sabato 20 giugno 2020

Covid-19: incertezza, varietà e complessità della pratica clinica

La pratica medica è stata influenzata fino a mezzo secolo fa dal modello della Razionalità Tecnica (RT) che prevede per il professionista un ruolo meramente esecutivo nel senso dell’«aderenza procedurale a protocolli operativi scientificamente validati». La R.T. interpreta l’attività pratica come soluzione strumentale di un problema attraverso la rigorosa applicazione di leggi generali, tecniche scientificamente definite e procedure validate: «dal punto di vista della Razionalità Tecnica, la pratica professionale è un processo di soluzione dei problemi. Problemi di scelta o decisionali sono risolti mediante la selezione, fra i mezzi disponibili, di quello che meglio si adatta a determinati fini». Nell’attività pratica il medico deve semplicemente far riferimento a valutazioni standard, applicare routine e schemi d’azione pre-definiti per inquadrare e risolvere la situazione problematica, rispetto «ai quali i diversi casi e le diverse situazioni dovevano in qualche modo poter corrispondere per essere gestiti in modo efficace».( https://www.medicinanarrativa.eu/modello-della-razionalita-tecnica )

La RT è stata messa in discussione, a partire dagli anni ottanta del secolo scorso, dalla consapevolezza “dell’importanza per la pratica reale di fenomeni – complessità, incertezza, instabilità, unicità e conflitti di valore – che non si accordano con il modello della razionalità tecnica”.  Nella prospettiva riflessiva, definita dal cognitivista Donald Schön, considerando solo la “soluzione tecnica di problemi” si finisce per trascurare “l’impostazione del problema”, che implica la conoscenza implicita nell'azione, processi decisionali e metodologie per un efficace problem solving (https://mega.nz/file/HuB3hYCC#ZhN7CSIO62ZGBeZV5GRorsFioWZrfqL1vJXv8lFjHEM). 

Nella pratica sul campo non tutte le situazioni possono essere risolte applicando teorie generali e tecniche standardizzate, poiché alcuni casi non si presentano come problemi “dati” e ben definiti in partenza, ma come situazioni “incerte, complesse, uniche”. Proprio in queste caratteristiche rientrano le questioni di maggiore interesse umano e i problemi più difficili che sfuggono alla standardizzazione delle routine. Schön sostiene che le situazioni connotate da incertezza, varietà, instabilità, complessità o conflitti di valore possano essere affrontate attraverso un processo di riflessione secondo due modalità: la “conoscenza nell’azione” e la “riflessione sull’azione” (http://nuovadidattica.lascuolaconvoi.it/agire-organizzativo/3-la-conoscenza/donald-alan-schon/ )

Nelle situazioni reali «i problemi non si presentano al professionista come dati. Essi devono essere costruiti a partire dai materiali di situazioni problematiche che sono sconcertanti, turbative, incerte. Per trasformare una situazione problematica in un problema, il professionista deve svolgere un certo tipo di lavoro». Il professionista deve riequilibrare e ricomporre la tensione tra una conoscenza schematica a priori, acontestuale e spesso rigida, e un sapere pratico in azione, cioè situato nel contesto, flessibile e dinamico.  Per risolvere il dilemma tra agire secondo standard d'azione prefissati o secondo un principio di pertinenza rispetto al singolo caso si può ricorrere a due forme di riflessione 
  •       una sorta di conversazione con la situazione problematica, quando il professionista è impegnato nel tentativo di trovare soluzioni immediate
  •       la riflessione a posteriori sull’azione, di carattere meta-cognitivo, grazie allo scarto temporale, al distanziamento critico ed emotivo rispetto all’urgenza dell’agire.
Nel tentativo di comprendere le criticità emerse nella gestione della pandemia da covid-19 utilizzerò le categorie proposte da Schon per caratterizzare il problem solving individuale del professionista riflessivo nel contesto della pandemia. Si tratta di un’analisi ex post, ovvero una ricostruzione con il senno di poi, di come è stata affrontata collettivamente l’emergenza pandemica attraverso il metodo per tentativi ed errori, che mai come in questa occasione è risultato evidente (e sconcertante) per l’opinione pubblica. Il sistema e i professionisti sanitari hanno dovuto fronteggiare una situazione epidemica unica, di imprevedibile complessità, fonte di incertezza a vari livelli, instabilità e tensioni per la tenuta della rete ospedaliera e territoriale, come mai era accaduto nell'ultimo secolo. Ecco il suo schematico profilo.

