Insomma una bocciatura su tutti i fronti, per un comparto inadeguato a reggere l’impatto della cronicità; in poche righe si faceva piazza pulita della retorica sul mitico “ruolo centrale” del MMG nel SSN, con una speculare e ruvida squalifica professionale di un’intera categoria, peraltro non supportata da dati probanti.
La sostanziale delegittimazione professionale riattualizzava il fantasma che da una ventina di anni si aggira nella comunità dei MMG: il timore della messa in liquidazione delle cure primarie, per passare la mano al più affidabile secondo livello, con il conseguente rischio di espropriazione dei cronici, che troverà riscontro nell’inedita figura del Clinical Manager ospedaliero della PiC. Qual è il bilancio del decennio riformatore, tra vacanza contrattuale dell’ACN, riforme mancate come la Balduzzi, CReG, Piano Nazionale della Cronicità (PNC) e varo della PiC?
La strategia di politica sanitaria
Nell’ottobre del 2016 è stato approvato il PNC, premessa per il via alla riforma lombarda della PiC nel biennio successivo che, sulla scia dei CReG, doveva rappresentare una svolta nella gestione “complessiva dei cronici al di fuori dell’ospedale”. Certo il giudizio poco lusinghiero verso le cure primarie non è stato reiterato nella mezza dozzina di delibere attuative della PiC. Tuttavia è rimasto come premessa implicita e cornice programmatica delle riforme lombarde del decennio.
Numerose sono le prove
empiriche che dimostrano come l’immagine di una MG screditata e inaffidabile
abbia influenzato, a mo' filo conduttore sotto traccia, le politiche sanitarie
regionali:
- il disinteresse lombardo per le forme organizzative previste dalla Balduzzi – Unità Complesse e Aggregazioni Funzionali Territoriali – premesse contrattuali mai recepite per nuovi modelli di gestione della cronicità
- la centralità data ai Gestori organizzativi, che dovevano compensare le carenze cliniche, gestionali ed amministrative del territorio, nello spirito del quasi mercato interno
- l’assenza di qualsiasi riferimento, nella prima Delibera del gennaio 2017, al ruolo dei MMG, che solo con la seconda Delibera del maggio 2017 entravano in gioco nella PiC come soci di una Coop
- la discesa in campo, nell’ultima Delibera del 2017, del Clinical Manager (CM) dei gestori organizzativi come referente primario dei pazienti in alternativa al generalista.
Le reazioni dei MMG alla proposta di PiC sono testimoniate dalle scelte operate: il 42% circa dei MMG ha aderito ad una Coop/Gestore o come Co-gestore singolo aggregato ad un Gestore organizzativo, mentre il restante 58% si è astenuto. Tra le motivazioni oltre ad una quota di adesioni convinte ha avuto un’importanza il timore della “messa in liquidazione” e dell’emarginazione dalla MG dalla cura territoriale dei cronici. Le scelte degli assistiti alla proposta di PiC, mediante lettera inviata nei primi mesi del 2018, erano quelle gravate dalla maggiore incertezza assieme al comportamento dei medici dei Gestori chiamati a svolgere il compito del CM.
Le scelte dei Clinical Manager specialisti
La vicenda riformatrice della PiC ha avuto il merito, come effetto collaterale del suo momentaneo flop, di far emergere la “drammatica” divaricazione tra la cultura del territorio, centrata sulla gestione della cronicità nella dimensione personale, e la cultura ospedaliera rivolta selettivamente alle condizioni acute, nella dimensione tecno-specialistica d’organo/apparato. Non si tratta di competenza versus incompetenza, di conoscenze generali versus specialistiche, ma di una divaricazione culturale, di schemi mentali e di pratiche assistenziali che incidono in modo tanto profondo quanto tacito sulle modalità di approccio e gestione dei problemi.
