giovedì 29 dicembre 2022

Proposta di revisione della PiC: anno nuovo PiC nuova

DGR N.7758/2022: INDIRIZZI DI PROGRAMMAZIONE PER L'ANNO 2023

SVILUPPO DELLA PiC DEL MEDICO DI FAMIGLIA

Nel corso del 2023 proseguirà il percorso di sviluppo del modello di presa in carico del paziente cronico da parte del Medico di Famiglia, che sarà semplificato e integrato con la nuova rete di offerta territoriale ex DGR XI/6760. Di seguito si delineano i punti cardine del percorso, che saranno normati da specifici atti in corso d’anno.

Tutti i MMG (in cooperativa, in forma associata, singoli) potranno arruolare attivamente i propri pazienti con una patologia cronica adeguatamente gestibile a livello territoriale e redigere per loro un PAI. I pazienti coinvolti in percorsi di carattere ospedaliero seguiranno invece un modello semplificato (senza formalizzazione di un PAI) che prevede che l’Ente da cui sono seguiti sia remunerato sulla base dell’effettiva presa in carico, misurata come la quota di prestazioni collegate alla patologia svolte all’interno della struttura. Le patologie ricomprese in quest’ultima casistica saranno esplicitate in successivi atti e non sono pertanto oggetto di questo documento.

Il modello di stratificazione della popolazione, come già previsto e implementato con la DGR X/6164 del 2017 e in coerenza con quanto previsto dal DM 77, stratificherà la popolazione su 5 livelli, da sano a complesso pluri-patologico.
All’interno dell’algoritmo saranno ulteriormente implementate le dimensioni collegate alla fragilità del paziente.

Sulla base della stratificazione, la Direzione Generale Welfare definirà target prioritari di reclutamento declinati per le ATS, che definiranno di conseguenza obiettivi specifici alle proprie ASST, tenendo conto di eventuali contingenze e situazioni epidemiologiche o organizzative specifiche. La responsabilità del raggiungimento dei target rientrerà tra gli obiettivi del Direttore Generale di ASST e tra le responsabilità specifica dei Direttori di Distretto. Questi ultimi saranno chiamati a valorizzare la relazione con le cooperative già attive nell’attuale modello di PIC, con le AFT territorialmente competenti e con la rete dei professionisti presenti nelle Case di Comunità (es. IFeC, specialisti ambulatoriali, ecc.).

In fase iniziale, i target di presa in carico si focalizzeranno sulle 10 patologie croniche a maggiore prevalenza, ferma restando la possibilità per i MMG di redigere Progetti di Salute e Progetti di assistenza individualizzati e integrati (PAI) per tutti gli assistiti che potrebbero trarne vantaggio dal punto di vista clinico. Il target di arruolamento sarà progressivamente crescente negli anni.

Le fasi del processo di presa in carico a gestione del Medico di Medicina Generale saranno:
  • reclutamento attivo dei pazienti per raggiungere i target assegnati. In questa fase i MMG potranno essere supportati dal personale di studio o di cooperativa, dagli IFeC e dagli altri professionisti presenti in CdC e nel Distretto; fase i MMG potranno essere  supportati dal personale di studio o di cooperativa, dagli IFeC e dagli altri professionisti presenti in CdC e nel Distretto; 
  • definizione e sottoscrizione del PAI;
  • prenotazione prestazioni e visite. Accanto alla possibilità di gestione delle prenotazioni effettuata attraverso le strutture e le figure professionali di cui al punto precedente e dalla COT, la generazione del PAI prevedrà un processo automatico in back office di prenotazione delle prestazioni, anche eventualmente sottoforma di day service, che possa consentire anche l’accesso autonomo del paziente con PAI attivo ad agende dedicate;
  • supporto all’aderenza. Il MMG attribuisce la responsabilità del processo di case management tra l’infermiere di studio, il personale del centro servizi di case  management tra l’infermiere di studio, il personale del centro servizi di cooperativa, dalla COT oppure dagli IFeC della CdC; case management tra l’infermiere di studio, il personale del centro servizi di cooperativa, dalla COT oppure dagli IFeC della CdC;
  • monitoraggio degli esiti di salute e dell’aderenza al percorso, al quale brevemente riportati di seguito. conseguirà la corresponsione di una tariffa, secondo i meccanismi brevemente riportati di seguito. prenotazioni effettuata attraverso le strutture e le figure professionali di cui al punto precedente e dalla COT, la generazione del PAI prevedrà un processo automatico in back office di prenotazione delle prestazioni, anche  ventualmente sotto forma di day service, che possa consentire anche l’accesso autonomo del paziente con PAI attivo ad agende dedicate;
  • supporto all’aderenza. Il MMG attribuisce la responsabilità del processo di case management tra l’infermiere di studio, il personale del centro servizi di cooperativa, dalla COT oppure dagli IFeC della CdC; case management tra l’infermiere di studio, il personale del centro servizi di cooperativa, dalla COT oppure dagli IFeC della CdC;
  • monitoraggio degli esiti di salute e dell’aderenza al percorso, al quale conseguirà la corresponsione di una tariffa, secondo i meccanismi brevemente riportati di  seguito. conseguirà la corresponsione di una tariffa, secondo i meccanismi brevemente riportati di seguito.
Al fine di riconoscere e remunerare adeguatamente tutti gli attori del percorso, la tariffa di presa in carico verrà suddivisa in diverse componenti, che consentono di graduare la corresponsione di parte della retribuzione al conseguimento di target definiti e di riconoscere un compenso specifico al soggetto che svolge effettivamente le attività previste dal percorso (es. centro servizi di cooperativa, COT, infermiere di studio, IFeC, centro servizi della casa di Comunità, ecc…).
La retribuzione verrà corrisposta seguendo logiche differenti a seconda del livello di complessità del paziente
.
 
