurato, può portare - come già vide Murri - a gravi errori. Questo comando suona; davanti ad un problema, fai proliferare le tue ipotesi (principio della proliferazione delle ipotesi)!"
In buona sostanza il processo può
essere immaginato come una sorta di proliferazione e successiva “selezione
naturale” di ipotesi diagnostiche concorrenti, al termine della quale
sopravvive l'ipotesi più adatta a spiegare i sintomi e a dirimere i dubbi
diagnostici. Più il sintomo è aspecifico e isolato più elevata è l’incertezza ed
ampia sarà la gamma di ipotesi generate mentalmente e messe alla prova del
processo di selezione per eliminazione progressiva fino alla diagnosi. Gli
accertamenti diagnostici, in presenza di un sintomo aspecifico isolato, sono
funzionali più che alla conferma alla cosiddetta diagnosi d’esclusione per confutazione
progressiva di ipotesi.
In presenza di un sintomo specifico il quesito diagnostico nella richiesta di accertamenti sarà altrettanto specifico e dettagliato
- ovvero sintomo+segno+sospetto ed eventuali comorbilità/rischi significativi -
mentre nel sintomo aspecifico sarà il mero disturbo lamentato dal paziente,
senza una chiara ipotesi esplicativa. Il primo procedimento diagnostico è la
sintesi tra l'approccio induttivo bayesiano e quello ipotetico, mentre il
secondo è squisitamente ipotetico-selettivo per eliminazione di ipotesi (nel canonico procedimento scientifico ipotetico-deduttivo si confrontano di solito due
ipotesi teoriche alternative).
Spesso di fronte al sintomo
aspecifico si deve attendere l'evolvere degli eventi che possono condurre ad un
naturale chiarimento dei disturbi e ad una diagnosi grazie al miglioramento
della specificità dei sintomi successivi: il tempo e/o le nuove informazioni
sono il motore che fa progredire il processo diagnostico fino al suo esito
finale (purtroppo nelle malattie rare questo processo è spesso assai lento fino
a raggiungere gli anni). In attesa che,
grazie al fattore tempo, emergano altri "indizi", proprio come nella
classica indagine giudiziaria, si devono prescrivere perlomeno alcuni esami di
primo livello, con l'obiettivo di sfoltire la lista delle potenziali ipotesi.
Ad esempio di fronte ad un paziente
con febbre o prurito isolato o astenia il numero di possibili malattie supera
le decine, per cui non è possibile avanzare ipotesi diagnostiche specifiche; si
dovrà quindi procedere per macro-ipotesi fisiopatologiche alternative (ad
esempio origine infettiva, neoplastica, ematologica, immunologica e di origine
sconosciuta) e quindi in prima battuta dovranno essere sondate tutte le piste
“investigative”, con accertamenti a 360 gradi, per poi restringere via via il
campo, ad esempio ad una ipotesi infettiva di natura virale, piuttosto che
batterica o parassitaria.
Il
processo di proliferazione/selezioni delle ipotesi utilizzato in presenza di
sintomi aspecifici può essere assimilato al metodo scientifico descritto
sinteticamente dal filosofo della scienza Karl Popper, in analogia
all’evoluzione biologica: "Il progresso scientifico non consiste
nell’accumulazione di osservazioni, ma bensì nell’eliminazione delle teorie
meno buone e nella loro sostituzione con teorie migliori, in particolare con
teorie che abbiano un contenuto maggiore. Si trattava quindi di una
competizione fra teorie, una specie di lotta darwiniana per la
sopravvivenza". Basta sostituire il termine "teoria" con
"ipotesi diagnostica" e il gioco è fatto.
P.S. Corte di cassazione - Sezione III civile - Ordinanza 30 novembre 2018 n.
30999
Nel 2001 M.A. decedette in seguito alle conseguenze della rottura di un
aneurisma cerebrale. Nel 2002
la moglie ( C.A.) ed i due figli minori ( M.A. e G.) di M.A. convennero dinanzi
al Tribunale di Nuoro Mu.Lu., F.R.M.N. e la AUSL n. (OMISSIS) di Nuoro,
esponendo che:
- il rispettivo marito e padre, M.A., il
(OMISSIS) ebbe uno svenimento e, su indicazione del medico curante, si rivolse
al pronto soccorso dell'ospedale (OMISSIS), dove venne visitato dalla dott.ssa
F.R.M.N., la quale gli prescrisse unicamente una visita cardiologica ed il
controllo della pressione sanguigna;
- cinque giorni dopo ((OMISSIS)), sempre su
indicazione del medico curante, a causa d'una preesistente cefalea M.A. tornò
nel medesimo ospedale, dove venne visitato dalla dott.ssa Mu.Lu., la quale
anche in questo caso non prescrisse particolari accertamenti diagnostici,
limitandosi a prescrivere l'assunzione del farmaco Laroxil;
- il (OMISSIS) M.A. venne colto da una emiparesi
sinistra; questa volta, sempre nell'ospedale di (OMISSIS), venne sottoposto ad
un esame TAC del cranio, che rivelò la presenza d'un ematoma intracranico,
dovuto alla rottura d'un aneurisma:
- sebbene il paziente, trasferito a (OMISSIS),
fosse stato ivi sottoposto ad intervento chirurgico di evacuazione dell'ematoma
e di chiusura della lesione che l'aveva provocato ("clippaggio"
dell'aneurisma), M.A. decedette il (OMISSIS) a causa delle conseguenze del
pregresso ematoma intracranico;
- i sanitari dell'ospedale di (OMISSIS) furono
imperiti e negligenti nella gestione del paziente, dal momento che non lo
sottoposero tempestivamente a quegli esami (come una TAC del cranio) che
avrebbero potuto rivelare la presenza dell'aneurisma, e consentire più
tempestive e salvifiche cure.
Conclusione: la sentenza
impugnata va dunque cassata con rinvio alla Corte d'appello di Cagliari, la
quale nel riesaminare il gravame applicherà il seguente principio di diritto: tiene una
condotta colposa il medico che, dinanzi a sintomi aspecifici, non prenda
scrupolosamente in considerazione tutti i loro possibili significati, ma senza
alcun approfondimento si limiti a far propria una sola tre le molteplici e non
implausibili diagnosi.