La vicenda riformatrice della PiC ha avuto il merito, come effetto collaterale del suo momentaneo flop, di far emergere la “drammatica” divaricazione tra la cultura del territorio, centrata sulla gestione della cronicità nella dimensione personale, e la cultura ospedaliera rivolta selettivamente alle condizioni acute, nella dimensione tecno-specialistica d’organo/apparato. Non si tratta di competenza versus incompetenza, di conoscenze generali versus specialistiche, ma di una divaricazione culturale, di schemi mentali e di pratiche assistenziali che incidono in modo tanto profondo quanto tacito sulle modalità di approccio e gestione dei problemi.
Non mi riferisco tanto agli
schemi diagnostico-terapeutici e alle conoscenze di base, più o meno
specifiche/specialistiche, ma alla cornice interpretativa e al bagaglio
culturale modellato sulle pratiche e sui contesti organizzativi e
professionali. La prova provata della discrasia tra medicina ospedaliere ed
extra ospedaliera è venuta dalla sostanziale ricusazione del ruolo del CM da
parte degli specialisti ospedalieri (si
vada in proposito la reazione dell’AMPO Lombardia: http://www.quotidianosanita.it/lombardia/articolo.php?articolo_id=61211); nel disegno della PiC i CM dovevano prima
scalzare e poi sostituire di fatto i "mutualisti generici”, tramite un implicito passaggio
in cura deciso dai cronici stessi con la sottoscrizione del “patto di cura”
presso il Gestore ospedaliero.
La PiC doveva rivelarsi il
cavallo di Troia per espugnare il fortino territoriale, contendibile in quanto
inadatto e delegittimato alla gestione della cronicità, come recitava il preambolo ai CReG. Il
presupposto implicito e dato per scontato su cui si doveva basare l’operazione
era l’intercambiabilità dei ruoli e dei compiti tra professionisti ospedalieri
e del territorio; nel senso che i decisori ritenevano naturale per il CM
specialistico lo spostamento, culturale e pratico, dalla corsia ospedaliera
alla PiC ambulatoriale dei cronici afferenti al nosocomio dal territorio. Va da
sé che l’intercambiabilità dei ruoli/compiti è unidirezionale, nel senso che
nessuno immagina che il MMG si possa far carico di pazienti con problematiche
specialistiche mentre è ritenuto “fisiologico” che il CM potesse indifferentemente
gestire assisti polipatologici territoriali e monopatologici di abituale
competenza ospedaliera.
Alla verifica empirica anche
gli specialisti ospedalieri hanno confutato l’idea di un carattere acontestuale
della professionalità, a dimostrazione che competenze e abilità sono aderenti alle pratiche, mediate dai contesti socio-organizzativi e non possono essere vicariati a piacimento. Certo nella latitanza del CM hanno pesato anche i problemi organizzativi
delle strutture, specie quelle pubbliche spesso con organico carente,
sovraffollate e in continua emergenza “posti letto”.
Tuttavia il fattore organizzativo spiega solo in parte il flop della PiC tra i potenziali CM ospedalieri. Il rigetto del ruolo del CM ha basi prevalentemente culturali ed esperienziali: i medici della persona sul territorio, proprio per le caratteristiche del setting ambulatoriale, sono obbligati a farsi carico dei loro assistiti in modo integrale e non in base a barriere disciplinari specialistiche. Evidentemente tra i CM ha prevalso un certo disagio per il fatto di dover superare nella PiC la propria sfera specialistica.
Tuttavia il fattore organizzativo spiega solo in parte il flop della PiC tra i potenziali CM ospedalieri. Il rigetto del ruolo del CM ha basi prevalentemente culturali ed esperienziali: i medici della persona sul territorio, proprio per le caratteristiche del setting ambulatoriale, sono obbligati a farsi carico dei loro assistiti in modo integrale e non in base a barriere disciplinari specialistiche. Evidentemente tra i CM ha prevalso un certo disagio per il fatto di dover superare nella PiC la propria sfera specialistica.
Le scelte dei pazienti cronici
Un’altra “drammatica”
dimostrazione della divaricazione tra la rappresentazione della realtà e la
realtà stessa è venuta dal comportamento degli assistiti in risposta alle proposte
di arruolamento presso le strutture ospedaliere, in sostituzione del proprio
MMG che non avevano aderito ad una Cooperativa (oltre il 50% dei MMG lombardi).
