domenica 31 marzo 2019

Dai CReG alla Presa in Carico, bilancio provvisorio di un decennio riformatore

Con il 2019 si conclude un decennio di riforme lombarde volte ad affrontare la "pandemia" di patologie croniche che investe i Servizi Sanitari di tutto l’occidente. E’ probabilmente presto per valutarne gli esiti della Presa in Carico (PiC) dei cronici a tre mesi dal giro di boa di una riforma triennale; tuttavia considerando i risultati al dicembre 2018 non sembra che vi siano le condizioni per un chiaro successo, specie per quanto riguarda i Gestori ospedalieri della PiC.( https://curprim.blogspot.com/2019/02/presa-in-carico-della-cronicita-in.html )

Il decennio riformatore è stato inaugurato dalle regole di sistema del 2011 dedicate ai CReG - i DRG della cronicità, precursori della PiC - che partivano da una valutazione della MG da far sobbalzare sulla sedia: “l’attuale organizzazione delle cure primarie manca delle premesse contrattuali e delle competenze cliniche, gestionali ed amministrative richieste ad una organizzazione che sia in grado di garantire una reale presa in carico complessiva dei pazienti cronici al di fuori dell’ospedale”.

Insomma una bocciatura su tutti i fronti, per un comparto inadeguato a reggere l’impatto della cronicità; in poche righe si faceva piazza pulita della retorica sul mitico “ruolo centrale” del MMG nel SSN, con una speculare e ruvida squalifica professionale di un’intera categoria, peraltro non supportata da dati probanti. 

La sostanziale delegittimazione professionale riattualizzava il fantasma che da una ventina di anni si aggira nella comunità dei MMG: il timore della messa in liquidazione delle cure primarie, per passare la mano al più affidabile secondo livello, con il conseguente rischio di espropriazione dei cronici, che troverà riscontro nell’inedita figura del Clinical Manager ospedaliero della PiC. Qual è il bilancio del decennio riformatore, tra vacanza contrattuale dell’ACN, riforme mancate come la Balduzzi, CReG, Piano Nazionale della Cronicità (PNC) e varo della PiC? 

La strategia di politica sanitaria

Nell’ottobre del 2016 è stato approvato il PNC, premessa per il via alla riforma lombarda della PiC nel biennio successivo che, sulla scia dei CReG, doveva rappresentare una svolta nella gestione “complessiva dei cronici al di fuori dell’ospedale”. Certo il giudizio poco lusinghiero verso le cure primarie non è stato reiterato nella mezza dozzina di delibere attuative della PiC. Tuttavia è rimasto come premessa implicita e cornice programmatica delle riforme lombarde del decennio. 

Numerose sono le prove empiriche che dimostrano come l’immagine di una MG screditata e inaffidabile abbia influenzato, a mo' filo conduttore sotto traccia, le politiche sanitarie regionali:
  • il disinteresse lombardo per le forme organizzative previste dalla Balduzzi – Unità Complesse e Aggregazioni Funzionali Territoriali – premesse contrattuali mai recepite per nuovi modelli di gestione della cronicità
  • la centralità data ai Gestori organizzativi, che dovevano compensare le carenze cliniche, gestionali ed amministrative del territorio, nello spirito del quasi mercato interno
  • l’assenza di qualsiasi riferimento, nella prima Delibera del gennaio 2017, al ruolo dei MMG, che solo con la seconda Delibera del maggio 2017 entravano in gioco nella PiC come soci di una Coop
  • la discesa in campo, nell’ultima Delibera del 2017, del Clinical Manager (CM) dei gestori organizzativi come referente primario dei pazienti in alternativa al generalista.
I Gestori organizzativi, non previsti nei CReG, rappresentano la novità più rilevante della PiC; entrano in gioco con il mandato implicito di sostituire il medico curante non aderente alla PiC nello spirito del preambolo delle regole 2011, sopra riportato, e in un'ottica concorrenziale tra soggetti erogatori all'interno del quasi mercato sanitario regionale. I dati delle adesioni dei Cronici alla PiC all'inizio del 2019 non sembrano premiare questo disegno strategico, specie per quanto riguarda proprio gli arruolamenti dei CM ospedalieri: https://curprim.blogspot.com/2019/02/presa-in-carico-della-cronicita-in.html