Punti principali del modello revisionato, presentati al coordinamento regionale per le cure primarie

1 - Il documento si focalizza sul modello di presa in carico territoriale da parte del Medico di Famiglia. Per MMG la partecipazione non è opzionale. Si prepone invece che i percorsi prevalentemente ospedalieri seguano un modello semplificato (no PAI) brevemente descritto di seguito e misurato sulla base del conseguimento di esti di aderenza e clinici.

2 - Il modello di stratificazione della popolazione rimane quello proposto dalla DGR /6164, dal sano al complesso pluripatologico. In coerenza con quanto previsto dal DM 77 eventualmente integrato con ulteriori dimensioni di stratificazione legate alla fragilità del paziente. Da valutare se in fase iniziale se limitare la PiC ad alcune patologie (es. 10 patologie croniche maggiore prevalenza oppure le patologie legate alle specialità previste in COT secondo DGR).3 

3 - Sulla base della stratificazione si definisce target di reclutamento declinati per ATS, che stabiliranno di conseguenza obiettivi specifici delle proprie ASST tenendo conto delle situazioni particolari. La responsabilità del raggiungimento dei target rientra nel portafoglio di obiettivi del Direttone Generale ASST. Il DG dell’ASST assegna gli obbiettivi ai singoli Distretti. Il direttore di Distretto è responsabile del loro raggiungimento, attraverso la valorizzazione delie CdC e del network di MMG.

Il target dovrebbe essere progressivo e crescente negli anni, con partenza dalla baseline di circa 200mila cronici

  • 2023: 200mila cronici
  • 2024: 300mila cronici
  • 2025: 500mila cronici
  • 2026: 800mila cronici
  • 2027: 1,2 ml cronici
  • 2028: 1,7 ml cronici

4 - Le fasi del processo PC a gestione del MG Saranno

  • reclutamento attivo dei pazienti per realizzare i target assegnati
  • arruolamento e definizione PAI
  • prenotazione prestazioni e visite
  • supporto all’aderenza
  • raggiungimento degli esiti

5 - Rispetto al modello attuale il processo prevede tre modifiche sostanziali

·       La firma del Patto s Cura vene eliminata, con il fine di snellire processo di arruolamento; a tal fine verrà introdotta la sottoscrizione del PAI sia da parte del professionista sia del paziente

·       La generazione del PAI deve prevedere un processo automatico in back office di prenotazione delle prestazioni o comunque di accesso per i pazienti PIC ad agende dedicate

·       La tariffa di presa in carico vene suddivisa in diverse componenti che consentono di condizionare la corresponsione di parte della retribuzione al conseguimento di target definiti e la possibilità d riconoscere un compenso specifico al soggetto che svolge effettivamente l’attività

6 – Il modello viene differenziato a seconda della complessità del paziente in termini di

  • Attori coinvolti (MMG, specialisti, iFeC nella redazione del PAI nel supporto alla compliance)
  • Logiche e meccanismi retributivi

Paziente Semplice

  • PiC dei MMG senza rilevanti interazioni con gli specialisti
  • MMG responsabile della redazione del PAI
  • MMG responsabile di reclutamento, arruolamento e PAI, invito all’uso di strumenti di supporto al supporto alla compliance, monitoraggio del raggiungimento degli esiti

Paziente Complesso

  • PiC da parte del MMG con interazione con gli specialisti
  • MMG responsabile della redazione del PAI (per la la quale ha possibilità di interfacciarsi con lo specialista e con IfeC, operatori sociali in CdC) e del raggiungimento degli esiti
  • Possibilità di coinvolgere attori terzi come il centro servizi di cooperative e di CdC) per le prenotazioni e il supporto all'aderenza

Percorso ospedaliero

  • PIC ospedaliera
  • Il Percorso gestito e interamente all'interno della struttura di riferimento
  • Non è necessaria la stesura del PAI
  • Si verifica ex post che almeno l’80% delle prestazioni per le patologie principali e correlate siano svolte interamente all'ospedale (o le sue reti)

 Resta da definire chi siano i pazienti/patologie per quali è opportuno prevedere questo percorso.

 Meccanismi retributivi

La retribuzione viene corrisposta seguendo logiche differenti a seconda del livello di complessità del paziente

  • Redazione PAI  25% pz. complesso
  • Prenotazione delle prestazioni  25% pz. complesso
  • Rispetto del percorso  50% semplice, 25% complesso, 25% ospedaliero
  • Raggiungimento esiti clinici  50% semplice, 25% complesso, 75% ospedaliero

COMMENTO

 Due sono gli elementi positivi: l’eliminazione dell'inutile patto di cura e soprattutto del Gestore ospedaliero, che dovrebbe preludere al "ritorno" della PiC nelle strutture della rete territoriala, ovvero Distretti, Case ed Ospedali di comunità, sedi naturali del centro servizi, del coordinamento e dell'integrazione sistemica dei PDTA in collegamento con le AFT.

