Di seguito nel PS si può leggere l'estratto dell'intervista ad un collega che si è dimesso dal PS per lavorare in MG, passando dalla padella alla brace per poi ritornare a lavorare in un CAU. La vicenda è l'esito di una rappresentazione stereotipata e idealizzata della MG, dallo stesso immaginata come un Eldorado professionale.
Nonostante l'età, l'inesperienza del contesto della MG lo ha indotto ad abbondare in disponibilità telefonica, per poi venire subissato da messaggi di WA, lo strumento per banalizzare la comunicazione, trasformare il mezzo in veicolo di futili bisogni e tendenze ipocondriache. Dall'intervista sembra che abbia lavorato come sostituto senza collaboratori, per cui dopo pochi mesi ha abbandonato visto l'impatto della gestione della cronicità, per riparare in un CAU.
Se perfino un collega con esperienza decennale aveva un'immagine della MG sfasata e disallineata rispetto alla pratica sul campo si può immaginare quale possa essere quella coltivata da funzionari pubblici, manager, giornalisti e burocrati ministeriali che gestiscono, giudicano e prendono decisioni sul nostro lavoro.
Come organizzeranno la specializzazione, magari affidata ad universitari che non hanno mai fatto una settimana di lavoro sul territorio, e soprattutto come sarà strutturata e gestita la MG con la futura dipendenza!
Il mismatch cognitivo tra rappresentazione e realtà empirica, a base di vari bias, che emerge da questa vicenda è istruttivo e ampiamente previsto:
LA MAPPA NON E' IL TERRITORIO, IL NOME NON E' LA COSA!
L'INFORMAZIONE E' UNA DIFFERENZA
P.S. Un estratto dall'intervista al Corriere Bologna.
Si è dimesso dal Ps dopo un pezzo di vita professionale dedicato all’emergenza-urgenza. E adesso che fa?
«Ho fatto il concorso da medico di base e iniziato il corso che dura tre anni, quello è stato l’appiglio per lasciare il mio lavoro del cuore. Ho iniziato a fare sostituzioni da medico di base in provincia, perché io amo la provincia. E da medico di base ho visto l’altra faccia di una professione che dai corridoi del Ps in genere criticavo molto».
Quindi ha dovuto ricredersi sul medico di famiglia? Sarebbe clamoroso.
«In parte sì. Se un medico di base non ha la segreteria, il lavoro diventa un incubo. I pazienti ti inondano di whatsapp, vocali, emoticon. Capisce? Gli emoticon. Più che il medico diventi un segretario e perdi di vista il tuo lavoro. I massimalisti, i medici che hanno raggiunto il massimo consentito degli assistiti, gestiscono una mole di pazienti assurda, le ore di ambulatorio sono fittizie, si fanno sempre almeno due ore in più.
Non è l’eldorado il medico di base, una volta lo pensavo. Fai dal lunedì al venerdì, certo, ma sono cinque giorni senza tregua. Ricevi centinaia di messaggi per la prescrizione di ricette per le malattie croniche e questo toglie tempo e la possibilità di fare il medico. A me piace visitare la gente, ma poi se fai il medico di base non hai nemmeno quegli strumenti che ti consentono di gestire il caso sul territorio. E cosa si fa? Si mandano i pazienti al Ps».
O al Cau...
«Adesso lavoro anche al Cau, ruoto su varie strutture a Bologna e in provincia, sono tornato anche al Sant’Orsola come medico del Cau, è stato bello. Faccio i turni mancanti dei Cau e faccio anche le notti che mi ridanno un po’ dei ritmi che avevo in Ps. Aspetto la stabilizzazione».
Il Cau in ambito medico non gode certo di buona fama. Ora che ha provato tutto, ci dica cosa pensa dei Cau a questo punto.
«Al Cau si possono fare gli esami del sangue, i tamponi, l’elettrocardiogramma, le radiografie, quindi è un tentativo di migliorare lo status quo, anche se probabilmente riduce più la pressione sui medici di famiglia che sul P.S.
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