venerdì 30 marzo 2018

Indicazioni generali del Piano Nazionale per la Cronicità (ottobre 2016)

Il Piano Nazionale per la Cronicità in un'appendice elenca sinteticamente le caratteristiche organizzative comuni che i modelli regionali dovranno soddisfare per la gestione appropriata delle patologie croniche nelle diverse realtà locali. Di seguito sono riportati i punti qualificanti che riguardano, in particolare, il ruolo e i compiti delle Cure Primarie e del medico di MG all'interno del Distretto.
·       La necessità di superare la frammentazione dell’assistenza sanitaria nel territorio. Da questo punto di vista, uno degli aspetti su cui ricercatori, operatori e decisori nel settore della sanità hanno posto molta attenzione nel corso degli ultimi anni è la continuità dell’assistenza, che permette una risposta adeguata, in termini di efficacia dell’assistenza, efficienza gestionale e appropriatezza.
·        L’adozione di modalità operative per favorire il passaggio da un’assistenza “reattiva” a un’assistenza “proattiva” da parte della medicina generale.
·        Il riconoscimento che l’assistenza primaria rappresenta il punto centrale (hub) dei processi assistenziali con forti collegamenti con il resto del sistema, con un ruolo cardine svolto dal distrettoIl distretto rappresenta l’ambito ove si valuta il fabbisogno e la domanda di salute della popolazione di riferimento rilevata dai professionisti, e riveste un ruolo di tutela e programmazione.
·        Una maggiore caratterizzazione e definizione delle funzioni delle diverse figure professionali, mediche e non, a partire dalla figura centrale del Medico di medicina generale (MMG).
·        La possibilità di definire sedi fisiche di prossimità sul territorio per l’accesso e l’erogazione dei servizi sanitari, socio-sanitari e socio-assistenziali rivolti alla popolazione di pazienti cronici.
·        L’integrazione socio-sanitaria e team multiprofessionali che puntano al miglioramento continuo mediante integrazione tra MMG, infermieri, specialisti, altre professioni sanitarie e sociali. Ciò comporta una diversa organizzazione della medicina generale, basata su modelli che privilegiano l’attività in associazione (Aggregazioni Funzionali Territoriali – AFT – e Unità Complesse di Cure Primarie – UCCP ).
·        L’uniformità ed equità di assistenza ai cittadiniIl punto è di particolare rilievo in quanto i diversi modelli organizzativi regionali dovrebbero tenere conto della difficoltà di accesso alle cure da parte dei cittadini. Si tratta di un sistema in evoluzione che richiede una forte integrazione tra i diversi setting assistenziali.

mercoledì 21 marzo 2018

Presa in carico: appropriatezza organizzativa e relazioni professionali

La gestione delle condizioni croniche, come ribadito in numerosi passaggi del Piano Nazionale per la Cronicità, richiede processi di integrazione, condivisione e cooperazione, come quelli previsti dai PDTA, e soprattutto scelte strategiche ispirate all’appropriatezza organizzativa.

Per garantire l’appropriatezza della Presa in Carico (da ora PiC) e della gestione della cronicità è centrale la suddivisione consensuale dei compiti tra i vari attori organizzativi, specie tra I° livello territoriale e II° livello specialistico, per evitare contrasti, duplicazioni o inutili sovrapposizioni; senza un esplicito riconoscimento dei ruoli reciproci si rischia di favorire la cosiddetta "generalizzazione della medicina specialistica", ovvero la tendenza di alcuni specialisti a "sconfinare" nell'area delle cure primarie sottraendo spazio e competenza al MMG.

I PDTA sono stati elaborati ed applicati dall’inizio del secolo proprio con l’intento di condividere tra MMG e Specialisti ruoli organizzativi e compiti clinico-assistenziali, in particolare per quanto riguarda il diabete mellito. Prima di allora infatti il Centro Diabetologico si faceva carico di seguire assistiti affetti da Diabete tipo II non complicato, che potevano essere agevolmente curati sul territorio dal MMG. Si trattava di un evidente inappropriatezza organizzativa che aveva come conseguenza il sovraccarico del Centro, con allungamento dei tempi e delle liste d’attesa, di cui pagavano le conseguenze i diabetici “complessi”. 

Per superare questo assetto organizzativo “irrazionale” fu avviata, contestualmente all’implementazione dei PDTA, la “dismissione” dei diabetici tipo II non complicati, riaffidati alle cure della medicina territoriale.
Oggi di fatto con la PiC in versione lombarda si ritorna al passato, complice la riproposizione dello stesso modello di relazioni inter-professionali inappropriate di allora; se il paziente decide di accettare la PiC da parte del Gestore ospedaliero il Clinical Manager (CM) della struttura si riapproprierà, ad esempio, dei diabetici che attualmente sono seguiti dal MMG. Sebbene la relazione tra MMG e CM resti ancora indefinita, di fatto la scelta del paziente cronico di affidarsi alle cure del CM in alternativa al medico curante, configura una sorta di ricusazione selettiva del MMG da parte dell’assistito.

Come ha sottolineato la Federazione regionale degli Ordini dei Medici della Lombardia nel documento che rileva le criticità etico-deontologiche della PiC “si introduce in buona sostanza una dicotomia tra compiti clinico-assistenziali del MMG e quelli affidati al Clinical Manager del Gestore, che potrebbe pregiudicare la continuità e l’integrazione dell'assistenza” ad esempio “quando si rendessero necessarie variazioni della terapia cronica, anche in assenza di riacutizzazioni, per cui la persona assistita dovrà comunque e sempre far riferimento al Clinical Manager del Gestore”.