 Criticità:

·      conservazione del Pai per i cronici semplici senza danno d’organo o monopatologici in buon compenso

·       poca chiarezza sulla PiC delle strutture senza Pai

·       scarso rilievo alla gestione integrata sociosanitaria ed assistenziale dei fragili

·       vaghezza sulle piattaforme informatiche di gestione del PAI 

  

Per quanto riguarda i PAI non si capisce come una struttura che prende in carico pazienti monopatologici complessi o pluripatologici possa fare a meno del PAI, che deve invece essere compilato dal MMG che gestisce in maggioranza semplici portatori di fattori di rischio asintomatici; questi pazienti necessitano prevalentemente di esami ematici di controllo, cioè senza alcun bisogno di prenotazioni o slot dedicati, e possono essere seguiti secondo le indicazioni dei principali PDTA (ipertensione e diabete). Inoltre la prenotazione automatica in back office delle prestazioni o di accesso ad agende dedicate è di fatto un’applicazione di routine delle indicazioni del Pdta, in antitesi con il criterio di personalizzazione implicito nello strumento PAI.

 Le principali perplessità riguardano:

  • poca attenzione e chiarezza sugli aspetti organizzativi (ruolo della coop e della Case della Comunità), scarso coinvolgimento delle Aft e delle UCCP, strumenti indispensabili per la formazione, la gestione dei dati, il confronto tra pari e il benchmarking
  • nessun accenno ai problemi informatici correlati alle piattaforme regionali che hanno decretato il fallimento della prima PiC per assenza di interoperabilità, punto chiave di tutta l’applicazione del percorso
  • target di esito nebulosi e senza riferimento ai Pdta, che sembrano abbandonati. 
Mancano riferimenti alla stratificazione/valutazione del rischio, specie per i soggetti senza complicanze o pregressi eventi, a cui si adattano indicatori, standard/target e prestazioni previste dai Pdta, senza  ridondanti Pai, da riservare prioritariamente ai casi con alto rischio, complicazioni e soprattutto ai polipatologici fragili a gestione domiciliare.

 Ipotesi di destinatari del PAI

  • Patologie a bassa prevalenza ad alto rischio (scompenso e/o FA, BPCO, demenza etc.)
  • Patologie ad elevata prevalenza con plurime complicanze (diabetici e/o cardiopatici e/o dislipidemici)
  • Soggetti ad alto rischio CCV e metabolico
  • Polipatologici, fragili, non autosufficienti in ADP/ADI

domenica 25 dicembre 2022

Passaggio alla dipendenza e proposta di specializzazione, che fine hanno fatto?

Si avvicina capodanno ed è tempo dei bilanci che, con la lenta “normalizzazione” del covd-19, possono abbracciare il triennio orribile 2020-2022. Il dibattito pubblico sulla medicina del territorio durante la pandemia ha avuto tre fasi.

Nel pieno della tempesta perfetta del 2020 sono stati encomiati gli eroi della resistenza al covid-19, se non altro perché un centinaio di loro erano caduti sul campo di battaglia nelle prime due ondate.

L’anno successivo i sopravvissuti sono finiti sul banco degli imputati, come ha osservato Antonio Panti, facendo leva su una rodata stigmatizzazione sociale: “da eroi a capri espiatori il passo è più breve di quanto sembri”. Archiviato l’encomio è andata in onda la campagna pubblica di biasimo verso gli (immaginari) libero-professionisti dai lauti guadagni, fannulloni che lavorano quindici ore e non rispondono al telefono, frutto di pregiudizi e vari bias cognitivi coltivati dai presunti esperti. 

A dispetto di un profilo professionale così appetibile sul territorio "abbandonato" - come titolava la lettera di denuncia dei colleghi di Codogno nel marzo 2020 - si ampliava la voragine tra uscita pensionistica anticipata di massa ed entrata in campo di nuove leve, per cui milioni di italiani restano privi di assistenza. Com'è possibile che con tutti questi privilegi in alcune regioni non vengono assegnate tutte le borse del Corso o che una parte dei "diplomati" rinunci alla professione? I dubbio però non sfiora gli accigliati censori dei libero-professionisti di base...

Nella terza fase sono state avanzate due soluzioni per risollevare le sorti della categoria in occasione del varo del PNRR: il passaggio dei convenzionati alla dipendenza pubblica e la trasformazione della Corso regionale di Formazione Specifica in una specializzazione universitaria. Si tratta dell'ennesima invocazione del mantra che da anni ormai è il leit motif del dibattito pubblico: servono le (ennesime) salvifiche riforme! Che fine hanno fatto queste proposte?

La prima ipotesi, sponsorizzata da una composita lobby politico-sindacale, è tramontata per il combinato disposto tra contraccolpi finanziari pandemici e bellici, da un lato, che hanno prosciugano il fondo sanitario 2023-2025, e dall’altro per la fragilità di un progetto non supportato da un credibile studio di fattibilità economico-finanziaria, nel contesto di un Missione 6C1 di per sé ampiamente sottofinanziata.

E’ quindi rimasta in piedi solo la seconda opzione, accettata obtorto collo anche dai sindacati, accusati di cattiva gestione del Corso regionale, ai quali sarebbe stato impropriamente “appaltato”. Ma qual'è il quadro normativo che ispira il CFSMG? Come dovrebbe essere riconvertito in specializzazione accademica, ritenuta la panacea dei mali del territorio?