Le reazioni dei MMG alla proposta di PiC sono testimoniate dalle scelte operate: il 42% circa dei MMG ha aderito ad una Coop/Gestore o come Co-gestore singolo aggregato ad un Gestore organizzativo, mentre il restante 58% si è astenuto. Tra le motivazioni oltre ad una quota di adesioni convinte ha avuto un’importanza il timore della “messa in liquidazione” e dell’emarginazione dalla MG dalla cura territoriale dei cronici. Le scelte degli assistiti alla proposta di PiC, mediante lettera inviata nei primi mesi del 2018, erano quelle gravate dalla maggiore incertezza assieme al comportamento dei medici dei Gestori chiamati a svolgere il compito del CM. 

Le scelte dei Clinical Manager specialisti

La vicenda riformatrice della PiC ha avuto il merito, come effetto collaterale del suo momentaneo flop, di far emergere la “drammatica” divaricazione tra la cultura del territorio, centrata sulla gestione della cronicità nella dimensione personale, e la cultura ospedaliera rivolta selettivamente alle condizioni acute, nella dimensione tecno-specialistica d’organo/apparato. Non si tratta di competenza versus incompetenza, di conoscenze generali versus specialistiche, ma di una divaricazione culturale, di schemi mentali e di pratiche assistenziali che incidono in modo tanto profondo quanto tacito sulle modalità di approccio e gestione dei problemi.

Non mi riferisco tanto agli schemi diagnostico-terapeutici e alle conoscenze di base, più o meno specifiche/specialistiche, ma alla cornice interpretativa e al bagaglio culturale modellato sulle pratiche e sui contesti organizzativi e professionali. La prova provata della discrasia tra medicina ospedaliere ed extra ospedaliera è venuta dalla sostanziale ricusazione del ruolo del CM da parte degli specialisti ospedalieri (si vada in proposito la reazione dell’AMPO Lombardia: http://www.quotidianosanita.it/lombardia/articolo.php?articolo_id=61211); nel disegno della PiC i CM dovevano prima scalzare e poi sostituire di fatto i "mutualisti generici”, tramite un implicito passaggio in cura deciso dai cronici stessi con la sottoscrizione del “patto di cura” presso il Gestore ospedaliero.

La PiC doveva rivelarsi il cavallo di Troia per espugnare il fortino territoriale, contendibile in quanto inadatto e delegittimato alla gestione della cronicità, come recitava il preambolo ai CReG. Il presupposto implicito e dato per scontato su cui si doveva basare l’operazione era l’intercambiabilità dei ruoli e dei compiti tra professionisti ospedalieri e del territorio; nel senso che i decisori ritenevano naturale per il CM specialistico lo spostamento, culturale e pratico, dalla corsia ospedaliera alla PiC ambulatoriale dei cronici afferenti al nosocomio dal territorio. Va da sé che l’intercambiabilità dei ruoli/compiti è unidirezionale, nel senso che nessuno immagina che il MMG si possa far carico di pazienti con problematiche specialistiche mentre è ritenuto “fisiologico” che il CM potesse indifferentemente gestire assisti polipatologici territoriali e monopatologici di abituale competenza ospedaliera.

Alla verifica empirica anche gli specialisti ospedalieri hanno confutato l’idea di un carattere acontestuale della professionalità, a dimostrazione che competenze e abilità sono aderenti alle pratiche, mediate dai contesti socio-organizzativi e non possono essere vicariati a piacimento. Certo nella latitanza del CM hanno pesato anche i problemi organizzativi delle strutture, specie quelle pubbliche spesso con organico carente, sovraffollate e in continua emergenza “posti letto”. 

Tuttavia il fattore organizzativo spiega solo in parte il flop della PiC tra i potenziali CM ospedalieri. Il rigetto del ruolo del CM ha basi prevalentemente culturali ed esperienziali: i medici della persona sul territorio, proprio per le caratteristiche del setting ambulatoriale, sono obbligati a farsi carico dei loro assistiti in modo integrale e non in base a barriere disciplinari specialistiche.  Evidentemente tra i CM ha prevalso un certo disagio per il fatto di dover superare nella PiC la propria sfera specialistica.