In sostanza l’offerta di PiC suona come un invito a cambiare medico per un’implicita squalifica professionale del MMG, di cui si dichiara indirettamente l’incompetenza a curare la malattia cronica. Si tratta di una novità in quanto fino ad ora le relazioni inter-professionali erano negoziate tra MMG e specialista, ricorrendo ai due istituti previsti dagli Accordi Collettivi Nazionali: la tradizionale visita di consulenza o al passaggio in cura dal MMG allo Specialista. Ora invece l’assistito viene formalmente invitato a “by-passare” le cure primarie per affidarsi stabilmente ad un professionista alternativo, in un contesto organizzativo ospedaliero.

Per un’appropriata suddivisione dei compiti tra MG e Medicina Specialistica è essenziale la categorizzazione delle diverse forme di cronicità, che si distribuiscono lungo un continuum ai cui estremi si trovano
·         da un lato gli assistiti sani e asintomatici portatori di uno o più fattori di rischio ad elevata prevalenza (semplice iperglicemia e/o ipertensione arteriosa ben compensati e senza danno d'organo) e  
·         dall’altro quelli affetti da monopatologie “complesse” a bassa prevalenza (malattie infiammatorie intestinali, connettiviti, emopatie, epilessia, tumori, malattie neurodegenerative etc..)  o pluripatologie ad elevata intensità clinico-assistenziale (ipertesi e/o diabetici con plurime complicanze, retinopatia, coronaropatia, uremia, polineuropatia, FA e scompenso cardiaco etc..).

Ogni categoria nosografica richiede un bilanciamento appropriato del contributo delle cure primarie e di quelle specialistiche, in funzione della complessità e problematicità del singolo caso. La distribuzione consensuale dei compiti professionali ed organizzativi è influenzata da due variabili, ovvero la preparazione del medico, specialistica o generalistica, e l'esperienza pratica accumulata sul campo.

Nel caso delle condizioni ad alta prevalenza il MMG è in grado di giocare un ruolo perché l’esperienza può in certa misura sopperire alla preparazione generalistica; al contrario nelle patologie a bassa prevalenza e ancor di più in quelle rare è improponibile un affidamento esclusivo alla MG, i cui compiti restano ancillari rispetto allo specialista, proprio per una combinazione "in negativo" di preparazione non specialistica e soprattutto scarso bagaglio esperienziale di pratiche e di casi clinici. 

In un’ottica di appropriatezza organizzativa si possono così schematizzare le relazioni professionali tra I° e II° livello nelle patologie croniche:
·        Relazione consulenziale “classica”. L’assistito è in carico del MMG e il parere dello specialista può essere richiesto occasionalmente dal generalista per un dubbio diagnostico o terapeutico in assistiti portatori di singoli fattori di rischio ad alta prevalenza: la PiC e la gestione del caso restano affidati al MMG secondo i criteri da PDTA ma senza la necessità del PAI
·         Assistito “condiviso”. In caso di patologie ad altra prevalenza con complicanze d’organo la gestione può essere condivisa tra MMG e Specialista in base ai PDTA (follow-up specialistici periodici concordati) con eventuale PAI in caso di assistiti complessi
·         Passaggio in cura. Per patologie a bassa prevalenza/rare o in caso di pluripatologie la gestione resta prevalentemente specialistica, con PAI e supporto della MG per follow-up periodici, sorveglianza e monitoraggio delle terapie in atto etc..
·         Pazienti domiciliari disabili, non autosufficienti, fragili etc. Vengono in genere seguiti con l’assistenza domiciliare del MMG, in ADP o ADI, con consulenze specialistiche domiciliari, in alternativa al “ricovero” in RSA o strutture analoghe.

I dubbi sull’appropriatezza organizzativa della PiC riguardano la seconda e l'ultima categoria. Saranno in grado i Gestori ospedalieri di ri-farsi carico in toto dei pazienti fino ad ora "condivisi" con la MG? Chi assicurerà in futuro la cosiddetta medicina di prossimità, la visione globale dei problemi e il coordinamento degli interventi sul territorio? Chi garantirà l’assistenza ai cronici fragili e/o non autosufficienti, attualmente in assistenza domiciliare o in ADI, che sceglieranno il Clinical Manager?  Il CM potrà recarsi regolarmente al domicilio dell’assistito per monitorarne le condizioni cronica, come fanno attualmente i MMG?

P.S. Al link una proposta di revisione della PiC elaborata da un gruppo di MMG lombardi:  https://app.box.com/s/yql53so9fha0yvlidpwmrcusu0p551dd


sabato 17 marzo 2018

Con le liste elettorali gli Ordini avranno una rappresentanza proporzionale


La ministra Lorenzin ha firmato il decreto attuativo della riforma degli Ordini professionali, che disciplina le modalità di elezioni dei Consiglio Direttivi provinciali, introducendo per la prima volta il voto di lista e nuove modalità di svolgimento delle votazioni e dello scrutinio: http://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato8686421.pdf

Per comprendere il possibile impatto della riforma bisogna risalire al sistema elettorale vigente per il rinnovo degli Ordini provinciali, risalente al secondo dopo guerra. Il meccanismo adottato all'epoca, cioè la designazione diretta dei consiglieri provinciali tramite la preferenza individuale senza voto di lista, rifletteva i rapporti tra società e medicina del tempo. A quell'epoca la professione era esercitata prevalentemente in forma privata, nel senso che il contesto professionale corrente era quello della relazione medico-paziente in regime libero professionale, estranea cioè a forme strutturate ed organizzazioni sindacali o professionali di categoria.

Il modello adottato era espressione di quella realtà professionale e sociale. In pratica la gestione ordinistica è stata condizionata per oltre 50 da un sistema elettorale ad personam che ha escluso minoranze consistenti ed organizzate. Non essendo previsto il voto di lista era sufficiente che un gruppo compatto di candidati, coagulato in una “pseudo-lista” informale, ricevesse mediamente poche preferenze in più di una “pseudo-lista” concorrente di minoranza, per aggiudicarsi tutti i seggi in palio, come accede in un sistema elettorale maggioritario, tipicamente disproporzionale e democraticamente non rispettoso delle minoranze.