Per rispondere a queste domande bisogna risalire alle fonti normative della Formazione Specifica in MG risalente alla direttiva comunitaria 457 del lontano 1986, avente 2 finalità: consentire la libera circolazione dei medici previo reciproco riconoscimento tra gli stati membri dei diplomi comprovanti la formazione in MG conseguita, una volta allineata ai criteri “minimi” introdotti dalla Direttiva stessa.

Curiosamente la Direttiva non fa riferimento alla necessità di una specializzazione universitaria, sebbene non la impedisca, ma sottolinea alcune condizioni che sembrano implicitamente escludere la soluzione accademica: la secondo la direttiva la formazione in MG, della durata minima di 2 anni, deve "essere più pratica che teorica" da svolgersi in forma di tirocinio per 6 mesi presso "centri ospedalieri abilitati" e presso un "ambulatorio di medicina generale" o "in contatto con altri istituti o strutture sanitarie che si occupano di MG", senza indicazioni circa il contesto formativo universitario.

Ma c’è di più: alcune premesse agli articoli della direttiva tracciano un quadro generale e gli obiettivi della formazione specifica in MG che ha poco a che fare con l’insegnamento accademico. Ecco i passaggi principali, che sorprendono per l’attualità in rapporto al dibattito odierno:

·    lo sviluppo delle scienze mediche ha prodotto un divario sempre più ampio tra l'insegnamento e la ricerca medica da un lato e la pratica della medicina generale dall'altro, al punto che importanti aspetti della medicina generale non possono più essere insegnati in modo soddisfacente nel quadro della formazione medica di base esistente negli Stati membri;

·       a prescindere dal vantaggio che ne trarranno i pazienti, si riconosce altresì che un migliore adattamento del medico generico alla sua funzione specifica contribuirà a migliorare il sistema di dispensazione delle cure rendendo più selettivo il ricorso ai medici specialisti, nonché ai laboratori e ad altri istituti ed attrezzature altamente specializzati;

·       poco importa che la formazione in medicina generale venga dispensata o meno nell'ambito della formazione di base del medico ai sensi del diritto nazionale; è opportuno prevedere, in una seconda fase, che l'esercizio delle attività di medico in qualità di medico generico nell'ambito di un regime di sicurezza sociale sia subordinato al possesso della formazione specifica in medicina generale.

Insomma il messaggio è chiaro: il neolaureato, poichè “importanti aspetti della medicina generale non possono più essere insegnati in modo soddisfacente nel quadro della formazione di base”, non è in grado di assolvere ai suoi specifici compiti nel SSN, che abbia ricevuto o meno una formazione in MG nell’ambito della formazione curricolare. Serve invece un ciclo formativo più pratico che teorico, da svolgere dopo il corso di Laurea in centri ospedali e non cliniche universitarie e soprattutto nell’ambulatorio di MG o in analoghe strutture territoriali, ad esempio le future Case ed Ospedali di comunità dal PNRR. 

Sorprende che quasi 40 anni or sono nella UE le idee circa una valida formazione dei MMG fossero più chiare e distinte della scontata impostazione “otologica” oggi prevalente, che confida più in una etichetta accademica formale che nell'esperienza formativa di apprendistato socio-cognitivo sul campo.

sabato 24 dicembre 2022

La solitudine del medico del territorio

L’ultracentenaria storia sociale del medico del territorio è centrata sulla relazione diadica medico-paziente, in un’aura libero-professionale individualistica, con una debole identità culturale e una posizione marginale nell’organizzazione sanitaria ed estranea alle istituzioni accademiche.

Nell’ultima decade si è avviata una nuova fase riformatrice a partire della legge Balduzzi del 2012, che si proponeva di favorire tra i medici di medicina generale nuovi legami organizzativi, di tipo monoprofessionale e dal basso con le Aft – aggregazione funzionale territoriale, e multiprofessionali dall’esterno con le Uccp – Unità complesse di cure primarie. La pandemia ha fatto emergere annosi ritardi e inadempienze in questo processo, che ora la “Missione 6” del Pnrr dovrebbe compensare con le case e gli ospedali di comunità, che promettono un cambio di paradigma promuovendo lo sviluppo della comunità di pratica del territorio e la sua piena integrazione nella rete sociosanitaria.

Se l’isolamento fisico e relazionale del medico del territorio sembra avviato a soluzione. Ma c’è un’altra faccia della solitudine del medico del territorio non meno problematica, quella “epistemica”...
 

martedì 20 dicembre 2022

Direttiva comunitaria 86/457 sulla formazione in MG: più pratica che teorica!

Da un anno si discute molto dei limiti del CFSMG e della necessità che venga avviato l'iter per trasformare il corso in una vera e propria specializzazione gestita a livello universitario.

Tuttavia la direttiva comunitaria 86/457, cha ha introdotto l'obbligo della Formazione Specifica in MG ai fini della libera circolazione dei medici e del reciproco riconoscimento dei diplomi comprovanti la formazione in MG, non fa alcun riferimento ad una specializzazione di tipo universitario.

La direttiva sottolinea che la formazione, della durata minima di 2 anni, deve "essere più pratica che teorica", con un insegnamento da svolgersi in forma di tirocinio per 6 mesi presso "centri ospedalieri abilitati" e presso un "ambulatorio di medicina generale" e "in contatto con altri istituti o strutture sanitarie che si occupano di MG", senza indicazioni o necessità di corsi di specializzazione in ambiente universitario.

