- aspetti di natura organizzativa che hanno spinto per la creazione di servizi del tutto distinti, dotati di autonomia tecnico-funzionale;
- indirizzi normativi che hanno dominato la vision funzionale della dirigenza della pubblica amministrazione;
- prassi che hanno considerato il personale, le dotazioni strumentali e strutturali, etc., di esclusiva proprietà dei vari servizi;
- evoluzione del “sapere medico-scientifico” che è andato, sempre più specializzandosi in ambiti di insegnamento, ricerca e pratica professionale articolati ed esclusivi;
- il consolidarsi, con riferimento a tali ambiti, di posizioni organizzative quali ad esempio le docenze accademiche e i primariati dotati di una loro crescente autonomia;
- la resistenza psicologica degli operatori al confronto, al lavoro comune, alla condivisione dei contenuti e delle pratiche professionali;
- la naturale tendenza che rende le parti di ogni sistema, ad elevata complessità, separati.
- individuare e formalizzare strumenti e procedure per favorire il rapporto tra i medici/altre professioni sanitarie del territorio e i medici/altre professioni sanitarie ospedaliere al momento del ricovero, durante la degenza e in vista o al momento della dimissione e attivare, previa una valutazione multidimensionale e multipofessionale in vista della dimissione eventuali soluzioni necessarie dopo la dimissione, al fine di
- strutturare servizi orientati alle “dimissioni protette”, intesi come funzioni multiprofessionali con competenze nella valutazione multidimensionale e nel “case management” (modelli di presa in carico della cronicità, afferenti alla riabilitazione, alle degenze di comunità, ai percorsi assistenziali per la terminalità, alla istituzionalizzazione, ai servizi residenziali socio-sanitari).
- incrementare “protocolli di integrazione” che si sviluppano fin dalle dimissioni ospedaliere, coinvolgendo altri setting assistenziali, quali: Cure domiciliari di acuzie/post acuzie, le Cure palliative, RSA, le Case di riposo, le Lungo assistenze domiciliari etc.
- le Reti clinico-assistenziali sociosanitarie,
- i percorsi di presa in carico e di continuità assistenziale,
- le forme della integrazione sociosanitaria,
- la strutturazione di modalità di cooperazione organica con le risorse del volontariato di “prossimità”.
Dall'approvazione del PNC nell’autunno del 2016 sono trascorsi 6 anni ma, come si dice in modo proverbiale, sembra passato un secolo tali e tanti sono stati i cambiamenti intercorsi in particolare nell’ultimo triennio, e non solo per la pandemia. Nasce quindi l’esigenza di una revisione della normativa che per alcuni versi appare superata – basti pensare all’impatto del DM77 sulla governance del territorio - e soprattutto sulla base di quanto è stato realizzato dalle regioni con i piani locali.
Di questo avviso è l’intergruppo parlamentare per la cronicità che ha promosso una ricognizione degli interventi messi in atto, prevedibilmente piuttosto diversificati vista l’autonomia regionale, e dopo l’audizione dei vari stakeholders coinvolti a vario titolo nella gestione della cronicità. Al termine l’intergruppo ha prodotto un documento di sintesi dei dati raccolti e dei suggerimenti degli auditi, con alcune raccomandazioni finali riassunte schematicamente nel box in calce.
Il leit-motiv delle audizioni ha riproposto una criticità ricorrente in documenti di questo tipo: “la denuncia dello scollamento fra le varie componenti del Sistema salute, sia all’interno delle istituzioni sanitarie e non sia fra le varie istituzioni che hanno rapporti diretti o indiretti con la salute del cittadino e della comunità”.
Il tema dell’integrazione e della continuità ospedale-territorio è un po’ il tallone d’Achille dei servizi sociosanitari territoriali e, di conseguenza, il mantra dei documenti ministeriali di politica e governance sanitaria ed anche il DM77 ha fatto propria questa esigenza prioritaria. Nel testo dell’intergruppo parlamentare vengono analizzate le criticità e gli ostacoli che, a dispetto degli auspici e delle dichiarazioni di principio, si frappongono all’effettiva realizzazione dell’integrazione.
Le cause delle perduranti difficoltà pratiche su questo fronte sono analizzate con un realismo non comune in testi ufficiali di questo genere, più inclini a wishful thinking retorici:
Di conseguenza si tratta di creare le condizioni “per formalizzare le necessarie azioni della cooperazione interistituzionale, comunitaria e interprofessionale, il favorire il lavoro comune, il condividere progetti, il definire obiettivi omogenei, cioè sviluppare “tutto ciò che rientra nel quadro logico e metodologico di un più ampio – strutturato, incisivo e multiforme macro-processo di integrazione nelle sue varie espressioni organizzative, gestionali, operative, tecnologiche, professionali e istituzionali”. Tuttavia nella storia professionale di molti operatori sociosanitari e sociali “la volontà e la capacità di integrazione non è del tutto presente per cui è necessario un grande sforzo, soprattutto culturale, finalizzato a superare il retaggio storico del settorialismo”. In particolare per quanto riguarda l’integrazione ospedale territorio si rende necessario:
Il documento prosegue indicando “quelle soluzioni che devono essere implementate adesso e nel futuro – sul territorio nazionale- e di cui si cercherà di evidenziare le ragioni che sono la base fondamentale per determinare un cambiamento e si proporranno alcuni elementi costitutivi, presenti in esperienze già mature, o in fase avanzata di sperimentazione che ne rendono, possibile la realizzazione e la replicabilità in ogni contesto regionale”. In questa cornice dovrebbero essere ricondotti processi di integrazione di ampia visione riguardanti:
Raccomandazioni per l’equità nelle politiche per la cronicità
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