In pochi anni però lo scenario è radicalmente cambiato. Laddove all'ordine provinciale erano iscritti poche centinaia di professionisti oggi abbiamo una popolazione medica di svariate migliaia. La professione si svolge sempre più in forma organizzata in grandi strutture nosocomiali, gruppi territoriali, aziende sanitarie od ospedaliere etc..; la rappresentanza sindacale e professionale è diffusa a tutti i livelli e negozia accordi collettivi che riguardano migliaia di professionisti, il baricentro gestionale si è spostato a livello regionale e locale.

Insomma nell'arco di pochi decenni si è consumata la transizione dalla dimensione professionale individuale, di stampo liberale, alla contrattazione collettiva in un SSN strutturato su più livelli che vede sindacati e società professionali assumere un ruolo di mediazione e di co-gestione. In questo nuovo contesto non stupisce che i sindacati abbiano influenzato anche la rappresentanza ordinistica, assumendo la funzione di collettori di un consenso organizzato alle elezioni locali.

Il fenomeno è stato favorito da un sistema elettorale rigidamente ad personam", che paradossalmente si è rivelato funzionale al successo maggioritario di liste elettorali informali e "bloccate", composte cioè in prevalenza da esponenti sindacali, con l’esclusione di "opposizioni" consistenti o meno compatte. In alcune province per diverse tronate elettorali questo sistema ha cristallizzato situazioni di quasi monopolio, da “lista unica”, con inevitabile perdita di interesse e scarsa partecipazione per mancanza di alternative a causa della quasi certa esclusione delle minoranze.

Ora finalmente con la riforma Lorenzin il sistema elettorale ordinistico evolve verso il modello proporzionale, grazie all’introduzione del voto di lista accanto alla tradizionale preferenza personale. In tal modo anche le liste di minoranza potranno avere propri esponenti all’interno del Consiglio Direttivo a garanzia del pluralismo, di un’autentica dialettica democratica e di una più ampia partecipazione al voto.

venerdì 2 marzo 2018

Sottoscritto l'ACN "ponte": arretrati 2010-2017 e revisione dell'accesso alla convenzione

Si tratta solo di un ACN "ponte" a cui seguirà il vero e proprio rinnovo, relativo al triennio 2006-2018, che dovrebbe essere negoziato e varato nell’anno in corso. Ecco in sintesi i contenuti principali (al Link il testo completo: https://goo.gl/cuKcrp )
  • Parte normativa. Vengono ribaditi gli obiettivi di politica sanitaria nazionale, già inseriti nell'atto di indirizzo: Piano Nazionale della Cronicità, Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale, Accesso improprio al Pronto Soccorso, Governo delle liste di attesa e appropriatezza. Altri punti qualificanti sono: regolamentazione del diritto di sciopero in ottemperanza alla normativa per i servizi pubblici, revisione delle procedure di accesso alla MG, per favorire il ricambio generazionale, alla continuità assistenziale e all'emergenza sanitaria.
  • Parte economica. Comprende gli arretrati dal 2010 al 2015 (0.35-0.52 €/assistito per anno) più quelli del biennio 2016-2017 (0,77-1,28 €/assistito) in attesa del rinnovo della parte normativa ed economica dell'ACN 2016-2018. La cifra complessiva per un massimalista si dovrebbe aggirare attorno a 7500 € lordi, corrisposti in due tranches, a 60 e 90 giorni dall'entrata in vigore della pre-intesa, presumibilmente dall’inizio dell’estate. 
  • Arretrati per la CA: 0,11-0,17/ora dal 2010 al 2015,  0,24-0,41/ora per il 2017-2017. 
  • Per l'emergenza sanitaria territoriale: 0,12-0,18/ora dal 2010 al 2015, 0,26-0,44/ora per il 2016-2017. 
  • Per la medicina dei servizi: 0,07-010/ora dal 2010 al 2015, 0,15-0,25/ora per il 2016-2017.
Contrariamente alla bozza circolata nei giorni scorsi è stata accantonata l'istituzione di uno specifico settore inerente l’assistenza negli istituti penitenziari e l'aumento del massimale a 1800 scelte su base regionale, nelle zone carenti a seguito di pensionamento, per i medici dotati di personale di studio.
I veri e propri aumenti dei compensi, per la quota capitaria o altre indennità della MG destinati a trascinarsi negli anni successivi, verranno definiti nel 2018 con il rinnovo dell'ACN triennale. E’ verosimile che in questa sede verrà stabilita la cornice attuativa degli obiettivi di politica sanitaria nazionale enunciati nella premessa, che costituiscono impegni professionali non indifferenti destinati ad avere un rilevante impatto sui carichi di lavoro e sull’organizzazione.

