Quando si pensa agli errori medici tra gli addetti ai lavori prevale l’aspetto operativo: la definizione di errore, infatti, fa riferimento al "fallimento nella pianificazione e/o nell’esecuzione di una sequenza di azioni che determina il mancato raggiungimento, non attribuibile al caso, dell’obiettivo desiderato". Ne deriva, implicitamente, che per evitare di sbagliare basta seguire scrupolosamente le procedure “tecniche” codificate dalla comunità professionale. Il pensiero medico corrente – ovvero la gestione del rischio clinico, di chiara derivazione manageriale - enfatizzando gli aspetti operativi mette contemporaneamente in ombra i processi cognitivi ed inferenziali, tipici del procedimento diagnostico, oggetto del post successivo.
A questa concezione faceva già implicitamente riferimento la Legge Balduzzi del 2012, dal momento che vincolava il giudizio sull'operato professionale “all'osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale” da parte del medico accusato di malapratica. Con il varo della legge sulla responsabilità professionale (la n. 24/2017, detta anche legge Gelli) è stato abrogato l'articolo 3 della Balduzzi che viene sostituito con una formulazione più articolata (articolo 6): "Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto".
Sia la legge Balduzzi che quella sulla responsabilità professionale hanno fatto proprio e formalizzato l'impostazione generale del risk management, sebbene la precisazione introdotta dalla seconda (la non imputabilità per imperizia, mentre rimane inalterata la punibilità riferibile ad imprudenza e negligenza) rappresenti una svolta importante destinata ad avere effetti sia sull'applicazione della legge che sulle pratiche assistenziali. Proviamo ad immaginare questi effetti.
Di sicuro le linee guida (LLGG) elaborate per le principali patologie avranno un grande impulso e una rinnovata diffusione. Tuttavia si porrà sempre il problema di applicare ai singoli casi clinici le indicazioni generali e le raccomandazioni impersonali contenute nei documenti di consenso, come peraltro specifica la frase finale del comma sopra riportato. Come noto qualsiasi testo prescrittivo è soggetto ad interpretazione ed adattamento alla realtà fattuale, sempre più complessa e sfaccettata rispetto agli schematismi formali. Ad ogni modo i medici saranno portati ad attenersi alla lettera alle linee guida e alle “buone pratiche cliniche”.
Ma a quale LLGG si dovrà fare riferimento il clinico: a quella della società scientifica nazionale o quella anglo-sassone tanto prestigiosa? Già ora il numero di documenti di consenso sfornati dalla letteratura obbliga ad tour de force per valutarne la qualità, l'indipendenza e districarsi tra diverse indicazioni pratiche, non sempre sintoniche. Al problema risponde l'articolo 5 che recita: "gli esercenti le professioni sanitarie, nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi del comma 3 ed elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute". Insomma le Linee Guida redatte dalle società professionali accreditate diventeranno veri e propri documenti ufficiali di valore quasi imperativo, mentre quelle elaborate da associazioni non comprese nell'elenco ministeriale saranno automaticamente squalificate.
E che dire degli assistiti affetti da polipatologie che dovrebbero seguire contemporaneamente diverse LLGG, magari tra loro dissonanti? E’ probabile che per pararsi da eventuali rischi legali i medici siano propensi ad adottare quelle più rigorose e dettagliate. Infine, ma non certo per importanza, c’è un non trascurabile nodo teorico correlato all'applicazione delle raccomandazioni della letteratura: in certi casi potrebbe essere più “etico” e deontologico ignorare o addirittura violare le regole codificate a favore di scelte personalizzate o aderenti ai singoli casi clinici, non raramente unici e particolari. A questa esigenza risponde la clausola finale dell'articolo 6 della legge Gelli...."sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto".
Insomma la nuova norma potrebbe incentivare comportamenti difensivi basati sulla puntuale applicazione delle Linee Guida, anche se il giudice chiamato a valutare il comportamento del medico non potrà considerarle in modo assoluto. Se si tiene conto che la prevenzione dalle accuse di malapratica è la motivazione principale delle prescrizioni difensive, si può immaginare il rischio di indurre un ulteriore impulso a scelte di questo tipo.
Notizie, commenti e riflessioni sulla medicina del territorio. "Non c'è nulla di più pratico di una buona teoria" (K. Lewin)
sabato 29 aprile 2017
mercoledì 26 aprile 2017
Antibiotici e infezioni delle vie aeree, il dilemma del medico di MG
La fine dell'inverno segna il declino dell'influenza e delle virosi respiratorie in genere, peraltro presenti in modo sporadico tutto l'anno, complice l'utilizzo spesso scriteriato dei climatizzatori nei mesi estivi. Le infezioni delle vie aeree sono la prima causa di consultazione in MG e propongono il principale dilemma terapeutico per il medico del territorio: quando è appropriata la prescrizione di un antibiotico?