Le scelte dei pazienti cronici

Un’altra “drammatica” dimostrazione della divaricazione tra la rappresentazione della realtà e la realtà stessa è venuta dal comportamento degli assistiti in risposta alle proposte di arruolamento presso le strutture ospedaliere, in sostituzione del proprio MMG che non avevano aderito ad una Cooperativa (oltre il 50% dei MMG lombardi). L’intento esplicito della riforma era di favorire il passaggio dei cronici in carico ai MMG auto-esclusi dalla PiC al CM specialista ospedaliero. 

La risposta dei diretti interessati è stata opposta a quella preventivata: un numero irrisorio di pazienti è stato preso in carico dalle strutture ospedaliere in alternativa al MMG, a dimostrazione di un legame forte tra assistiti e medici del territorio; legame che nel disegno della riforma doveva essere scardinato dall’offerta assistenziale dei CM specialistici, a cui hanno aderito solo il 7% di quel 7% complessivo di lombardi arruolati con il PAI.

Evidentemente la valutazione dell’assistenza sul territorio da parte dei pazienti non era allineata con quella degli estensori della riforma, per un tipico esempio di divaricazione tra percezione della realtà e realtà stessa. Il deludente esito dell’arruolamento dei cronici da parte delle strutture (il 7% circa rispetto al 93% di PiC da parte dei MMG in Coop) ha fatto emergere la discrepanza di giudizio che separa la gente dai decisori pubblici. Gli assistiti hanno evidentemente ritenuto che il proprio MMG fosse il naturale garante di una visione unitaria, continuativa e personalizzata della propria condizione cronica, a fronte del rischio di "spezzettamento" specialistico e di discontinuità relazionale dell'eventuale PiC da parte di un anonimo CM ospedaliero.

In sostanza le caratteristiche organizzative, sociorelazionali, culturali, tecnologiche e professionali dei due contesti, ospedaliero e territoriale, erano ritenute indifferenti dai decisori regionali ai fini della gestione della cronicità. Non sono stati dello stesso avviso i diretti interessati che, posti di fronte all’alternativa tra defezione della MG e passaggio in cura presso il Gestore/CM ospedaliero, hanno optato in massa per il mantenimento dello status quo e della relazione sociale e professionale con il MMG, contro le previsioni e i desiderata della riforma. 

La presunta intercambiabilità dei ruoli tra medici ospedalieri/specialisti e generalisti del territorio nella PiC poggia sulla negazione della specificità assistenziale e delle peculiarità del contesto organizzativo delle cure primarie, cioè sulla scotomizzazione della natura situata della conoscenza, delle competenze, della formazione e dell’assistenza territoriale. Come ha affermato il sociologo francese Michel Crozier "non si cambia la società per decreto".

Conclusioni provvisorie

Gli esiti empirici dei primi dieci anni di riforme della cronicità sembrano dimostrare che
  • non esiste intercambiabilità tra primo e secondo livello nella gestione della cronicità
  • solo il MMG è in grado di attuare la PiC, grazie alla specificità del contesto sociorelazionale e organizzativo territoriale
  • a differenza dei CM ospedalieri, che hanno ricusato tale ruolo per la segmentazione dell'approccio specialistico d'organo.

sabato 9 marzo 2019

Codici Bianchi in PS e ambulatori piemontesi delle "non urgenze"