lunedì 26 febbraio 2018

Diffusa la bozza di rinnovo dell'ACN

Si tratta solo di una pre-intesa, a cui seguirà il vero e proprio rinnovo dell’ACN, relativo al triennio 2006-2018, che dovrebbe essere negoziato e varato nell’anno in corso, dopo il via libera alla bozza. Ecco in sintesi i contenuti principali dell'intesa sottoscritta alla viglia delle elezioni politiche.
  • Parte normativa. Vengono ribaditi gli obiettivi di politica sanitaria nazionale, già inseriti nell'atto di indirizzo: Piano Nazionale della Cronicità, Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale, Accesso improprio al Pronto Soccorso, Governo delle liste di attesa e appropriatezza. Altri punti qualificanti sono: regolamentazione del diritto di sciopero in ottemperanza alla normativa per i servizi pubblici, revisione delle procedure di accesso alla MG, per favorire il ricambio generazionale, alla continuità assistenziale e all'emergenza sanitaria.
  • Parte economica. Comprende gli arretrati dal 2010 al 2015 (0.35-0.52 €/assistito per anno) più quelli del biennio 2016-2017 (0,77-1,28 €/assistito) in attesa del rinnovo della parte normativa ed economica dell'ACN 2016-2018. La cifra complessiva per un massimalista si dovrebbe aggirare attorno a 7500 € lordi, corrisposti in due tranches, a 60 e 90 giorni dall'entrata in vigore della pre-intesa, presumibilmente dall’inizio dell’estate. 
  • Arretrati per la CA: 0,11-0,17/ora dal 2010 al 2015,  0,24-0,41/ora per il 2017-2017. 
  • Per l'emergenza sanitaria territoriale: 0,12-0,18/ora dal 2010 al 2015, 0,26-0,44/ora per il 2016-2017. 
  • Per la medicina dei servizi: 0,07-010/ora dal 2010 al 2015, 0,15-0,25/ora per il 2016-2017.
I veri e propri aumenti dei compensi, per la quota capitaria o altre indennità della MG, destinati a trascinarsi negli anni successivi, verranno definiti nel 2018 con il rinnovo dell'ACN triennale. E’ verosimile che in questa sede verrà stabilita la cornice attuativa degli obiettivi di politica sanitaria nazionale enunciati nella premessa, che costituiscono impegni professionali non indifferenti destinati ad avere un rilevante impatto sui carichi di lavoro e sull’organizzazione.

L'intesa segna una svolta nella contrattazione nazionale e soprattutto regionale: l’ACN recepisce, seppure in modo per ora solo formale e non pratico, il Piano Nazionale per la Cronicità, a cui si dovranno attenere gli AIR che nei prossimi anni implementeranno in periferia il piano a livello clinico-assistenziale ed organizzativa, secondo i principi generali enunciati nel Piano stesso (si veda il PS). Gli AIR dovranno prevedere "l'attiva partecipazione dei medici di assistenza primaria alla presa in carico delle persone affette da patologie croniche per rendere più efficaci ed efficienti i servizi sanitari in termini di prevenzione e assistenza e assicurando maggiore uniformità ed equità di accesso ai cittadini".

Si inibiscono quindi le fughe in avanti di alcune amministrazioni regionali, che in assenza di vincoli normativi nazionali si stanno muovendo autonomamente e in ordine sparso in questo settore decisivo per il futuro della MG. E’ il caso delle delibere lombarde sulla Presa in Carico della cronicità che su molti punti qualificanti, come il ruolo dei Gestori organizzativi e la figura del Clinical Manager, sono in aperta dissonanza con lo spirito e le direttive del Piano Nazionale riportate nel PS.

P.S.ELEMENTI COMUNI AI MODELLI REGIONALI PER LA PRESA IN CARICO DEI SOGGETTI CRONICI
  1. La necessità di superare la frammentazione dell’assistenza sanitaria nel territorio. Da questo punto di vista, uno degli aspetti su cui ricercatori, operatori e decisori nel settore della sanità hanno posto molta attenzione nel corso degli ultimi anni è la continuità dell’assistenza, che permette una risposta adeguata, in termini di efficacia dell’assistenza, efficienza gestionale e appropriatezza, soprattutto per il trattamento di tutti quei pazienti affetti da patologie in cui la presenza di situazioni di comorbilità, fragilità e non autosufficienza richiede l’adozione di un approccio integrato e multidisciplinare.
  2. L’adozione di modalità operative per favorire il passaggio da un’assistenza “reattiva” a un’assistenza “proattiva” da parte della medicina generale, quale modalità operativa in cui le consuete attività cliniche ed assistenziali sono integrate e rafforzate da interventi programmati di follow-up sulla base del percorso previsto per una determinata patologia.
  3.  Una assistenza basata sulla popolazione, sulla stratificazione del rischio e su differenti livelli di intensità assistenzialeriprendendo anche le indicazioni sulla caratterizzazione delle cure che sono alla base dei flussi dell’assistenza territoriale e, ove utilizzabili, dell’assistenza socio-assistenziale.
  4. Il riconoscimento che l’assistenza primaria rappresenta il punto centrale (hub) dei processi assistenziali con forti collegamenti con il resto del sistema, con un ruolo cardine svolto dal distrettoIl distretto rappresenta l’ambito ove si valuta il fabbisogno e la domanda di salute della popolazione di riferimento rilevata dai professionisti, e riveste un ruolo di tutela e programmazione. Importante è che ci sia un ruolo di governance, intesa come cornice organizzativa e gestionale, chiaro ed esplicito, sia a livello regionale che aziendale.
  5. Una maggiore caratterizzazione e definizione delle funzioni delle diverse figure professionali, mediche e non, a partire dalla figura centrale del Medico di medicina generale (MMG).
  6. La possibilità di definire sedi fisiche di prossimità sul territorio per l’accesso e l’erogazione dei servizi sanitari, socio-sanitari e socio-assistenziali rivolti alla popolazione di pazienti cronici.
  7. La presenza di sistemi informativi evoluti in grado di leggere i percorsi diagnostico terapeutici assistenziali (PDTA) al fine di monitorare e valutare l’assistenza erogata al paziente cronico.
  8. L’utilizzo di linee guida in grado di tener conto della comorbilità e della complessità assistenziale. Risulta fondamentale, infatti: integrare le linee guida basate sull’evidenza con le attività cliniche quotidiane; condividere le linee guida basate sull’evidenza e le informazioni con i pazienti per incoraggiare la loro partecipazione; utilizzare metodi di insegnamento efficaci.
  9. L’integrazione socio-sanitaria e team multiprofessionali che puntano al miglioramento continuo mediante integrazione tra MMG, infermieri, specialisti, altre professioni sanitarie e sociali in grado di prendersi carico di gruppi di popolazione e di garantire loro una continuità assistenziale integrata. Ciò comporta una diversa organizzazione della medicina generale, basata su modelli che privilegiano l’attività in associazione (Aggregazioni Funzionali Territoriali – AFT – e Unità Complesse di Cure Primarie – UCCP – come previste dalla Legge n.189 del 2012 e dal Patto per la Salute 2014-2016);
  10. L’investimento su auto-gestione ed empowerment in modo da aiutare i pazienti e le loro famiglie ad acquisire abilità e fiducia nella gestione della malattia, procurando gli strumenti necessari e valutando regolarmente i risultati e i problemi. Le evidenze scientifiche dimostrano che i malati cronici, quando ricevono un trattamento integrato e un supporto al self-management e al follow-up, migliorano e ricorrono meno all’assistenza ospedaliera.
  11. L’uniformità ed equità di assistenza ai cittadiniIl punto è di particolare rilievo in quanto i diversi modelli organizzativi regionali dovrebbero tenere conto della difficoltà di accesso alle cure da parte dei cittadini. Si tratta di un sistema in evoluzione che richiede una forte integrazione tra i diversi setting assistenziali.

