Estratto dalla GUIDA AL PIANO NAZIONALE DELLA CRONICITA’
Dai fattori di rischio alle polipatologie croniche, una sfida organizzativa, educativa e culturale per l’assistenza primaria
Disponibile su Amazon in formato cartaceo ed e-book, pag, 198
Capitolo 6 . Cronicità e valutazione del
rischio
La cronicità ha
rotto schemi interpretativi consolidati, ha rimescolato le carte rispetto a
schemi consolidati, inducendo dissonanze cognitive, culturali e
socio-relazionali a cui il sistema non ha ancora dato una risposta
organizzativa e gestionale ben definita. Queste differenze hanno importanti
conseguenze sull’identità professionale dei medici, sui bisogni e sulle
aspettative dei pazienti, sulle concezioni e sulle valutazioni di entrambi
circa la natura della malattia, la qualità dell’assistenza e gli obiettivi
delle cure.

Bisogna infatti
tener conto che le patologie a bassa prevalenza considerate dal PNC, a
differenza di quelle “silenti”, si caratterizzano per la presenza di sintomi o
disturbi più o meno specifici che sono il target della terapia: dal dolore
osteotendineo e muscolare nelle forme ortopediche e reumatiche ai disturbi
gastroenterici nelle forme infiammatorie croniche intestinali, dai deficit
neurologi nelle malattie neurodegenerative ai disturbi idro-elettrolitici nelle
nefropatie ed epatopatie terminali, dal prurito nelle dermatiti croniche
all’astenia nelle neoplasie in fase avanzata. Questa sintomatologia porta in
primo piano la dimensione soggettiva e rende agevole il confronto tra modelli
esplicativi del medico e del paziente.
Come già osservato
nell’elenco delle schede inserite nel PNC, sono assenti i fattori di rischio e
le patologie ad elevata prevalenza nell’area clinica metabolica e
cardio-cerebro-vascolare, che rappresentano l’impegno professionale più
rilevante per il MMG, a cui si aggiunge la cronicità ortopedica (artrosi) e
quella psichiatrica (ansia e/o depressione).
A differenza delle
patologie prese in considerazione dal PNC la galassia cardio-cerebro-metabolica
si presenta con una duplice fisionomia: in una prima fase sono assenti sintomi
o disturbi soggettivi correlabili alle anomalie fisiopatologiche (ipertensione
arteriosa, iperglicemia, ipercolesterolemia, ecc.) e solo in tempi successivi
si manifestano sintomi e segni clinici obiettivi dovuti alle complicanze e ai
danni d’organo insorti per effetto della sinergia tra i diversi fattori di
rischio, specie se non ben controllati dalle terapie o per effetto di abitudini
e stili di vita scorretti. Vi è peraltro un’ulteriore differenziazione nella
fenomenologia delle patologie croniche, anche rispetto alla descrizione
proposta da Assal.
Vale la pena di
accennare ad un nodo concettuale che ostacola l’incontro clinico in caso di
semplice rischio, senza evidenza di malattia conclamata: il portatore
asintomatico di un fattore di rischio isolato, al quale è stata riscontrato
casualmente un aumento della Pressione Arteriosa, tende ad interpretare la sua
condizione come una vera patologia e a sentirsi “malato”, soprattutto se posto
in terapia farmacologica, per cui
d'ora innanzi l'uomo è
considerato per il resto della sua vita come un <paziente» accolto nel
quadro, familiare a tutti, dell' assistenza medica. In verità egli non è
affatto un paziente, perché il suo trattamento per l'ipertensione è un atto di
prevenzione e non di terapia, ma per il medico è facile perdere di vista la
distinzione fra «pazienti» e «quasi pazienti». [..] Quell' uomo che si era
recato dal medico perché aveva un dolore al collo se ne era andato via dallo
studio con l'etichetta «paziente ipertensivo» che. Ora gli resterà attaccata
per tutta la Vita. Essendosi egli fino ad allora considerato sano, si vede in
seguito come qualcuno che deve prendere delle pillole e andare dal medico
regolarmente. Pensava di essere normale; ora è un malato. Questo può essere
inevitabile e giustificato dai benefici, ma è un grosso Costo.