L’intento esplicito della riforma era di favorire il passaggio dei cronici in
carico ai MMG auto-esclusi dalla PiC al CM specialista ospedaliero.
La risposta dei diretti interessati è stata opposta a quella preventivata: un numero irrisorio di pazienti è stato preso in carico dalle strutture ospedaliere in alternativa al MMG, a dimostrazione di un legame forte tra assistiti e medici del territorio; legame che nel disegno della riforma doveva essere scardinato dall’offerta assistenziale dei CM specialistici, a cui hanno aderito solo il 7% di quel 7% complessivo di lombardi arruolati con il PAI.
La risposta dei diretti interessati è stata opposta a quella preventivata: un numero irrisorio di pazienti è stato preso in carico dalle strutture ospedaliere in alternativa al MMG, a dimostrazione di un legame forte tra assistiti e medici del territorio; legame che nel disegno della riforma doveva essere scardinato dall’offerta assistenziale dei CM specialistici, a cui hanno aderito solo il 7% di quel 7% complessivo di lombardi arruolati con il PAI.
Evidentemente la valutazione
dell’assistenza sul territorio da parte dei pazienti non era allineata con quella
degli estensori della riforma, per un tipico esempio di divaricazione tra percezione
della realtà e realtà stessa. Il deludente esito dell’arruolamento dei cronici
da parte delle strutture (il 7% circa rispetto al 93% di PiC da parte dei MMG
in Coop) ha fatto emergere la discrepanza di giudizio che separa la gente dai
decisori pubblici. Gli assistiti hanno evidentemente ritenuto che il proprio MMG fosse il naturale garante di una visione unitaria, continuativa e personalizzata della propria condizione cronica, a fronte del rischio di "spezzettamento" specialistico e di discontinuità relazionale dell'eventuale PiC da parte di un anonimo CM ospedaliero.
In sostanza le
caratteristiche organizzative, sociorelazionali, culturali, tecnologiche e
professionali dei due contesti, ospedaliero e territoriale, erano ritenute indifferenti dai decisori regionali ai fini della gestione della cronicità. Non sono stati dello
stesso avviso i diretti interessati che, posti di fronte all’alternativa tra
defezione della MG e passaggio in cura presso il Gestore/CM ospedaliero, hanno
optato in massa per il mantenimento dello status quo e della relazione sociale e professionale con il
MMG, contro le previsioni e i desiderata della riforma.
La presunta intercambiabilità dei ruoli tra medici ospedalieri/specialisti e generalisti del territorio nella PiC poggia sulla negazione della specificità assistenziale e delle peculiarità del contesto organizzativo delle cure primarie, cioè sulla scotomizzazione della natura situata della conoscenza, delle competenze, della formazione e dell’assistenza territoriale. Come ha affermato il sociologo francese Michel Crozier "non si cambia la società per decreto".
Conclusioni provvisorie
Gli esiti empirici dei primi dieci anni di riforme della cronicità sembrano dimostrare che
La presunta intercambiabilità dei ruoli tra medici ospedalieri/specialisti e generalisti del territorio nella PiC poggia sulla negazione della specificità assistenziale e delle peculiarità del contesto organizzativo delle cure primarie, cioè sulla scotomizzazione della natura situata della conoscenza, delle competenze, della formazione e dell’assistenza territoriale. Come ha affermato il sociologo francese Michel Crozier "non si cambia la società per decreto".
Conclusioni provvisorie
Gli esiti empirici dei primi dieci anni di riforme della cronicità sembrano dimostrare che
- non esiste intercambiabilità tra primo e secondo livello nella gestione della cronicità
- solo il MMG è in grado di attuare la PiC, grazie alla specificità del contesto sociorelazionale e organizzativo territoriale
- a differenza dei CM ospedalieri, che hanno ricusato tale ruolo per la segmentazione dell'approccio specialistico d'organo.
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