sabato 24 febbraio 2018

I codici di priorità, una riforma trascurata e spesso inapplicata

Uno dei temi più gettonati dai candidati Governatori delle regioni e che assilla da sempre i sistemi sanitari è quello dei tempi di attesa per visite specialistiche, esami radiologici, Ecografie, ECG, TAC, RMN etc.. Il fenomeno è da tempo sotto la lente d’ingrandimento e si stanno tentando varie strade per trovare soluzioni perché, oltre a costituire motivo di insoddisfazione, preoccupazione e lamentele da parte degli assistiti, le lunghe attese si riverberano sul sistema nel suo complesso per l’effetto vasi comunicanti.

Infatti la domanda di prestazioni- in particolare visite specialistiche e diagnostica per immagine - che non trova un’adeguata risposta nelle strutture di erogazione ordinaria trova sbocco nei servizi di pronto soccorso, che devono quindi fronteggiare un flusso inappropriato di assistiti. La lunghezza delle attese è una delle cause dell’eccesso dei cosiddetti codici bianco/verdi, a loro volta fonte di allungamento dei tempi di permanenza in PS, stress e malcontento per utenti ed operatori sanitari.
Un tentativo di soluzione dell’annoso problema era contenuto il Piano Nazionale di Governo delle Liste di Attesa del 2014, che prevede l‘attribuzione di una classe di priorità ad ogni richiesta di prescrizione diagnostica; dal 2016 il medico di MMG ha disposizione quattro opzioni temporali per l’erogazione della prestazione, contraddistinte da altrettante lettere stampate sulla prescrizione, vale a dire:
·         U= esame o visita urgente (nel più breve tempo possibile o, se differibile, entro 72 ore)
·         B= breve, da eseguire entro 10 gg
·         D= differibile, entro 30 gg (visite) entro 60 gg (prestazioni strumentali)
·         P= programmabile, in tempo indefinito

La soluzione adottata era semplice e razionale: selezionare la domanda, incanalandola in uno dei quattro percorsi organizzativi appropriati, individuati in funzione delle caratteristiche più o meno urgenti del problema lamentato dal paziente, in modo da fornire la prestazione nei tempi giusti ed evitando sia l’uso improprio del “bollino verde” sia gli accessi impropri in PS. In teoria le classi di priorità, ampliando la gamma delle possibilità di scelta temporale per l’esecuzione della prestazione, potevano costituire un salto di qualità nella gestione delle liste d’attesa e, soprattutto, per la soddisfazione dei malati.
Purtroppo però la riforma non ha avuto un’adeguata informazione presso gli assistiti, come avrebbe meritato, e soprattutto le strutture accreditate pubbliche e private in molti casi, nonostante siano passati 2 anni dall’introduzione, non sono ancora in grado di garantire un’applicazione puntuale ed omogenea delle nuove priorità. I candidati governatori invece di immaginare soluzioni complesse e scontate - come l’aumento dell’offerta destinata ad indurre altra domanda - dovrebbero proporre concrete soluzioni organizzative per assicurare il rispetto dei codici di priorità, specie sul versante dei CUP, per la concreta attuazione di una riforma tanto semplice e razionale quanto rimasta inattuata.

sabato 17 febbraio 2018

Carenza di medici sul territorio, cronaca di un'emergenza programmata

Se ne parla quasi ogni giorno sui giornali, specie quelli locali, quando il problema arriva nelle pagine di cronaca per via delle proteste della gente: con il pensionamento di decine di migliaia di MMG nel prossimo lustro il SSN rischia il collasso e milioni di assistiti potrebbero trovarsi senza medico. Basta fare una ricerca in rete per rendersi conto di quanto sia stato trascurato il problema del ricambio generazionale, alla faccia della programmazione dei servizi sanitari: il primo allarme pubblico sulla carenza di MMG, a causa dell’uscita di scena della generazione della prima riforma sanitaria, risale al dicembre 2010. Ecco la rassegna stampa di quel mese, che lancia un primo avvertimento sugli effetti della riduzione di medici, a partire proprio dal 2018:  https://goo.gl/gYEgxg

Nessuno dei governi che si sono succeduti da allora ha affrontato e risolto il problema. Anzi tutti hanno brillato nella strategia del rinvio e del peggioramento della situazione: nessun rinnovo dei Contratti e delle Convenzioni, ferme da un decennio, blocco del turn-over negli ospedali e sul territorio, mancato adeguamento delle scuole di specialità e del corso di formazione in MG rispetto al fabbisogno previsto, aumento dell’età per la pensione di vecchiaia, penalizzazione economica e normativa dei corsisti di MG rispetto agli specializzandi. Per giunta la realtà si potrebbe rivelare peggiore delle previsioni: infatti i calcoli del fabbisogno di medici si basano sul pensionamento per vecchiaia, a 68-70 anni, mentre nei prossimi anni l’uscita anticipata dalla professione potrebbe essere altrettanto consistente, per via di una diffusa stanchezza e disaffezione dal lavoro, con esiti di vera emergenza sociale per tutto il sistema.