Incertezza.
Ha punteggiato tutta l’evoluzione della pandemia, sia a livello di scelte ministeriali che di valutazioni cliniche individuali e degli epidemiologi.
  • All’inizio dell'epidemia l'incertezza era correlata alla sovrapposizione tra criteri diagnostici ministeriali schematici (sintomi + provenienza geografica) e la concomitante coda dell’epidemia influenzale; la compresenza tra primi casi di Covid-19 e sindrome influenzale ha ingenerato confusione diagnostica, probabilmente all'origine di alcuni fatali contagi tra i medici del territorio, recatisi al domicilio dei pazienti senza adeguate protezioni individuali;
  • l’impossibilità di prescrivere sul territorio il tampone naso-faringeo, per discriminare tra le due virosi, ha accentuato i dubbi dei medici pratici; l'incertezza è stata enfatizzata dal carattere poliedrico delle manifestazioni cliniche non comprese nei criteri ministeriali di definizione del caso sospetto (basti pensare ai sintomi gastrointestinali e all'anosmia/ageusia) rivisti ripetutamente rispetto a quelli di febbraio ma pur sempre schematici;
  • infine nell’ultima fase dell’epidemia, per la diffusione dei tamponi e del dosaggio anticorpale, è mutato il contesto epidemiologico ed è cresciuta l’incertezza circa la valutazione quotidiana dei nuovi casi comunicati dalla Protezione Civile. In realtà dal mese di maggio sono stati registrati in prevalenza casi di soggetti asintomatici contagiati nei mesi precedenti: agli effettivi nuovi pazienti sintomatici, peraltro scarsi e di lieve entità, si sono aggiunti i tamponi positivi riscontrati in prevalenza tra soggetti IgG positivi e quelli individuati con lo screening di massa del personale sanitario, dei candidati a ricoveri chirurgici, degli accessi in PS, dei ricoverati etc..
All’incertezza clinica sopra schematizzata si è aggiunta quella epidemiologica sull’origine della pandemia in Italia, con una datazione variabile dei primi casi sia in Europa sia in Cina, e quella sull’interpretazione clinica del tampone in relazione alla quantificazione della carica di RNA. Con indagini di biologia molecolare più approfondite è stata documentata una grande variabilità nella carica virale, assai elevata ed altrettanto contagiosa nelle prime fasi cliniche piuttosto che a basso rischio negli asintomatici.  

Unicità e varietà.
La sintomatologia e il decorso della pandemia hanno avuto una poliedricità clinica sconosciuta nelle precedenti epidemie influenzali, si è scontrata con la rigidità dei criteri delle circolari ministeriali per la denuncia di un caso sospetto e per la prescrizione del tampone diagnostico. L’anosmia/ageusia, segnalata clinicamente fin dalla metà di marzo, è stata ignorata dalle circolari ministeriali fino alla metà di maggio, pur essendo il sintomo più specifico tra quelli attribuibili alla malattia da Covid-19 tanto da renderlo quasi patognomonico.

Instabilità.
L’evoluzione della pandemia nell'arco di tre mesi, documentata dalle statistiche sui nuovi casi, ricoveri in terapia intensiva, guarigioni, dimissioni ospedaliere, segnalazioni alle USCA ha cambiato radicalmente lo scenario epidemiologico e clinico rispetto all’ondata iniziale; a questa instabilità si è aggiunta anche quella dell’evoluzione clinica, imprevedibile nei singoli casi ricoverati in rianimazione, con aggravamenti improvvisi e spesso fatali di difficile interpretazione fisiopatologica.

Complessità.
Si è manifestata a livello di interazione tra virus ed ospite con interpretazione fisiopatologiche che si sono susseguite nelle settimane in relazione alle nuove acquisizioni della ricerca. La prima interpretazione della polmonite interstiziale come infiltrato infiammatorio è stata superata dall'osservazione del ruolo pro-trombotico del virus in vari organi a partire dal parenchima polmonare. 