In teoria l'antibiotico va prescritto in tre casi: nelle forme chiaramente batteriche ab inizio, nelle virosi respiratorie complicate da una sovrainfezione da germi oppure, a scopo preventivo, nei pazienti a rischio per una patologia cronica (diabete, asma, BPCO, scompenso cardiaco etc). Tuttavia alcuni medici per l'incertezza della diagnosi, in presenza di febbre elevata, tosse e/o faringodinia, e per non sottovalutare un'infezione batterica, sono indotti a prescrivere l'antibiotico anche a persone giovani e in buona salute.
In genere il medico, in mancanza di informazioni dirimenti sulla natura del disturbo, propende per un trattamento che lo mette al riparo da un eventuale "errore". Questo atteggiamento riguarda sia la fase diagnostica che quella terapeutica, e rivela il grado di tolleranza per l'incertezza del decisore. In caso di dubbio il medico, piuttosto che attendere l'evoluzione spontanea delle virosi nell'arco di 2-3 giorni, tende ad agire in due direzioni: acquisire nuove informazioni sulla causa dell'infezione, attraverso la prescrizione di indagini eziologiche, e/o iniziando una terapia antibiotica. In questo atteggiamento prudenziale è spesso spalleggiato dal paziente, preoccupato per la propria salute e desideroso di guarire in fretta. In buona sostanza la prescrizione dell'antibiotico compensa un deficit di conoscenza circa la natura dell'infezione in atto.
Purtroppo la prima strategia, ovvero il ricorso a test per una diagnosi differenziale tra virus e batteri non è agevole, ad eccezione delle faringotonsilliti e delle rinosinusiti dove i tamponi per la coltura batterica possono fornire informazioni dirimenti. Tuttavia nelle situazioni acute i tempi tecnici per ottenere la risposta del tampone - almeno tre giorni lavorativi - non consentono di attenderne l'esito prima di instaurare la terapia corretta. In questi casi possono venire in aiuto del medico alcuni score clinici, che si basano sulla rilevazione di parametri come livello della febbre, presenza o meno di dolore o rigonfiamento delle ghiandole linfatiche etc.., che con buona approssimazione consentono di distinguere la faringite virale da quella batterica (streptococco beta emolitico).
Negli altri casi non esistono test affidabili per sciogliere i dubbi sulla causa dell'infezione. In pratica non abbiamo strumenti diagnostici semplici, di facile ed immediato utilizzo ambulatoriale o domiciliare per stabilire l’eziologia di un’infezione delle vie aeree. Questo è il nodo cruciale che condiziona la gestione diagnostico-terapeutica delle infezioni acute delle alte vie respiratorie. Un'altro elemento contribuisce all'incertezza: non esistono cure specifiche per gli innumerevoli virus che si localizzano tra naso e gola, con l'eccezione di alcuni anti-virali parzialmente attivi sul virus influenzale. Una battuta circola a proposito delle terapie per le virosi respiratorie "alte": senza cure il raffreddore guarisce in una settimana ma con le cure in 7 giorni.
In particolare l’associazione tra febbre elevata e tosse insistente spaventa non poco l’interessato e pone il sospetto di tracheobronchite o broncopolmonite, che nelle prime fasi può non dare segni clinici specifici. Proprio per questo alcuni medici, timorosi di “sbagliare”, prescrivono comunque un antibiotico a scopo prudenziale, talvolta per l'esplicita richiesta degli assistiti convinti della sua efficacia a 360 gradi.
Il problema sono le attese non sempre realistiche della gente che sopravvaluta le potenzialità sia diagnostiche che terapeutiche, ritenute efficaci a 360 gradi su tutte le infezioni. Per evitare di sovra-trattare in modo improprio con un antibiotico una virosi respiratoria, e quindi aumentare il rischio di resistenze batteriche, servirebbe invece l'accettazione e la condivisione tra medico e assistito di una parte di incertezza.
In teoria l'antibiotico va prescritto in tre casi: nelle forme chiaramente batteriche ab inizio, nelle virosi respiratorie complicate da una sovrainfezione da germi oppure, a scopo preventivo, nei pazienti a rischio per una patologia cronica (diabete, asma, BPCO, scompenso cardiaco etc). Tuttavia alcuni medici per l'incertezza della diagnosi, in presenza di febbre elevata, tosse e/o faringodinia, e per non sottovalutare un'infezione batterica, sono indotti a prescrivere l'antibiotico anche a persone giovani e in buona salute.