Da primi allarmi è passato un decennio di inerzia della politica, contrassegnato dal rinvio sine die della soluzione, che passa necessariamente dal rinnovo dell’ACN, con lo snellimento delle procedure di accesso alla Convenzione, dalla laurea abilitante e soprattutto dall’aumento del numero di borse di studio per il Corso triennale di formazione specifica, che tuttavia potrebbero produrre effetti sfasati rispetto al picco dei pensionamenti. Servirebbero invece misure drastiche, come l’ingresso in convenzione già al terzo anno di Corso di Formazione in MG o l’anticipo della prestazione pensionistica, l’App proposto dall’ENPAM: https://goo.gl/wNpKeP.

Così oggi ci si sorprende dei primi effetti dell'uscita dalla professione di quello che nei prossimi anni potrebbe diventare un vero e proprio esodo epocale. Le conseguenze del mancato ricambio dei medici sul territorio sono correlate a due condizioni.
  •         Da un lato il divario tra rapporto ottimale, variabile da regione a regione, e massimale di scelta fissato dall’ACN a 1500 assistiti. Ad esempio in Lombardia vige il rapporto ottimale di 1300 scelte per cui pochi medici hanno ancora la possibilità di accettare nuovi iscritti e di conseguenza il pensionamento di una percentuale consistente di MMG porterà ad uno squilibrio, specie se il ricambio generazionale sarà lento. Ben diverso è il caso di altre regioni, dove il divario resta consistente (rapporto ottimale a 1000) per cui la gente avrà più ampi margini di scelta di un nuovo medico tra quelli in attività e non ancora massimalisti.
  •         In secondo luogo, la densità abitativa accentua o attenua gli effetti del pensionamento. E’ chiaro che nelle grandi aree urbane, specie nelle regioni dove il gap tra rapporto ottimale e massimale è largo, gli assistiti che restano senza medico hanno la possibilità di distribuirsi tra i colleghi in attività che hanno ancora disponibilità di scelte, magari nel quartiere vicino. Viceversa nei paesi o nelle zone disagiate, dove esercitano pochi generalisti, spesso da tempo al massimale, il venir meno di uno o due di loro creerà uno scompenso per l’impossibilità di trovare un medico disponibile, se non a prezzo di scomodi spostamenti in centri vicini. Tra l’altro è proprio nelle località con pochi residenti e lontane da centri ospedalieri che la MG svolge un ruolo di insostituibile presidio sanitario verso la popolazione anziana, i cronici e i polipatologici etc...
Ad esempio nel distretto dove esercito su una decina di medici in attività, per una popolazione di 11000 residenti circa, ne andremo in pensione 4 nei prossimi 2-3 anni. Se lo faranno contemporaneamente oltre 5000 persone resteranno senza assistenza, con poche possibilità di sceglierne un altro nello stesso comune. Se invece il pensionamento sarà graduale e distribuito negli anni, con il contestuale eccesso alla convenzione di altrettanti giovani colleghi, il problema sarà meno sentito.

La campagna elettorale è in pieno svolgimento, contrappuntata da promesse tanto mirabolanti quanto irrealizzabili, ma non pare che i partiti abbiano inserito nel proprio programma elettorale misure concrete per la soluzione del problema, tanto evidente quanto urgente. 

martedì 13 febbraio 2018

PRESA IN CARICO DELLA CRONICITA' E DEONTOLOGIA.