Ecco le eloquenti premesse della direttiva del 1986, che tracciano il quadro generale e gli obiettivi della formazione specifica in MG negli stati membri

  • si ammette, pressoché in generale, il bisogno di una formazione specifica del medico generico, che deve prepararlo ad adempiere meglio una funzione a lui propria e che tale funzione, basata in buona parte sulla conoscenza personale dell'ambiente dei suoi pazienti, consiste nel dare consigli relativi alla prevenzione delle malattie e alla protezione della salute dell'individuo considerato nel suo insieme, nonché nel dispensare le cure opportun;
  • lo sviluppo delle scienze mediche ha prodotto un divario sempre più ampio tra l'insegnamento e la ricerca medica da un lato e la pratica della medicina generale dall'altro, al punto che importanti aspetti della medicina generale non possono più essere insegnati in modo soddisfacente nel quadro della formazione medica di base esistente negli Stati membri;
  • a prescindere dal vantaggio che ne trarranno i pazienti, si riconosce altresì che un migliore adattamento del medico generico alla sua funzione specifica contribuirà a migliorare il sistema di dispensazione delle cure rendendo più selettivo il ricorso ai medici specialisti, nonché ai laboratori e ad altri istituti ed attrezzature altamente specializzati;
  • il miglioramento della formazione in medicina generale può rivalutare la funzione di medico generico e per tale movimento, apparentemente irreversibile, è opportuna la convergenza per tappe successive, affinché ogni medico generico abbia una formazione adeguata che risponda alle specifiche esigenze dell'esercizio della medicina generale;
  • per realizzare progressivamente tale riforma è necessario, in una prima fase, instaurare in ogni Stato membro una formazione specifica in medicina generale che risponda ad esigenze minime tanto qualitative che quantitative e che completi la formazione minima di base che il medico deve avere in virtù della direttiva 75/363/CEE; 
  • poco importa che la formazione in medicina generale venga dispensata o meno nell'ambito della formazione di base del medico ai sensi del diritto nazionale ; che è opportuno prevedere, in una seconda fase, che l'esercizio delle attività di medico in qualità di medico generico nell'ambito di un regime di sicurezza sociale sia subordinato al possesso della formazione specifica in medicina generale.
Conclusione. Per una formazione di qualità servono meno seminari e lezioni frontali di stampo universitario e più apprendistato situato nel full immersion esperienziale delle pratiche sul campo, in contesti ospedalieri e soprattutto territoriali, dagli studi medici alle Case della Comunità.

Al pari di seminari interattivi, simulazioni, lavori in piccoli gruppi, apprendimento situato basato sui casi, confronto tra pari, role playng, problem based leasing etc.,  è dirimente la guida di tutor ben preparati, motivati e riconosciuti.

L'etichetta ontologica di "specialista" non è la panacea, non basta a risollevare le sorti della MG e non è certo sostitutiva di questo modello di apprendimento socio-cognitivo, che piaccia o meno.

Quale confine tra task shifting ed usurpazione professionale?

Nnell’ultimo anno l’argomento task shifting è stato oggetto di dibattito pubblico fino a trovare spazio nell’agenda dei decision maker, soprattutto regionali, come opportunità per risolvere problemi organizzativi per carenza di operatori sociosanitari.

I progetti di task shifting devono però fare i conti con le relazioni non sempre armoniose tra categorie coinvolte nel passaggio di compiti, gelose della propria sfera di attività; i sociologi delle professioni utilizzano un termine mutuato dall’ambito giuridico, la “giurisdizione professionale”, per descrivere il legittimo esercizio di una professione e dei compiti ad essa affidati, in modo formale o informale.

 Continua su: https://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=109852

domenica 18 dicembre 2022

La crisi della medicina territoriale: declino o rinnovamento?

 La crisi della medicina territoriale

Dalla pandemia alla gestione della cronicità
tra rischio di declino ed opportunità di rinnovamento

Disponibile negli store; Boksprint edizioni, pag. 270, € 18,90, versione e-book € 3.49

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Introduzione

L’epidemia di Coronavirus ha avuto il suo epicentro nazionale in Lombardia e verrà ricordata nei prossimi decenni per il suo carattere improvviso e travolgente, che ha evocato una varietà di descrizioni metaforiche: battaglia campale, tsunami, tempesta perfetta, cigno nero, terremoto sanitario, bomba atomica, etc.  Passata la fase emergenziale è possibile avviare una riflessione critica sugli eventi e sugli effetti della pandemia, così rilevanti da mettere a dura prova la tenuta di tutto il sistema per un picco di domanda e un deficit di offerta difficili da fronteggiare ad ogni latitudine. Il Covid-19 ha avuto un  particolare impatto sulla medicina del territorio per le sue specifiche caratteristiche strutturali e funzionali, in particolare nelle zone a più alta incidenza della Lombardia, facendo emergere una crisi sistemica e professionale che ha radici profonde e lontane nel tempo.

A partire dalla seconda ondata la MG si è così trovata sul banco degli imputati per presunte “colpe” nella gestione della pandemia, con accuse di latitanza, scarsa professionalità, produttività oraria e disponibilità telefonica fino ad espressioni ingiuriose verso i “fannulloni” del territorio. Così per correggere questo stato di cose è stata invocata una profonda riforma dell’assistenza primaria, che si è concretizzata nei cambiamenti previsti dal PNRR, in particolare nelle strutture territoriali previste dalla Missione 6C1: Case ed Ospedali di Comunità, Centri Operativi Territoriali, Distretti e potenziamento dell’assistenza domiciliare.