La gestione dei codici bianchi nelle strutture di emergenza/urgenza è stata affrontata con diverse iniziative regionali nel tentativo di ridurre la “pressione” sui PS. In Sicilia è in atto dall’inizio del decennio un’esperienza di ambulatori per codici bianchi annessi al Pronto soccorso, che prosegue con un discreto successo, mentre nel Lazio una sperimentazione analoga è stata bruscamente interrotta all’inizio del secondo mandato della Giunta Zingaretti.
Ora anche il Piemonte con la firma dell’AIR 2019, sulla scia di queste esperienze, gioca la carta dell’ambulatorio per i codici bianchi;  l’accordo raggiunto con i sindacati della MG si propone di ridurre gli accessi inappropriati e il ricorso all’intervento specialistico, fornendo allo stesso tempo la migliore risposta agli assistiti che si rivolgeranno all“ambulatorio delle non urgenze”; l’ambulatorio, separato fisicamente dai locali del pronto soccorso, propone una sorta di via di mezzo tra il modello siciliano e quello laziale.
I MMG piemontesi prenderanno in carico pazienti già passati dal triage nel vicino PS e classificati come codici bianchi e dopo la visita potranno confermare la non urgenza del caso e fornire anche alcune prestazioni aggiuntive “finalizzate a un minor ricorso all’intervento specialistico”; se la visita del MMG sarà stata sufficiente a risolvere il problema, il paziente sarà invece dimesso e riaffidato al proprio medico curante.
Tuttavia il medico potrà anche modificare il codice di triage, giudicandolo di priorità maggiore e quindi reinviando il paziente al percorso del PS/Dea, che riprenderà in carico il caso valutando la necessità di esami o consulenze urgenti suggeriti dal MMG. Il MMG sarà dotato del ricettario Ssn e delle credenziali per le prescrizioni farmaceutiche “elettroniche” non differibili, ma non potrà prescrivere esami o consulenze non urgenti, che saranno affidate alla discrezionalità del medico curante a cui il paziente si rivolgerà dopo l’accesso. Per prefigurare gli esiti assistenziali e l’impatto di questo accordo conviene rifarsi agli sviluppi delle analoghe iniziative già sperimentate in due regione nell'ultimo lustro, Lazio e Sicilia.

Gli ambulatori dei codici bianchi laziali, apparentemente simili a quelli siciliani, hanno avuto vita breve per uno scarso utilizzo da parte dei cittadini, a differenza di quelli dell’isola che continuano ad offrire prestazioni alla popolazione. Secondo una una sorta di legge ferrea dell’economia sanitaria  l’offerta di prestazioni prima o poi induce la propria domanda, come nella battuta di un professore di radiologia belga: mettete un ecografo nel deserto e dopo qualche mese avrete una lista d'attesa. Il diverso esito degli ambulatori per codici bianchi nelle due regioni sembra dimostrare che non è affatto detto che le cose funzioni sempre in questo modo, visto che nel Lazio non c’è stato il boom di accessi verificatosi invece in Sicilia, decretando in una caso il successo e la conferma dell'iniziativa e nell'altro la sua archiviazione.

La spiegazione dell' "anomalia" è stata spiegata dalla FIMMG Laziale che ha rimarcato le differenze tra i due modelli. Il fatto è che nell’isola il MMG dei “codici bianchi” può prescrivere accertamenti diagnostici da eseguire nell’adiacente Pronto soccorso. In tal caso l’ambulatorio si è rivelato una comoda scorciatoia per accedere alle prestazioni specialistiche da parte degli utenti con problemi pseudo-urgenti, vale a dire aggirando le liste d’attesa, evitando le trafile burocratiche della prenotazione e il pagamento di ticket esosi.

Al contrario nel Lazio i medici di MG non avevano la facoltà prescrittiva dei colleghi siciliani, per cui i cittadini dovevano rivolgersi alle strutture diagnostiche ambulatoriali ordinarie, non avendo la possibilità di recarsi in Ps per una radiografa o una TAC. Senza volerlo è stato approntato tra Roma e Palermo una sorta di esperimento “naturale” e inintenzionale sulle differenze comportamentali degli assistiti. In sostanza il “braccio” laziale fungeva da gruppo di controllo per valutare l’impatto dell’offerta del modello siciliano sulla potenziale domanda.

L’esito è chiaro: in Sicilia il Mmg annesso al Ps viene utilizzato dagli assistiti per accedere alla tecnologia biomedica nel modo più breve ed economico possibile. Il by-pass delle strutture convenzionate, comprensibile in un periodo di crisi economica, reindirizza la domanda di prestazioni verso i Pronto soccorso, di cui pagano però le conseguenze gli operatori di emergenza in termini di sovraccarico per accessi inappropriati. Ecco un’ennesima dimostrazione degli effetti collaterali dell’offerta di prestazioni. La teoria è stata confermata: l’offerta induce la propria domanda specie se è concorrenziale rispetto ad altre modalità di erogazione delle prestazioni, ad esempio presso strutture poliambulatoriali non emergenziali.

Medicina di gruppo: è consentita la presenza del MMG in studi secondari?