La Federazione degli Ordini della Lombardia ha fatto proprio e girato all'assessore regionale Gallera il documento dell'ordine bresciano che sottolinea le criticità deontologiche pratiche della PiC, in particolare riguardo alla relazione a tre tra MMG, paziente e Clinical Manager del Gestore della PiC.
Di seguito le osservazioni
La Delibera sulla Presa in carico (PiC) N. 7655 del 28 dicembre (DGR), configura un’inedita evoluzione dei rapporti tra medici di MG, gestori-nella figura del clinical manager- e assistiti affetti da patologie croniche per quanto riguarda le prescrizioni farmacologiche che suscita interrogativi deontologici cui l’Ordine Professionale deve porre istituzionale attenzione.
Da qui le presenti osservazioni che gli Ordini dei Medici lombardi pongono alla Regione Lombardia ed in particolare all’Assessorato alla Sanità in attesa di un confronto. (Premessa)
La delibera N.7655 a pag. 15 recita: " Nel caso di paziente il cui MMG/PLS non abbia aderito alla presa in carico, si ritiene in ogni caso indispensabile il coinvolgimento dello stesso per la condivisione delle informazioni e le eventuali interazioni tra le terapie farmacologiche così come disposto dalla DGR n. X/6551/2017. Le prescrizioni farmaceutiche e di prestazioni specialistiche correlate alle patologie croniche oggetto della presa in carico, sono di competenza del soggetto gestore. Come già stabilito dalla DGR n. X/6551/2017, rimangono di competenza del MMG che non partecipa alla presa in carico le prescrizioni relative alle ricette di farmaci e le prestazioni previste dall’ACN non strettamente correlate ai set di riferimento relativi alle patologie croniche."
La delibera N.6551 a pag 6, recita: “MMG che non partecipa al modello di presa in carico: ➢ Al MMG viene trasmesso dal soggetto gestore, per la condivisione informativa, il PAI dei propri pazienti. Il MMG formula il suo parere, sempre limitatamente alle prestazioni contenute nei set di riferimento; il medico specialista può, motivando, non recepire le eventuali osservazioni fornite dal MMG. In questo caso il MMG ha facoltà di segnalare all’ATS il disaccordo;” ➢ continua a svolgere le funzioni previste dall'ACN per la parte non relativa alla cronicità ----------------------------------------
(Osservazioni)
Viene stabilito che il Clinical Manager "si occupi in modo completo di tutte le sezioni del PAI ivi compresa quella farmaceutica ed ha la responsabilità clinica delle prescrizioni ivi contenute." Ne deriva che la gestione della terapia per le patologie croniche di cui il gestore detiene la presa in carico sono, quindi, di esclusiva competenza del clinical manager del gestore stesso, che si assume la piena responsabilità della prescrizione e della conduzione della terapia.
La gestione di una patologia cronica, in specie per quanto riguarda la conduzione della terapia non può rientrare in uno schema prefissato per un anno intero, come nel PAI, ma richiede flessibilità e personalizzazione degli aggiustamenti terapeutici in funzione dell’obiettivo, della risposta o della non risposta alla cura. In termini pratici, quando si rendessero necessarie variazioni della terapia cronica, anche in assenza di riacutizzazioni, la persona assistita dovrà comunque e sempre far riferimento al clinical manager del gestore.
Si introduce in buona sostanza una dicotomia tra compiti clinico-assistenziali del MMG e quelli affidati al Clinical Manager del Gestore, che potrebbe pregiudicare la continuità e l’integrazione dell'assistenza. Ecco alcuni risvolti problematici, sulla continuità assistenziale e sulla responsabilità professionale, sia clinica che medico-legale, dell’inedito rapporto: a chi compete la prescrizione in caso di patologie acute intercorrenti, che influenzano la condizione cronica? A chi competono e chi è responsabile delle modificazioni terapeutiche in caso di momentaneo scompenso, squilibrio metabolico, peggioramento funzionale, interazioni farmacologiche, effetti collaterali etc.? Chi si farà carico della visione unitaria e della continuità assistenziale della persona affetta da più patologie croniche, specie se disabile e fragile, seguita a domicilio o impossibilitata a recarsi presso il Gestore? Chi tra i due “attori” garantirà la valutazione globale, il giudizio clinico ed assumerà il ruolo di “regista” della situazione complessiva di malattia o meglio delle interazioni tra molteplici problemi di salute dei pazienti cronici e delle priorità terapeutiche per farvi fronte?
Come è di tutta evidenza si tratta di situazioni che possono collidere con molti articoli dell’attuale Codice di Deontologia Medica (articolo 20 sulla relazione di cura, articolo 23 sulla continuità delle cure, articolo 58 rapporto tra colleghi, articolo 59 rapporti con il medico curante ed articolo 60 consulto e consulenza) Il Piano Nazionale per la Cronicità dopo aver rilevato i limiti dei PDTA nei pazienti pluripatologici complessi sottolinea la centralità del concetto di medical generalism, in cui la conoscenza della persona nel suo intero e dei suoi bisogni, la visione continua degli eventi (non solo) sanitari del singolo soggetto - integrate con le conoscenze basate sulle evidenze - determinano scelte più appropriate e fattibili per il singolo paziente (evidence based practice).
Ovviamente quando vi è coincidenza fra gestore e MMG, come per i medici che hanno scelto di impegnarsi nelle cooperative già attive, queste situazioni non si realizzano. L’Ordine Professionale, come organismo garante della professione e degli assistiti, ha il dovere di interagire con le altre istituzione al fine di tutelare, secondo il Codice Deontologico, anche i medici che non hanno legittimamente aderito alla riforma ed i loro pazienti.

mercoledì 7 febbraio 2018

La gente non si fida dei medici di base e quindi si rivolge al PS....

Daniela Minerva, direttore dell’inserto Salute de La Repubblica, nell’editoriale della scorsa settimana cita una ricerca dell’AIOP dalla quale si evince che la gente preferisce rivolgersi ad uno specialista privato (il 59,2%) o al pronto soccorso (il 43,9%) per “avere accesso ad accertamenti diagnostici e/o ricoveri”. Così i cittadini invece che “ricorrere ai medici di base, alle case della salute, alle Asl senza andare in ospedale” […] ”fanno proprio il contrario: usano l’ospedale come canale d’accesso all’ospedale stesso”. Un disastro che segnala la “caduta di fiducia nei confronti dei medici di base” e dimostra che “l’obiettivo della territorializzazione non è affatto perseguito e nemmeno in parte realizzato”. Ecco quindi perché, assieme allo smantellamento degli ospedali, “nessuno assiste più i malati”.

E’ curioso come certi giornalisti si rendano conto nel 2018 dello squilibrio tra domanda e offerta e degli effetti perversi delle liste d’attesa. Da anni diciamo che le case della salute, l’H24 e le aggregazioni territoriali non costituiscono un'alternativa all'ospedale e in particolare all'offerta tecnologica del PS, dove vengono fornite prestazioni a iosa e “in tempo reale”, senza trafile burocratiche, senza mezze ore perse al telefono per le prenotazioni, senza tempi d'attesa di mesi come nelle strutture ambulatoriali e, soprattutto, senza costi proibitivi per i tickett. Naturalmente è colpa della sfiducia e della (sottintesa) scarsa professionalità dei medici di base se basta aspettare pazientemente qualche ora di triage per avere visite ed esami che negli poliambulatori extraospedalieri richiedono settimane o mesi di attesa. Da decenni è risaputo che la pronta offerta di prestazioni gratuite è un formidabile incentivo che induce e attrae una domanda orfana di sbocchi alternativi in altri servizi.

Ecco quindi la sorprendente conclusione della giornalista: la gente preferisce andare in PS o dallo specialista privato piuttosto che rivolgersi al MMG! Come se in queste settimane di epidemia influenzale, con un picco che non si registrava da decenni, gli studi sul territorio fossero sguarniti di medici, occupati a fare i propri comodi invece che visitare la gente! Per non parlare della carenza di generalisti sul territorio, per il pensionamento della generazione della riforma 833; la mancata programmazione del ricambio rischia per davvero di lasciare nei prossimi anni milioni di italiani senza assistenza sul territorio. Ma è probabile che i diretti interessati nemmeno se ne accorgeranno, dal momento che già ora “nessuno assiste più i malati”.