Il volume si propone di fare il punto sulla crisi della medicina territoriale che ha innescato il processo di riforma del settore. Tuttavia restano ancora diverse aree di incertezza. Sul finire della quarta ondata di una lunga guerra contro il virus, dagli esiti vittoriosi grazie alle armi vaccinali, ecco che improvvisamente divampa di nuovo in Europa uno storico flagello, che a metà del novecento aveva già seminato morte, traumi, distruzione e sofferenze: il virus bellico nazionalista che rischia di pregiudicare il difficile ritorno alla normalità, dopo il contenimento di SARS-COV2, per le sue conseguenze economiche. 

Sul territorio la crisi si manifesta con il combinato disposto tra pensionamento anticipato di massa della generazione di medici della prima riforma sanitaria e la crisi vocazionale dei giovani che dovrebbero assicurare il ricambio generazionale. Gli effetti sui servizi sociosanitari regionali stanno emergendo con zone perennemente carenti di medici e centinaia di migliaia di cittadini senza stabile assistenza.
 
Alla fine del 2022 a bocce (quasi) ferme è possibile intravvedere il percorso di cambiamento innescato, a diversi livelli sistemici, dalla crisi pandemica ed il suo potenziale impatto sul lungo periodo. La domanda del sottotitolo, derivante dal clima emotivo prevalente nella categoria, potrà trovare un riscontro in un senso o nell’altro solo al termine del quinquennio di riforme avviate a partire dal 2023.

Il testo si compone di due parti e di 14 capitoli. La prima propone una lettura critica della definizione di salute, un profilo socioculturale del disagio vissuto dai medici del territorio e una lettura dell’evoluzione della categoria basata sulle alterne vicende della cosiddetta dominanza medica. Gli ultimi due capitoli trattano del governo della domanda, dell'organizzazione e della comunicazione medico-paziente.
 
La seconda parte del volume affronta i nodi venuti al pettine nel biennio 2020-2021: la gestione dell’emergenza infettiva e il suo impatto sulla gestione della cronicità. Dopo il capitolo dedicato alla risposta organizzativa del territorio e degli ospedali al Covid-19, quelli successivi tracciano un profilo multidimensionale della cronicità, focalizzato sugli aspetti culturali, antropologici e cognitivi, in riferimento al concetto di rischio, ai modelli esplicativi della malattia e all’educazione terapeutica. 

L’ultimo capitolo affronta il nodo della rete sociosanitaria ed assistenziale che sul territorio supporta la gestione domiciliare dei pazienti cronici polipatologici, complessi e fragili, i primi destinatari di un’efficace integrazione e continuità assistenziale promossa dalle strutture del PNRR (Case ed Ospedali di Comunità, Centri Operativi Territoriali). I capitoli sono punteggiati da brevi aneddoti tratti dall’esperienza ambulatoriale che esemplificano, in forma narrativa sintetica senza essere veri e propri casi clinici, alcune tematiche teoriche esposte nel testo.

giovedì 1 dicembre 2022

Casa della Comunità in un vicolo cieco?

Il sottosegretario alla Salute nell'intervento al congresso SIMG ha nuovamente ribadito le critiche allo standard delle case della Comunità che non garantiscono la prossimità e capillarita dell'assistenza sul territorio. Sono dello stesso avviso i ricercatori del Cergas Bocconi: nel rapporto OASI del 2022  sottolineano che un bacino di utenza compreso tra i 40 e i 50 mila residenti "in molti contesti periferici, rischia di essere poco compatibile con i principi di prossimità e capillarità", come in centri di dimensioni medio-grandi o centri di piccole dimensioni in aree estese e a bassa densità abitativa, con la parziale eccezione di regioni meridionali alle quali sono andate il 45% delle risorse stanziate dal PNRR a fronte del 35% di residenti. 

Insomma era evidente fin dall'estate del 2021 che un parametro rigido e unico, calato top-down in modo ragionieristico e in nome dell'omogeneità centralista, non era adeguato per territori ampiamente diversificati per condizioni geodemografiche, socioeconomiche ed orografiche, per non parlare di quelle storiche, culturali ed organizzative che configurano la cosiddetta "path dependence". 

Ma tant'è, c'è voluto un cambio di maggioranza politica per far emergere la principale criticità della Missione 6C1 del PNRR, che in precedenza non aveva sollevato obiezioni o dubbi di sorta nell'ampia maggioranza a sostegno del governo tecnico-politico precedente.  Ad eccezione di  alcune ragioni che pragmaticamente hanno corretto i limiti della programmazione centralista con risorse proprie, portando il numero delle strutture da 1350 a 1430 per ovviare ad una distribuzione inadeguata degli edifici: ad esempio la giunta lombarda ha dimezzato lo standard delle case e degli Ospedali di comunità nell'ATS della Montagna per una più razionale localizzazione sul territorio. Come è stato possibile che nessun tecnico o esperto ministeriale abbia manifestato qualche riserva e che un'improvvida scelta sia passata sotto unanime silenzio?

Ma c'è di più. I limiti di una miope impostazione centralista sone evidenti se si considera una visione di insieme dei problemi dei territori affetti da spopolamento e abbandono. Si consideri, ad esempio, l'approccio olistica One Health, ribadito dal PNRR, che si basa sull'integrazione multidisciplinare e sul riconoscimento che la salute umana, animale e dell’ecosistema siano tra loro connesse in una strategia complessiva di intervento che coinvolge i professionisti (medici, veterinari, ambientalisti, economisti, sociologi etc.).

