mercoledì 12 novembre 2025

Incentivi sull'appropriatezza diagnostica. Il controverso caso dell'accordo aziendale di Modena

L’accordo tra ASL modenese e sindacati dei MMG per migliorare l’appropriatezza prescrittiva nella diagnostica ambulatoriale ha sollevato l’immancabile vespaio polemico. L’annoso problema dell’inappropriatezza può essere affrontato partendo da due premesse cognitive opposte, due pre-condizioni culturali antitetiche.

La prima enfatizza in modo retorico il ruolo centrale del MMG, immaginandolo come un burattinaio che muove i fili delle prescrizioni sul territorio, una sorta di deus ex machina dell’accesso ai servizi, il famoso custode del cancello dal quale dipenderebbero gli altri attori professionali. Niente di più lontano dalla realtà fattuale. In proposito Grilli e Taroni nel 2004 hanno formulato la diagnosi definitiva:  

I processi di produzione e distribuzione dei servizi sanitari si svolgono attraverso reti di relazioni complesse e scarsamente gerarchizzabili fra organizzazioni e professioni diverse, in cui nessuno dei numerosi attori può esercitare la funzione di comando e controllo e, parallelamente, non esiste un unico soggetto cui imputare responsabilità complessive

Sembrerà strano ma nel 2025 le logiche sistemiche non sono ancora patrimonio culturale ed organizzativo condiviso tra il management pubblico e sindacati. Come recita uno scherzoso aforisma “per ogni problema complesso c’è una soluzione semplice, ma è sbagliata”. È il caso del presunto “ruolo centrale“ del medico di base in qualità prescrittore unico, che resiste pervicacemente nonostante le evidenze empiriche contrarie.

Il presupposto cognitivo opposto, come indicano gli epidemiologi emiliani, è appunto sistemico-relazionale: non esiste nella “rete di relazioni complesse e scarsamente gerarchizzabili” un “centro di controllo” in grado di regolare gli scambi, le influenze e gli equilibri di “potere” tra attori, autonomi ma inter-dipendenti. La metafora più adeguata è quella del quadrilatero relazionale – isolato artificialmente nel contesto della più ampia trama reticolare - ai cui vertici troviamo: il paziente, il medico dell’AP, lo specialista pubblico e quello libero-professionale (in realtà sarebbe più appropriata la figura geometrica dell’esagono, per includere almeno farmacisti ed infermieri).

Sono questi gli attori nella dimensione micro che inducono in diversa misura e responsabilità le prestazioni oggetto delle iniziative di promozione dell’appropriatezza. Ognuno di loro è connesso con gli altri vertici tramite i lati e le diagonali in un intreccio di inter-retroazioni sistemiche regolate dai vincoli prescrittivi del SSN e regionali, dalle risorse organizzative locali, dalle norme del codice deontologico e dalle dinamiche informali della domanda-offerta sul mercato sanitario. Ogni attore del quadrilatero relazionale è latore di bisogni, ruoli, preferenze, priorità, logiche professionali, di “potere” etc., all’interno della propria sfera decisionale, che entrano in negoziazioni formali e informali con gli altri portatori di interessi.

Il primo passo per districarsi nelle “reti di relazioni complesse” e fare chiarezza sulle responsabilità è quello di stabilire “chi prescrive cosa e con quale appropriatezza” all’interno del sistema territoriale multi attore, posto che ci troviamo in una dimensione orizzontale e non verticale di controllo gerarchico, superiore e unidirezionale, come vorrebbe la vuota retorica del “ruolo centrale” dell’AP. Il MMG è spesso costretto a trascrivere impropriamente richieste di accertamenti che, in base alle norme vigenti, dovrebbero essere prescritte personalmente dallo specialista per rispondere al quesito clinico dell’inviante, senza l’umiliante via vai dei pazienti dall’ospedale allo studio del generalista. Insomma, a ciascuno il suo! Purtroppo però questa semplice regola comportamentale di correttezza, responsabilità ed equità viene spesso ignorata e per giunta non vale per lo specialista libero-professionale, che prescrive in totale libertà gravando sulle prescrizioni “suggerite” al MMG, il quale non può che fare buon viso a cattivo gioco, salvo perdere il paziente in caso di diniego.

Una volta definito chi e in che misura induce le prescrizioni, si può prendere in considerazione il problema della loro appropriatezza in due modi

  • in termini di mero scostamento quantitativo in eccesso rispetto alle statistiche, come indicatore di inappropriatezza, anche se resta da stabilire quale sia la media "giusta" all’interno della variabilità;
  • oppure circa la qualità della richiesta – nel senso della prestazione giusta, al paziente giusto, nei modi e tempi giusti etc. - in relazione alle norme informali di buona pratica clinica (PDTA, Linee Guida, RAO etc.) e/o ai vincoli normativi formali della cosiddetta medicina amministrata (LEA nazionali o norme regionali sulla diagnostica ambulatoriale, che per la precisione non comprendono le visite specialistiche).