Può un medico che aderisce ad una medicina di gruppo gestire anche uno o più studi secondario e, in caso affermativo, quante ore di presenza può dedicarvi rispetto alla sede principale del gruppo stesso? Oppure deve garantire tutto lo standard individuale di 15 ore ambulatoriali settimanali presso la sede del gruppo? 

In proposito l’ACN del 2009, all’art.54 sulla medicina di gruppo, non risolve questo problema in quanto recita testualmente: "La medicina di gruppo si caratterizza per la sede unica del gruppo articolata in più studi medici, ferma restando la possibilità che singoli medici possano operare in altri studi del medesimo ambito territoriale ma in ORARI AGGIUNTIVI A QUELLI PREVISTI, NELLA SEDE PRINCIPALE, PER L'ISTITUTO DELLA MEDICINA DI GRUPPO"

Appare evidente che l’aggettivo "AGGIUNTIVI" non si riferisce allo STANDARD ORARIO INDIVIDUALE di 15 ORE PREVISTO dall'ACN per il singolo medico convenzionato, ma bensì allo STANDARD ORARIO DELLA SEDE DEL GRUPPO stesso (ad esempio 6 ore di presenza dei medici nella sede del gruppo). Partanto, sebbene in modo non esplicito, l’art. 54 ammette indirettamente che un MMG della medicina di gruppo possa legittimamente dedicare un numero di ore dello standard individuale allo studio secondario, mentre non si deduce dal testo che debba riservare tutte le 15 ore ambulatoriali alla sede del gruppo.

In buona sostanza è come se l’ACN dicesse ai medici: il vostro gruppo, ad esempio composto da tre membri, deve garantire nella sede principale almeno 6 ore di apertura al giorno; tuttavia un singolo componente del gruppo stesso ne può riservare altre ad un secondo o terzo studio, che non conteranno per adempiere allo standard orario previsto per il gruppo, ma concorreranno solo allo standard individuale di 15 ore complessive di disponibilità richieste al singolo medico convenzionato.

Ecco due esempi pratici: un MMG potrebbe garantire 2 ore die nella sede del gruppo e 1 ora die in uno studio in altro comune, dove risiedono 500 o più assistiti, come di fatto accade in molte medicine di gruppo. Altro esempio, ancor più emblematico e paradossale, è quello di un collega neoinserito con obbligo di apertura in un paese con carenza assistenziale, che aderisce anche alla medicina di gruppo con sede in un paese limitrofo, ma con un numero inferiore di ore rispetto a quelle che dedica allo studio secondario, dove ha iniziato a lavorare proprio su esplicita imposizione ATS per una mancata copertura delle cure primarie nella zona. In pratica delle due l'una: o assolve all' "obbligo di apertura" dello studio o si aggrega ad una medicina di gruppo.

Il buon senso vuole che in caso di più studi gli orari siano distribuiti in modo proporzionale alla concentrazione geografica degli assistiti, per garantire l'accessibilità e la fruibilità degli studi stessi, come peraltro sottolinea in diversi passaggi l’ACN stesso, al fine di assicurare la continuità delle cure sul territorio (si veda il PS 2). l'ACN stesso all'articolo 35 precisa che l'orario complessivo "può essere frazionato, previo parere del Comitato aziendale, fra tutti gli studi"

Se tale facoltà è espressamente prevista per il singolo medico che esercita in due o più studi individuali è logico che la regola valga anche nel caso in cui uno degli studi sia la sede di un gruppo; nella fattispecie il medici di un gruppo con un secondo ambulatorio diverso dalla sede sono un sotto-insieme o una sotto-categoria dell'insieme dei medici singoli con due o più studi, a cui fa riferimento esplicito l'articolo 35 dell'ACN. Infine alcuni AIR adottano esplicitamente un analogo criterio - come in Veneto e Toscana (si veda il PS 1) - nel prevedere che un numero prevalente di ore dello standard individuale siano riservate alla sede del gruppo (ad esempio 8 su 15) rispetto a quelle dedicate allo studio secondario (cioè 7).