Grazie alla sinergia collaborativa tra le discipline l'approccio One Health persegue la salute globale ed affronta i bisogni delle popolazioni più vulnerabili considerando l’ampio spettro di determinanti che emergono dalle relazioni ecosistemiche. In quest'ottica non si può non considerare l'interdipendenza tra sanità territoriale, variabili demografiche, condizioni urbanistiche e tessuto socioeconomico per non parlare dei condizionamenti storico-culturale della path dependence.

Sono in sintonia con questo frame le varie iniziative per rivitalizzare territori in difficoltà o soggetti a carenze demografiche, vale a dire;

- in primo luogo la Missione 5 del PNRR che ha destinato importanti risorse alle infrastrutture sociali per il sostegno delle famiglie, dei minori, delle persone con gravi disabilità e degli anziani non autosufficienti;

-le iniziative per favorire le cosiddette “15 minutes city of”, ovvero la possibilità di usufruire dei principali servizi in un raggio urbano circoscritto e facilmente accessibile con mezzi di trasporto non motorizzati

-infine fondo a sostegno ai comuni marginali che per il triennio 2021-2023 ha stanziato 180 milioni euro per i territori a forte rischio demografico.

Le risorse del fondo sono state assegnate a 1.187 comuni, selezionati per le loro condizioni particolarmente svantaggiate, con un Indice di vulnerabilità sociale e materiale (IVSM) elevato e con un basso reddito dei residenti. Di questi 1.101 comuni sono localizzati nel meridione, ai quali andranno oltre 171 milioni di euro (il 95,2% del totale), 52 nell'Italia centrale (per 5,5 milioni di euro) e 34 nel Nord (3,1 milioni di euro). In questo caso si è partiti dall'individuazione dal basso dei bisogni e delle criticità per una appropriata ripartizione delle risorse, e non con una indistinta distribuzione a pioggia top down come nel caso degli standard della Missione 6C1.

Non si poteva adottare lo stesso criterio per la collocazione di strutture territoriali appropriate e funzionali ai bisogni delle zone disagiate? E le risorse della Missione5, in una prospettiva One Health più ampia, non potevano essere utilizzate parzialmente per rafforzare la rete sociosanitaria? Va da sé che una configurazione hub&spoke di Case di comunità, con standard demografici aderenti alle caratteristiche locali, potrebbe migliorare sia i servizi per famiglie, minori, disabili ed anziani e non autosufficienti non autosufficienti sia attirare nuovi residenti e contrastare lo spopolamento in atto, con una sinergia virtuosa tra fondo per i comuni marginali, Missione 5 e 6 del PNRR.

Per usare il gergo degli economisti una rete territoriale flessibile e di vera prossimità potrebbe generare esternalità positive in settori diversi da quello sanitario, ovvero contrastando la crisi demografica e sociale delle aree svantaggiate. È troppo chiedere ai decisori pubblici di adottare una visione d'insieme di ispirazione sistemica, in linea con l’approccio One Health? Ma temo che ormai sia troppo tardi...

venerdì 11 novembre 2022

Come uscire dalla crisi della Missione6C1 e risolvere il wicked problem del PNRR?

L’attuale fase congiunturale mette in discussione la ristrutturazione della sanità territoriale e il raggiungimento degli obiettivi perseguiti dalla Missione6C1 del PNRR. Le incognite politiche, economiche, finanziarie ed organizzative abbondano e la combinazione di perturbazioni interne ed esterne, come le contingenze geopolitiche belliche, potrebbero innescare circoli viziosi fino a depotenziare una svolta radicale da tutti auspicata per la medicina territoriale, ma non più scontata per l'emergenza di "wicked problem, ovvero le criticità più profonde e rilevanti”, per usare il gergo degli studiosi di management sanitario della Bocconi. 
 
Per il successo della riforma si dovranno superare numerosi ostacoli a partire dal popolamento e dal coinvolgimento dei professionisti nelle Case e negli Ospedali di Comunità (CdC e OdC) che con gli attuali vincoli normativi e di bilancio non sarà agevole, anche per le difficoltà di formazione e reclutamento di professionisti in grado di tener testa a tutti i compiti previsti dal Piano, dal contenimento dei codici bianchi alla presa in carico della cronicità, dell’assistenza domiciliare alla fragilità alla telemdicina, dal funzionamento degli OdC alla continuità assistenziale nelle CdC. Basti pensare che il dossier del PNRR inviato a Bruxelles prevede da qui al 2026 una paradossale riduzione di organico dei medici di MG da 42mila a 35mila circa.