Conflitti di valore.
Si sono manifestati a due livelli: con il dilemma dell’appropriatezza nella richiesta del tampone diagnostico, nel caso 1 all’ospedale di Codogno il 20 febbraio, e con la gestione dei casi più gravi in terapia intensiva nel picco epidemico di marzo. A Codogno è stato grazie ad una violazione delle regole prescrittive ministeriali, circa l'appropriatezza del tampone naso-faringeo, che la dott.ssa della terapia intensiva ha risolto il caso della strana polmonite che da alcuni giorni aveva condotto il paziente 1 ripetutamente in ospedale e messo a dura prova le abilità diagnostiche dei sanitari. Durante la fase di maggior afflusso in TI i medici hanno dovuto fronteggiare difficili situazioni decisionali per la sproporzione tra la domanda e l'effettiva disponibilità di respiratori per tutti i ricoverati. Anche la terapia farmacologia, in assenza di trial clinici sull'efficacia dei farmaci, ha proposto un dilemma etico-deontologico tra necessità di intervenire in situazioni di grave pericolo per la vita e mancanza di prove scientifiche a supporto di alcuni trattamenti, se non altro riguardo alla loro sicurezza come nel caso del Plaquenil. 

CONCLUSIONI. Il paradigma dell'epistemologia della pratica e il modello del professionista riflessivo possono essere utili per interpretare sia le scelte cliniche individuali sia la gestione pubblica della pandemia da Covid-19.

Bibliografia
Schön D.A. (1993). Il professionista riflessivo. Bari: Edizioni Dedalo.
Schön D.A. (2006). Formare il professionista riflessivo. Per una nuova prospettiva della formazione e dell’apprendimento nelle professioni. Milano: FrancoAngeli.
Striano M. (2001). La razionalità riflessiva nell’agire educativo. Napoli: Liguori.

sabato 6 giugno 2020

Il grande equivoco dei tamponi positivi e dei nuovi contagi

Da 3 mesi a questa parte i tamponi vengono eseguiti, in numero crescente rispetto al mese di marzo, in 6 categorie di sintomatici o asintomatici:
  • conferma diagnostica in caso di sintomi sospetti per Malattia da Covid-19 (incidenza giornaliera o settimanale) e casi a decorso asintomatico (1/3 circa dei contagiati)
  • conferma della guarigione nei convalescenti, dopo 14 giorni di quarantena, che talvolta restano positivi al tampone per ulteriori settimane (spesso tamponi con debole positività)
  • screening, ad esempio sul personale sanitario, forze dell'ordine, vigili del fuoco, comunità etc
  • tamponi eseguiti in soggetti asintomatici che accedono al PS, al ricovero ordinario o in pre-ricovero per intervento chirurgico
  • controllo della positività al tampone in caso di IgG positive (pregressa malattia o in asintomatici)
  • tamponi eseguiti in soggetti asintomatici in contatto stretto con una caso di malattia.
Visto l’andamento dei ricoveri e degli accessi in PS, in costante calo per Covid-19 e in aumento per altri motivi, il crescente numero di tamponi eseguiti giornalmente (sempre oltre i 50 mila) e la bassa percentuale dei positivi (attorno all'1%) è lecito ipotizzare che buona parte di questi ultimi appartengano alla prima e terza categoria. Insomma lo scenario è completamente cambiato rispetto a marzo, quando si facevano pochi tamponi e tutti per la diagnosi di nuovi casi/contagi mentre oggi questi sono probabilmente una minoranza rispetto alle altre tipologie (si veda il PS).