In sostanza il combinato disposto dell'Art. 54 e 35 dell’ACN prevede esplicitamente che il singolo medico possa adempiere in più studi allo standard individuale di 15 ore settimanali, in funzione del numero di assistiti che afferiscono allo studio secondario. Viceversa un medico che esercitasse in due o più studi secondari – evenienza non rara in zone montane o disagiate – dovendo garantire una presenza di 15 ore nella sede del gruppo non potrebbe di fatto mai farvi parte.

Ricordo che nei precedenti ACN lo standard individuale era di un'ora di presenza ambulatoriale ogni 100 assistiti in carico, criterio che si adattava meglio sia all'incremento progressivo delle scelte del singolo medico sia alla distribuzione territoriale degli assistiti (il numero di ore di ambulatorio dovrebbe essere commisurato ai pazienti che gravitano su ogni studio, che sia la sede della medicina di gruppo o uno studio secondario). 

Il problema sta nel fatto che i due standard orari - quello del gruppo e quello individuale - non sono l'uno subordinato all'altro ma normativamente indipendenti e complementari; d'altro canto nessuna norma di ACN stabilisce esplicitamente che lo standard individuale debba essere garantito PER INTERO nella sede del gruppo, potendo essere "spalmato" su due o più studi, in modo razionale, per garantirne accessibilità e fruibilità, come recita esplicitamente l'ACN (PS 2).

Quella sovra esposta pare un’interpretazione ragionevole delle norme ACN - peraltro fatta propria da alcuni AIR - in quanto aderente alle pratiche assistenziali consolidate sul territorio e finalizzata a conciliare standard orario del gruppo e standard individuale del medico, in funzione della collocazione degli studi e della distribuzione geografica degli assistiti. 

P.S. 1. AIR Toscana del 2005 (http://www.fimmgpisa.org/downloads/ACCORDO_REGIONALE_2005.pdf )
”la sede unica del gruppo articolata in più studi medici, ferma restando la possibilità che singoli medici possano operare in altri studi del medesimo ambito territoriale di sceltama in orari aggiuntivi a quelli previsti nella sede principale per l’istituto della medicina di gruppo, con parte maggioritaria dell’orario di ambulatorio riservata alla sede unica (art. 35 comma 14 del Preaccordo regionale) e per 7 ore di apertura al giorno dal lunedì al venerdì"....

ACN articolo 35, comma 14. Nel caso di esercizio dell’attività convenzionata in più studi, l’orario di studio complessivo, come determinato sulla base di quanto disposto dall’articolo 36 del presente Accordo, può essere frazionato, previo parere del Comitato aziendale, fra tutti gli studi, fatta salva la erogazione dell’attività ambulatoriale, nel suo insieme, per almeno 5 giorni la settimana.


P.S. 2.In diversi articoli l’ACN vigente sottolinea l’importanza che il MMG svolga la sua attività professionale con modalità tali da venire incontro ed adattarsi alle necessità e alle esigenze degli assistiti, ottimizzando il rapporto con i pazienti, la fruibilità e accessibilità degli studi, anche tenendo conto delle condizioni geografiche per favorire la continuità dell’assistenza ambulatoriale presso gli studi medici. 

·         Art. 36. Punto 5. L’orario di studio è definito dal medico anche in relazione alle necessità degli assistiti iscritti nel suo elenco e alla esigenza di assicurare una prestazione medica corretta ed efficace e comunque in maniera tale che sia assicurato il migliore funzionamento dell'assistenza.

·         Art. 54. Punto 2. Al fine (a) di facilitare il rapporto tra cittadino e medico di libera scelta (c) realizzare adeguate forme di continuità dell'assistenza e delle cure anche attraverso modalità di integrazione professionale tra medici (d) realizzare forme di maggiore fruibilità e accessibilità, da parte dei cittadini, dei servizi e delle attività dei medici di medicina generale, anche prevedendo la presenza di almeno uno studio nel quale i medici associati svolgono a rotazione attività concordate.


·      Punto 4. (j). gli orari dei singoli studi devono essere coordinati tra di loro in modo da garantire complessivamente una disponibilità all’accesso per un arco di almeno 6 ore giornaliere, distribuite equamente nel mattino e nel pomeriggio, secondo un congruo orario determinato dai medici in rapporto alle esigenze della popolazione assistita e alla effettiva accessibilità degli studi, anche tenendo conto delle condizioni geografiche....