Organizzazione Sanitaria, N. 3/2025, p. 9-18 - Introduzione
La burocrazia non gode di buona fama, specie quando viene declinata nel contesto medico-sanitario. Se ne lamentano i pazienti, che vedono nei medici degli anonimi passa-carte o degli erogatori di prestazioni standardizzate, ma non sono da meno gli operatori sanitari, che si sentono sminuiti e professionalmente depauperati dall’ingerenza di procedure burocratiche onnipresenti che li distolgono dai compiti clinici e dai doveri etico-deontologici.
Le riforme sanitarie deliberate a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, nella cornice del New Public Management, si sono tradotte in quella che Cavicchi ha definito Medicina Amministrata, attuata da “medici che sulla scorta di input predeterminati, erogano e prescrivono agli ammalati ciò che è finanziariamente appropriato con le risorse disponibili”, e nella quale “gli adempimenti previsti per la cura dei malati sono di fatto decisi non dai medici in piena autonomia e responsabilità ma dagli amministratori ad ogni livello che gestiscono il sistema sanitario”.
È stato osservato che la burocrazia sta all’apparato statale legale come la catena di montaggio all’industria manifatturiera mentre il sociologo tedesco Max Weber, autore di riferimento per gli studiosi del fenomeno burocratico, l’ha ribattezzata “gabbia d’acciaio” della società. La burocratizzazione del lavoro nelle grandi organizzazioni provoca tensioni rispetto all’identità professionale e dilemmi che interessano in particolare gli operatori in prima linea, ovvero i “burocrati di strada” incaricati di implementare le politiche pubbliche.
L’ideal tipo burocratico weberiano
La burocrazia è stata descritta e concettualizzata dal sociologo tedesco Max Weber alla fine dell’ottocento, in riferimento all’ideal-tipo amministrativo prussiano; Weber vedeva la burocrazia come la forma più efficiente e razionale di organizzazione per raggiungere obiettivi su larga scala, garantendo prevedibilità, coordinamento e produttività, con queste caratteristiche (Poggi, 2013; Lippi, 2022):
- divisione del lavoro: i compiti burocratici sono chiaramente definiti e specializzati;
- gerarchia: una struttura piramidale con chiari livelli di autorità e responsabilità;
- regole e procedure formali: la condotta del personale è governata da norme scritte e impersonali;
- impersonalità: le decisioni sono prese in base a regole oggettive razionali, non a considerazioni
- personali;
- competenza tecnica: il personale è selezionato e promosso in base alle qualifiche e alle prestazioni richieste;
- separazione tra vita privata e professionale: i beni e le risorse dell’organizzazione sono distinti da quelli personali.
- formalismo, maggiore attenzione alla forma legale che ai risultati;
- adempimentalismo, esecuzione passiva alla lettera dei compiti trascurandone il significato sostanziale e l’effettiva funzione democratica;
- burocratese, adozione di un linguaggio estremamente tecnico e iper-giuridico denso di barocchismi, ridondante ed esasperato, e non del tutto coerente con le fonti giuridiche, perché non sempre riconducibile a testi normativi. Ma frutto di vulgate e consuetudini;
- autoreferenzialità, atteggiamento impositivo che riconduce la concezione di servizio pubblico all’amministrazione, invece che ai suoi destinatari, all’autoritarismo nei confronti degli utenti e ad ambiguo servilismo nei confronti dei decisori;
- incapacità addestrata all’apprendimento, rigidità e rifiuto di trovare soluzioni nuove a problemi nuovi, senza ricorrere necessariamente a procedure e visioni preesistenti;
- ridondanza procedurale, tendenza a completare le intrinseche incompletezze della standardizzazione ex ante ricorrendo a ulteriore standardizzazione ex ante fino all’ipertrofia regolamentare;
- deresponsabilizzazione, atteggiamento sistematicamente mirato a cercare escamotage formali di tipo legalistico per evitare responsabilità sulle inevitabili discrezionalità formali e sostanziali che si possono venire a creare;
- resistenza al cambiamento, quale sintesi dei punti precedenti.
- Autonomia vs. Controllo burocratico: i professionisti valorizzano l’autonomia nella loro pratica, mentre la burocrazia mira a standardizzare e controllare i processi attraverso regole e gerarchie. Questo può portare a tensioni quando le regole burocratiche limitano la discrezionalità professionale.
- Loyalty vs. Accountability: i professionisti possono sentirsi in primis responsabili verso la loro professione e i loro standard etici, mentre la burocrazia richiede fedeltà all’organizzazione e alle sue direttive.
- Standardizzazione delle competenze vs. Individualità del caso: la burocrazia cerca l’efficienza attraverso la standardizzazione dei processi e dei risultati. I professionisti, invece, spesso trattano casi unici che richiedono soluzioni personalizzate basate sulla loro expertise.
- Potere basato sulla conoscenza vs. Potere gerarchico: i professionisti traggono il loro potere dalla loro conoscenza specialistica, che li rende indispensabili. Questo può scontrarsi con il potere formale e gerarchico dei manager burocratici che non possiedono necessariamente la stessa expertise specifica.
- Incentivi: le motivazioni dei professionisti possono essere legate alla soddisfazione intrinseca del lavoro, al riconoscimento dei pari e alla realizzazione degli standard professionali, mentre le organizzazioni burocratiche spesso si basano su incentivi formali (stipendio,carriera, gerarchica).
- Professionisti di front line incaricati di applicare norme e riforme a diretto contatto con gli utenti come ispettori, poliziotti, insegnanti, medici etc.
- Nell’attività sul campo devono risolvere il conflitto tra autonomia e competenza professionale versus rispetto dell’autorità e delle norme astratte e impersonali.
- La pratica propone quotidianamente dilemmi morali ed identitari: scarsità delle risorse, bisogni crescenti, casi particolari che non rientrano nei criteri standard, rigidità delle norme burocratiche in contrasto con la mission professionale, con la deontologia e la varietà/unicità delle situazioni.
- Per risolvere le tensioni devono ricorrere a margini di discrezionalità come risorsa per adattare le regole generali ai contesti pratici e ai casi particolari.
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