L’aumento di 1/3 dei costi previsti nel 2021, per via dell’inflazione e dei rincari di materie prime ed energia, mette in discussione la possibilità di realizzare tutte le due strutture portanti del PNRR, vale a dire CdC e OdC. Da qui la necessità di rivedere alcuni parametri per adeguare il piano al nuovo scenario macroeconomico e alla patologica ipertrofia di attese sociali indotte dai reiterati annunci. Le ipotesi sul tavolo sono varie:
  • le regioni potrebbero farsi carico dell’aumento dei costi con risorse proprie, soluzione piuttosto improbabile visto il sottofinanziamento lamentato proprio dai governatori regionali;
  • l’Unione Europea potrebbe erogare fondi aggiuntivi, riconoscendo lo “stato di necessità” conseguente alla contingenza economico-finanziaria, ma il consenso sui tempi e modi del rifinanziamento non è garantito;
  • potrebbe essere ridotto il numero o le dimensioni di CdC, OdC e COT oppure si potrebbero incrementare le sinergie tra le varie strutture, per contenere i costi di edificazione e manutenzione, integrando in un unico complesso le tre funzioni, come si augura Agenas nel suo recente documento sugli OdC;
  • infine i finanziamenti deliberati per un capitolo potrebbero essere spostati su altre funzioni oppure, ancora, potrebbe essere diversificata la ripartizione dei fondi tra le varie regioni in base allo stato di attuazione delle reti locali, assai disomogeneo.
La soluzione più probabile è un mix di queste ipotesi, in relazione alle condizioni socioeconomiche ed orografiche locali, che sono ampiamente diversificate: secondo l’’indagine promossa dalla Camera nel 2020 in 7 regioni non erano presenti case della salute - vale a dire Lombardia Valle d’Aosta, Bolzano, Trentino, Friuli, Puglia e Campania – mentre al polo opposto con oltre 50 strutture in funzione vi erano Piemonte, Veneto, Toscana, Sicilia ed Emilia Romagna. Quest’ultima regione è in testa alla classifica con 130 Case della salute di tre tipologie – piccole, medie e grandi – che compongono la trama di una capillare rete Hub & Spoke, soluzione razionale ignorata dal PNRR che prevede solo CdC Hub da 45-50 mila abitanti (è facile immaginare come sarebbe oggi la sanità territoriale se tutte le regioni avessero imitato l’esempio virtuoso dell’Emilia Romagna). Infine per numero di Ospedali spiccano Veneto, Emilia Romagna, Lombardia e Marche mentre Abruzzo, Piemonte, Molise, Liguria e Campania ne hanno attivati meno di 10 e ben 12 regioni ne sono prive.

In un panorama così diversificato la distribuzione a pioggia, standardizzata e "ragionieristica", dei finanziamenti sui territori non appare la più razionale, anche se con i finanziamenti aggiuntivi regionali le CdC sono passate da 1350 a 1430; sebbene il PNRR attribuisca il 45% delle risorse alle regioini del sud dove risiede il 34% della popolazione non sarà agevole compensare le attuali differenze tra territori e risolvere l'annoso problema del disallienamento dell'offerta tra i "20 diversi SSR" che la proposta di regionalismo differenziato potrebbe accentuare. Ad esempio, qual è la ratio dei finanziamenti all’Emilia Romagna per realizzare 95 CdC quando nella stessa regione sono già in funzione ben 130 case della salute, buona parte delle quali assimilabili agli Hub del PNRR? Idem per il Veneto riguardo agli OdC. Sarebbe logico distribuire le risorse in modo più appropriato, in funzione della situazione esistente per allineare le regioni in ritardo a quelle più avanzate; non è difficile prevedere che una soluzione simile solleverebbe le proverbiali barricate delle una contro le altre per la penalizzazione finanziaria subita, con buona pace della retorica sulla solidarietà del SSN verso i territori meno dotati.

L’attuale situazione di stallo ha fatto emergere la principale criticità della Missione 6C1 correlata al passaggio dalla prima alla seconda versione del PNRR, vale a dire lo spostamento di ben 2 miliardi di € dal finanziamento delle strutture territoriali all’assistenza domiciliare. Una parte di quelle risorse potrebbero venir buone oggi per rafforzare le strutture territoriali diversificando la rete delle CdC, rispetto all’unico modello adottato nel 2021 e messo in forse dagli eventi del 2022. Anche perché gli operatori sociosanitari disponibili in futuro difficilmente saranno in grado di assicurare l’estensione dell’assistenza domiciliare garantendo nel contempo la funzionalità di CdC, OdC, telemdicine e COT .

Il dimezzamento dei fondi per le CdC a favore dell'assistenza domicliare si sta rivelando il limite più evidente della Missione 6C1, per altri 2 motivi. In primo luogo perchè ha obbligato a dimezzare il numero di Case con lo standard di una ogni 45mila abitanti, adatto tutt'al più per le zone densamente popolate, ma non certo per le zone rurali, della collina e della montagna che verrebbero penalizzate, con buona pace della medicina di prossimità e delle iniziative nazionali per contrastare lo spopolamento delle aree interne depresse ed abbandonate (non a caso in Lombardia lo standard demografico nazionale è stato dimezzato nell'ATS della montagna). Secondariamente una rete Hub&Spoke diversificata e capillare di autentica prossimità, abbinata al potenziamento della telemedicina, potrebbe ridurre la necessità di assistenza domiciliare.

Infine la popolazione anziana faragile e polipatologica ha soprattutto bisogno di assistenza sociale, di interventi ad personam per l'accudimento e il soddisfacimento dei bisogni primari, ovvero di badanti ben preparate e di supporto ai care giver familiari. Più che un generico intervento di assistenza domiciliare serve un piano specifico di sostegno alla non autosufficienza come esplicitamente richiesto da più parti. Per l’assistenza sanitaria domiciliare bastano sporadici accessi del MMG in ADP e un’ADI prevalentemente infermieristica, per controlli periodici di parametri clinici, aderenza ed educazione terapeutica, medicazioni/prelievi etc.. Insomma le logiche sanitarie non bastano per venire incotro ai particolari bisogni della popolazione anziana e fragile e si impongono quindi difficili priorità.