L’altra scoperta della Minerva è l'utilizzo degli specialisti per accedere all'ospedale, in alternativa alla medicina generale. Da un secolo il sistema si è avviato sulla strada della specializzazione, dell'iperspecializzazione e della divisione del lavoro, all'insegna di quella che i sociologi nel loro gergo definiscono differenziazione funzionale. La tecnologia amplifica queste tendenze e detta l’agenda della differenziazione, che si concretizza con l'introduzione di strumenti diagnostico-terapeutici a cui si aggregano i professionisti, in modo dire ancillare e quasi parassitario. Ergo per accedere alla tecnomedicina si deve ricorrere alla mediazione del professionista, che co-evolve con la tecnologia, e di conseguenza aumenta la domanda e il ricorso alle consulenze specialistiche.

Ovviamente il generalista, non-specialista per eccellenza, è tagliato fuori da questa evoluzione perchè lavora "a mani nude", vaso di coccio del sistema. Da qui la crescente richiesta della gente di “fare tutti gli esami” e di "andare dallo specialista", perchè è rassicurante, autorevole e promette di dominare l'incertezza grazie al suo sapere/potere tecnico. In questo scenario, nonostante l'enfasi retorica sul'olismo sul suo ruolo centrale, quello del MMG rischia di rivelarsi in un compito impossibile, con l’aggravante di essere visto dalla gente come un burocratico trascrittore delle prescrizioni specialistiche - non di rado in violazione di Note AIFA, Lea, indicazioni terapeutiche etc. ma rivendicate come atto dovuto per via dell'aurea che emana dalla prescrizione specialistica. Insomma il MMG si trova tra due fuochi: regole prescrittive e una burocrazia soffocante da un lato e pretese di alcuni pazienti dall'altro. In caso di diniego poi c’è sempre la ricusazione a portata di mano!

sabato 3 febbraio 2018

Gestione cronicità Lombardia: una minaccia per i pazienti, i medici e il servizio sanitario

Antonio Bonaldi, presidente di Slow Medicine, ha commentato sul Quotidiano Sanità la lettera di un gruppo di medici lombardi sulla Presa in Carico.

Gentile direttore,
la lettera recentemente inviata a Slow Medicine da un gruppo di medici di famiglia di Milano e Brescia preoccupati di come la Regione Lombardia intende affrontare la presa in carico dei pazienti affetti da patologie croniche e della quale condividiamo i contenuti, ci stimola ad esprimere qualche riflessione su un tema importante e di grande attualità. La gestione delle patologie croniche, infatti, rappresenta uno dei problemi di maggior impatto sui servizi sanitari.......continua su...

http://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=58640

Ecco il testo della lettera pubblicata in calce al pezzo di Bonaldi:

Egregio Direttore,

l’avvio della fase operativa della Presa in Carico della cronicità (PiC), con l’invio delle lettere agli assistiti affetti da una o più patologie croniche a partire dal 15 gennaio, è l’occasione per fornire alcune precisazioni ai lettori del suo giornale direttamente interessati alla PiC.La PiC si concretizza nella scelta di un Gestore, il proprio Medico di Medicina Generale (MMG) o altri (ad esempio Ospedale o Clinica o Struttura privata) e nella sottoscrizione di un Patto di Cura (un vero e proprio contratto) per il rispetto del Piano Assistenziale Individuale (PAI). 

L'adesione degli assistiti non è obbligatoria ma facoltativa, come ribadito nella recente Delibera Regionale 7655 del 28 dicembre scorso, in quanto “rientra nella piena libertà di scelta dei pazienti sia la decisione di aderire o meno al nuovo modello, sia la scelta del gestore tra MMG aderenti e altri soggetti qualificati gestori idonei dalle competenti ATS”.

Molti MMG non hanno accettato il ruolo di Gestore della PiC.Se il paziente non sceglie un altro Gestore il proprio MMG rimane il titolare unico delle prescrizioni di esami, farmaci e della cura e conduzione delle patologie croniche, secondo le buone pratiche previste dai Percorsi Diagnostico-Terapeutici promossi dall’ATS.Per quanto ci riguarda, non avendo noi aderito alla proposta di divenire Gestore, confermiamo il nostro impegno a continuare sulla strada di una gestione attenta e appropriata delle condizioni di cronicità. 

Se viceversa il paziente dovesse scegliere un Gestore diverso dal MMG deve sapere che il “Clinical Manager” della struttura prescelta assumerà il ruolo di Gestore unico della sua patologia, sostituendo di fatto il proprio medico curante, come detta la Delibera di fine anno: “Le prescrizioni farmaceutiche e di prestazioni specialistiche, correlate alle patologie oggetto della PiC, sono di competenza del gestore”, e quindi si stabilisce che il “clinical manager, a qualunque tipo di gestore afferisca, si occupi in modo completo di tutte le sezioni del PAI, ivi compresa quella della farmaceutica” e, in quanto tale, "avrà la responsabilità clinica delle prescrizioni ivi contenute”.

Pertanto sia per la prescrizione di accertamenti diagnostici sia per la ripetizione dei farmaci continuativi gli assistiti non potranno più rivolgersi al proprio MMG ma dovranno appoggiarsi al nuovo Gestore e ad un anonimo Clinical Manager. Ciò arrecherà inevitabili disagi ai pazienti per diversi motivi: spostamenti e accessi alla struttura, nuove incombenze burocratiche, rischio di disguidi organizzativi, spersonalizzazione della relazione medico-paziente, messa in discussione della continuità e unitarietà dell’assistenza.

In conclusione, nessuno può obbligare un paziente, se non lo desidera, a scegliere un Gestore estraneo alla Medicina Generale e, men che meno, a prezzo della messa in discussione del rapporto e della relazione di fiducia con il proprio medico curante. Ad ogni buon conto il rischio di una esclusione del MMG dalla cura dei propri pazienti affetti da patologie croniche- ad esempio a vantaggio di organizzazioni private for profit- può essere evitato da parte degli assistiti esercitando la propria libertà di scelta nei confronti del nuovo modello proposto.