Gentile Direttore,
la sinergia tra proliferazione delle professioni sanitarie sul mercato e la privatizzazione di fatto per via dei tempi d'attesa della specialistica ambulatoriale ha accentuato tensioni e conflitti per la definizione delle competenze esclusive, fino alla moltiplicazione dei contenziosi legali. Storicamente il professionalismo e la cosiddetta dominanza medica - sul mercato e sui clienti, sull'organizzazione del lavoro, sulla formazione e sulle altre professioni - vengono ricondotti al concetto di “giurisdizione”, elaborato dal sociologo britannico Abbott nel 1988, correlato alla capacità della singola professione di ritagliarsi una sfera di competenze specifiche ed esclusive su cui rivendicare il monopolio, grazie alla legittimazione normativa e all’istituzionalizzazione (Ordine o albo professionale).
In realtà sul territorio la dominanza medica è tramontata da tempo per via della burocratizzazione e della medicina amministrata mentre la sua giurisdizione viene erosa dal marketing sanitario.
L'evoluzione scientifica ha portato ad una differenziazione funzionale e dei ruoli professionali per effetto della frammentazione tecno-specialistica, dei saperi e delle pratiche che ha come conseguenza la necessità di promuovere l'integrazione tra i diversi attori riconosciuti formalmente - divenuti oltre una ventina - che in teoria dovrebbero allinearsi agli obiettivi di salute perseguiti dal SSN.
La lotta tra i gruppi è diretta a definire il problema clinico al fine di ricondurlo ad una specifica competenza e far prevalere la propria soluzione come la più adatta per risolverlo. I diversi attori si contendono la legittimità proponendo nuove definizioni dello stesso problema od offrendo soluzioni di policy innovative e più efficaci, efficienti ed economiche per il sistema. Ogni professione tende ad allargare la propria sfera d’azione sul mercato e nelle organizzazioni a spese dei concorrenti, che di riflesso difendono i propri confini giurisdizionali dall' "usurpazione" di compiti tradizionali e dal "bracconaggio" nella propria “riserva di caccia”.
Nel sistema interprofessionale i confini sono oggetto di negoziazioni con i decisori pubblici all'interno di tre arene: quella politico istituzionale normativa, quella dell'organizzazione sanitaria formale informale e nella “giungla” del libero mercato. A volte le negoziazioni mediate dai decision making sono inefficaci o sbilanciate da interessi clientelari verso gli uni ai danni di altri, per cui si apre il vasto scenario dei ricorsi al TAR o al Consiglio di Stato, avviati per difendere il profilo professionale o la competenza esclusiva.
Gli esempi sono innumerevoli, riempiono le cronache sanitarie e giudiziarie da anni e riguardano sia professioni concorrenti sia rivendicazioni di competenze all'interno della stessa categoria. Ad esempio la prima PiC lombarda era il tentativo di allargare informalmente la giurisdizione dei Gestori ospedalieri per erodere quella della medicina territoriale, con un'operazione di task shifting sul quasi mercato regionale a concorrenza verticale, fallita per il disinteresse dei Gestori privati accreditati. Recentemente sono insorti gli oculisti, appoggiati dall'Ordine dei medici milanese, contro la proposta di effettuare valutazioni optometriche nei negozi di ottica.
Sul QS compaiono spesso lettere di infermieri che reclamano maggiori spazi di autonomia e compiti specialistici. Per parte loro gli infermieri non esitano a ricorrere al TAR contro gli sconfinamenti degli OSS nell'area delle loro mansioni. Recentemente è stato respinto il ricorso dei massofisioterapisti che chiedevano l'annullamento del provvedimento Ministeriale che a sua volta rigettava la richiesta di essere considerati “professionisti sanitari” e non semplici “operatori sanitari”. In precedenza era stato bocciato il ricorso, sempre dei fisioterapisti, contro l’istituzione della professione sanitaria dell’osteopatia mentre varie associazioni di categoria, dai biologi ai laboratori privati, hanno criticato la possibilità di eseguire esami nelle "farmacie di servizio" e di gestire la cronicità. L’ultimo casus belli è quello dei fisiatri che contestano la possibilità di accesso diretto al fisioterapista, su prescrizione del MMG, by-passando la consulenza specialistica fisiatrica. A stretto giro di lettera al direttore la presidente dell'ordine dei Fisioterapisti ha ribadito che "l’accesso diretto alle prestazioni fisioterapiche rappresenta una soluzione efficace per la gestione della lombalgia".
La principale arma di pressione su cui fare leva per allagare la giurisdizione è la competenza specialistica, che tende a prevalere su quella generalista a minore differenziazione, nell'impostazione e nella soluzione dei problemi; l'altro argomento agitato per allargare la sfera d'azione è la risposta alla domanda di prestazioni che allunga le liste d'attesa. Sul libero mercato invece sono le nuove professioni emergenti che premono per ampliare la giurisdizione, come accade con osteopatia, fisioterapia, biologi nutrizionisti etc., che "accerchiano" la medicina di I livello per la sua delicata posizione di interfaccia tra SSN e mercato sanitario, per sua natura indifferente ai criteri di appropriatezza della sanità pubblica. In palio c'è il business della domanda non coperta dall'offerta del SSN che, in sinergia con la medicalizzazione della società, offre ampi spazi di manovra, specie per chi utilizza strumenti di marketing sanitario.
In questo scenario si moltiplicano i conflitti giurisdizionali inter-professionali in parallelo all’enfasi retorica sulla necessità di una maggiore integrazione e collaborazione multiprofessionale, spesso evocate nei documenti di indirizzo ministeriale quanto difficili da attuare nel paradossale macro contesto concorrenziale. Verrebbe da chiosare: “è il mercato, bellezza”!
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