Ecco due specifici esempi pratici: l’oculistica e la diagnostica per immagini. Le visite specialistiche e gli accertamenti strumentali oculistici sono l’esempio della scarsa autonomia decisionale e dello scarsissimo controllo esercitato dal MMG sulle prescrizioni, per l’influenza preponderante del paziente e degli specialisti. Chiunque ha un minimo di esperienza di AP sa che quello del MMG è un ruolo di passivo esecutore con margini di discrezionalità ristrettissimi. Che decisione può prendere il generalista medio di fronte al paziente che lamenta deficit o disturbi visivi se non inviarlo a visita specialistica, con l’opportuna priorità? E come potrebbe bloccare, per presunta inappropriatezza, richieste di visite di controllo e/o esami strumentali - dall'Oct al campo visivo, dalla FAG alla tonometria - indotte dall’oculista in pazienti affetti da glaucoma, retinopatia ipertensiva o diabetica, degenerazione maculare, cataratta, vizi refrattivi, retinopatia miopica grave, strabismo, trapiantati di cornea etc.  

Per quanto riguarda la diagnostica per immagini le indagini epidemiologiche documentano che almeno la metà delle RMN sono indotte dal II livello, percentuale che supera i ¾ per quanto riguarda angio-RM, TC/RM con mezzo di contrasto, coronarografie, PET, scintigrafie, Spect etc. Non si capisce come e perchè il MMG debba rendere conto dell'eventuale inappropriatezza delle prescrizioni indotte da altri professionisti, non di rado per motivazioni difensive e/o senza un esplicito quesito clinico.

Tra i due estremi del continuum esistono situazioni intermedie nelle quali l’eventuale inappropriatezza del MMG può essere migliorata con la formazione, il benchmarking, il confronto tra pari e soprattutto la condivisione di buone pratiche (e relative responsabilità prescrittive) tra medici del I e II livello, nessuno escluso.

Il sociologo francese dell'organizzazione Michel Crozier ha descritto con appropriatezza l'incomoda posizione dei medici dell'AP. 

L'ascolto è insostituibile, perché soltanto attraverso di esso si può conoscere il reale funzionamento di un sistema di interrelazioni umane. Noi parliamo sempre delle finalità e degli obiettivi di un'istituzione - di ciò che dovrebbe essere - ma non diamo mai importanza a ciò che è. E ciò che conta di più per capire il funzionamento delle nostre imprese ed istituzioni non sono i bisogni astratti degli individui, ma i comportamenti concreti di persone prese nelle strette di un meccanismo complesso, nel quale hanno responsabilità, ma che non controllano. [...] Non si può comprendere una situazione se non analizzando ciò che dicono le persone che la vivono realmente. Mettendosi al loro posto, si coglie la razionalità del loro comportamento.

P.S. Storicamente il primo esempio di valutazione dell’appropriatezza è quello della californiana RAND Corporation degli anni Novanta, che partiva dalla constatazione di una eccessiva variabilità delle casistiche ospedaliere, proponendo l’analisi dei determinanti di tali scostamenti, come in caso di

elevata frequenza di utilizzo della procedura, costi elevati, rischio elevato di complicanze (mortalità, morbosità) [..] procedure il cui uso è controverso, buone probabilità terapeutiche o diagnostiche e la qualità dell’evidenza scientifica disponibile.

L’obiettivo era la riduzione dell’eccessiva variabilità geografica di ricoveri o interventi chirurgici, “restringendo” la curva gaussiana grazie alla descrizione di

“scenari” o “indicazioni”, per classificare, in base a sintomi, storia clinica, risultati dei test diagnostici, i pazienti che potrebbero essere candidati all’intervento in questione.

Il modello RAND riguardava specifici problemi clinici escludendo programmaticamente “gli aspetti di carattere economico e/o di organizzazione sanitaria”. E’ interessante osservare che il metodo RAND, dopo aver registrato la variabilità, non stabiliva rigidi confini tra “normalità” e “patologia” di tipo statistico, ad esempio indicando percentuali di scarto ammesso rispetto alle medie. Per ridurre la variabilità proponeva scenari clinici di riferimento, in base ai quali valutare la necessità o meno delle procedure nei singoli casi pratici, a prescindere da parametri di spesa, motivazioni economico-finanziarie od organizzative. In sostanza l’appropriatezza è un giudizio ad personam secondo la formula “la prescrizione di un accertamento o di un farmaco al paziente giusto, nei modi e nei tempi giusti evitando l’over-use e l’under-use”.

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