Inoltre potrebbe indotto
ad interpretare il fattore di rischio in chiave deterministica, nel senso di un
nesso causale necessario tra l’ipertensione arteriosa e l’insorgenza della
malattia mentre per il sapere medico la relazione è probabilistica, ovvero di
carattere frequentistico dedotto dall’osservazione di una popolazione esposta
al medesimo fattore. Un’altra discrasia concettuale tra determinismo e
probabilismo resta spesso implicita: mi riferisco all’incommensurabilità tra i
benefici della normalizzazione di alcuni parametri clinici, dimostrati a
livello di popolazione dai trial randomizzati ed espressi con il parametro NNT,
e il vantaggio individuale in senso preventivo che resta aleatorio ed incerto.
Come ha osservato G. Rose la strategia preventiva finalizzata
all’individuazione e alla correzione dell’alto rischio individuale
E’ limitata dalla scarsa
capacità di prevedere il futuro degli individui. [..] una persona con un
punteggio alto per il rischio coronarico può avere venti o anche trenta volte
in più la probabilità di avere un attacco cardiaco di un' altra con un punteggio
molto basso [..] Sfortunatamente, alla capacità di stimare il rischio medio in
un gruppo, che può essere buona, non corrisponde la capacità di predire quali
siano gli individui che presto si ammaleranno. [..]
..non ci si deve sorprendere dell'inesattezza delle previsioni sul futuro di un
singolo: le persone a <basso rischio» possono ammalarsi e molti individui ad
«alto rischio» staranno bene.
Nella valutazione del
rischio il paziente e il malato possono incorrere nel cosiddetto paradosso
dell’evento singolare, ovvero nell’attribuire ad un soggetto una probabilità
(ed un beneficio terapeutico) che riguarda regolarità statistiche
meta-individuali, cioè ricavate dall’osservazione della frequenza di eventi (o
della riduzione) in popolazioni più o meno numerose. Se ad esempio un soggetto
dislipidemico senza altri fattori presenta un rischio del 5% di incorrere in un
evento acuto non si può predire se l’individuo apparterrà al 5% di coloro che
nei successivi 5 anni avranno un infarto o a coloro che invece resteranno sani:
in altri termini non è detto che il singolo soggetto beneficerà della riduzione
del rischio – ad esempio una statina – che in prevenzione primaria si è
dimostrata efficace in una coorte dalle caratteristiche simili a quelle
dell’individuo posto in terapia.
Come ammonisce Rose la
lezione che si può trarre dagli studi di popolazione sul controllo dei fattori
di rischio isolati è che “l'uso, a lungo termine, di farmaci nella
prevenzione è giustificato solo all'interno di un gruppo ad alto rischio”. Probabilmente
i pazienti, una volta mesi al corrente di questa sorta di incommensurabilità
tra dimensione individuale e di popolazione, potrebbero
sentirsi un po’ meno a
proprio agio, perché realizzerebbero che stanno partecipando a una specie di
lotteria perché quello che si sta trattando non è in realtà la loro malattia,
ma il rischio di una popolazione di cui fanno parte.
La probabilità di
fraintendimenti nella comunicazione circa efficacia, priorità e accettabilità
di una terapia è minore se si utilizzano i valori assoluti e soprattutto il
parametro del numero di soggetti da trattare per evitare un evento o NNT, che
può superare le centinaia di pazienti posti in terapia per evitare un solo
evento, specie in prevenzione primaria cardiovascolare. Come sottolinea Giani
l’approccio
epidemiologico è insensibile per definizione alle vicissitudini dei casi
individuali che invece sono la principale preoccupazione pratica dei medici
che adottano il paradigma ippocratico.
La conclusione di Coen è
netta: “la prevenzione farmacologica offre la certezza di un beneficio di
popolazione al costo dell’incertezza per quanto riguarda vantaggi e rischi per
il singolo individuo”.
- Rose G. (1996) Le strategie
della medicina preventiva, Il pensiero scientifico, Roma, p. 46-47
- Rose G. (1996) Le strategie
della medicina preventiva, Il pensiero scientifico, Roma, p. 46-47
- Coen D.
(2021) L'arte della probabilità. Certezze e incertezze della medicina,
Raffaello Cortina Editore, Milano, p. 159-160
- Giani U. (2012)
Probabilità ed incertezza nel ragionamento diagnostico, Verso una medicina
multiprofessonale, Il Mio Libro, Roma, p.76
- Coen D. (2021) L'arte della
probabilità. Certezze e incertezze della medicina, Raffaello Cortina
Editore, Milano, p. 176-177
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