Ecco i dati del 5 giugno: aumentano i tamponi e tornano a salire i contagi: 518. Aumentano anche i dimessi/guariti, 1886 e i casi attivi scendono a 36976 (31359 a casa, 5301 in ricovero ordinario e 316 in terapia intensiva). I deceduti sono stati 85 mentre sono stati testati con tampone "diagnostico" 40470 soggetti su un totale di 65028 tamponi effettuati, con un positivo ogni 78 persone, ovvero 1,3%. Il guaio è che da oltre un mese non sappiamo come siano distribuiti i tamponi positivi nelle due categorie (tamponi “diagnostici” vs “non diagnostici”) informazione chiave per monitorare l’evoluzione giornaliera della pandemia, distinguendo l'incidenza di nuovi casi rispetto agli esiti di quelli registrati nei mesi precedenti (ad esempio soggetti dimessi dopo degenze in TI e in medicina con persistente positività del tampone, nonostante la guarigione clinica).

Tanti indizi registrati da chi lavora sul campo dal mese di maggio (medici di PS, TI e reparti medici, USCA, CA e MG, tecnici di laboratorio etc..) convergono verso la convinzione che la maggioranza dei positivi siano tamponi “DI LABORATORIO” (screening su personale sanitario o pre-ricovero per intervento, follow-up di tamponi per documentare la guarigione spesso positivi, tamponi per denunciati in ritardo rispetto alle manifestazioni cliniche e guariti, tamponi fatti in soggetti con sierologia positiva etc..) ovvero non siano tamponi CLINICI di persone con sintomi recenti e in atto, diagnosticati sul territorio o in ospedale. Tuttavia sulla stampa i tamponi positivi vengono etichettati tutti come “nuovi contagi” ma non è così, perché probabilmente sono in maggioranza vecchi contagi che restano positivi per settimane, anche dopo la guarigione e i canonici 14 giorni di quarantena. Inoltre non è chiara la composizione dei due gruppi di tamponi positivi.

Ciò vale soprattutto per la Lombardia, che da sola ha registrato la metà dei casi italiani e che quindi ha più probabilità di avere tamponi positivi per screening o tra chi è clinicamente guarito ma resta positivo per altre settimane, data l’elevatissima incidenza della malattia. Insomma il dato grezzo del numero di tamponi positivi non ci dice nulla sull’evoluzione attuale della pandemia, anzi ci fornisce una falsa rappresentazione della realtà, che a sua volta genera ansia e una percezione pubblica distorta dei fatti.

D’altra parte basta guardare l’evoluzione del rapporto tra nuovi tamponi positivi e numero di tamponi quotidiani per rendersi conto che si fanno sempre più tamponi, che danno sempre meno positività in parallelo con l’aumento dei guariti e dei dimessi, la riduzione dei ricoveri ospedalieri, dei ricoverati in TI e dei decessi. A marzo i tamponi positivi erano in gran parte "nuovi contagi" ma dalla fine di aprile non vale più l'equazione tampone positivo=nuovo caso di covid-19, perchè è nella massa dei guariti a casa e dei dimessi portatori del virus al follow-up che si annidano in maggioranza i tamponi positivi!

P.S. L’OMS considera un caso di coronavirus una persona con una conferma di laboratorio del virus che causa covid-19 A PRESCINDERE dai segni e sintomi clinici.

Tra i tamponi positivi sono compresi (a) quelli di GUARIGIONE o di CONTROLLO, che talvolta restano positivi dopo la quarantena, e (b) quelli DIAGNOSTICI o PRIMARI, che comprendono le seguenti categorie:

1- pazienti positivi per nuovi casi sintomatici recenti da Covid-19 (incidenza giornaliera),
2- tamponi positivi per screening in soggetti asintomatici, tipo operatori sanitari, polizia, vigili del fuoco
3- quelli positivi eseguiti in caso di positività delle IgG, senza una precedente diagnosi di Covid-19,
4- quelli fatti di routine a persone che si presentano in PS senza sintomi covid o in soggetti candidati ad un intervento
5- positivi che hanno avuto sintomi settimane o mesi precedenti ma che però sono stati denunciati a posteriori, ovvero dopo l’avvenuta guarigione.

Quindi l'incidenza giornaliera di nuovi casi è solo una frazione del numero totale comunicato alla stampa, che erroneamente mette tutti i positivi nella macro-categoria dei "nuovi contagi"; purtroppo la mancata differenziazione delle sottocategorie di positivi genera l'impressione di un persistenza del contagio e di perdita del controllo, creando ansia tra la gente.