In genere il medico, in mancanza di informazioni dirimenti sulla natura del disturbo, propende per un trattamento che lo mette al riparo da un eventuale "errore". Questo atteggiamento riguarda sia la fase diagnostica che quella terapeutica, e rivela il grado di tolleranza per l'incertezza del decisore. In caso di dubbio il medico, piuttosto che attendere l'evoluzione spontanea delle virosi nell'arco di 2-3 giorni, tende ad agire in due direzioni: acquisire nuove informazioni sulla causa dell'infezione, attraverso la prescrizione di indagini eziologiche, e/o iniziando una terapia antibiotica. In questo atteggiamento prudenziale è spesso spalleggiato dal paziente, preoccupato per la propria salute e desideroso di guarire in fretta. In buona sostanza la prescrizione dell'antibiotico compensa un deficit di conoscenza circa la natura dell'infezione in atto.
Purtroppo la prima strategia, ovvero il ricorso a test per una diagnosi differenziale tra virus e batteri non è agevole, ad eccezione delle faringotonsilliti e delle rinosinusiti dove i tamponi per la coltura batterica possono fornire informazioni dirimenti. Tuttavia nelle situazioni acute i tempi tecnici per ottenere la risposta del tampone - almeno tre giorni lavorativi - non consentono di attenderne l'esito prima di instaurare la terapia corretta. In questi casi possono venire in aiuto del medico alcuni score clinici, che si basano sulla rilevazione di parametri come livello della febbre, presenza o meno di dolore o rigonfiamento delle ghiandole linfatiche etc.., che con buona approssimazione consentono di distinguere la faringite virale da quella batterica (streptococco beta emolitico).
Negli altri casi non esistono test affidabili per sciogliere i dubbi sulla causa dell'infezione. In pratica non abbiamo strumenti diagnostici semplici, di facile ed immediato utilizzo ambulatoriale o domiciliare per stabilire l’eziologia di un’infezione delle vie aeree. Questo è il nodo cruciale che condiziona la gestione diagnostico-terapeutica delle infezioni acute delle alte vie respiratorie. Un'altro elemento contribuisce all'incertezza: non esistono cure specifiche per gli innumerevoli virus che si localizzano tra naso e gola, con l'eccezione di alcuni anti-virali parzialmente attivi sul virus influenzale. Una battuta circola a proposito delle terapie per le virosi respiratorie "alte": senza cure il raffreddore guarisce in una settimana ma con le cure in 7 giorni.
In particolare l’associazione tra febbre elevata e tosse insistente spaventa non poco l’interessato e pone il sospetto di tracheobronchite o broncopolmonite, che nelle prime fasi può non dare segni clinici specifici. Proprio per questo alcuni medici, timorosi di “sbagliare”, prescrivono comunque un antibiotico a scopo prudenziale, talvolta per l'esplicita richiesta degli assistiti convinti della sua efficacia a 360 gradi.
Il problema sono le attese non sempre realistiche della gente che sopravvaluta le potenzialità sia diagnostiche che terapeutiche, ritenute efficaci a 360 gradi su tutte le infezioni. Per evitare di sovra-trattare in modo improprio con un antibiotico una virosi respiratoria, e quindi aumentare il rischio di resistenze batteriche, servirebbe invece l'accettazione e la condivisione tra medico e assistito di una parte di incertezza.
domenica 16 aprile 2017
Sovraccarico del PS e la filiera dei colli di bottiglia
I sindacalisti ospedalieri dell'ANAAO hanno elaborato un documento di analisi del sovraffollamento del PS, che arriva a conclusioni non dissimili da quelle del SIMEU, l'associazione dei medici del PS: il problema è dovuto alla riduzione dei posti letto ospedalieri specie nelle medicine, con la conseguente impossibilità di ricoverare gli assistiti critici, che quindi "intasano" il PS:
http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=49054&fr=n
La metafora più utilizzata per descrivere il problema è quella del "collo di bottiglia" che può essere estesa a tutto il percorso dell'emergenza/uregenza ospedaliera. Per comprendere le radici del sovraffollamento del PS bisogna puntare l'ettenzione sui flussi degli assisti lungo tutto il percorso assistenziale. La metafora del collo di bottiglia si presta a concettualizzare gli intoppi che intralciano il regolare e fluido passaggio degli assistiti da un comparto all'altro, a causa dell'interdipendenza sistemica dell'organizzazione e dello squilibrio tra domanda ed offerta. Secondo un luogo comune il sovraccarico del PS sarebbe dovuto ad un insufficiente filtro territoriale degli accessi impropri e non alle concause descritte nel documento dell'ANAAO. Vediamo scheticamente le tappe di questa sorta di filiera del collo di bottiglia.
1- Il primo collo coincide con il triage in PS a cui si devono assoggettare i nuovi contatti. Naturalmente se il PS non fosse sovraffollato, in particolari circostanze temporali ed epidemiologiche, il flusso dal triage alla valutazione clinica non subirebbe ritardi "patologici", che comportano svariate ore di permanenza in loco dei codici bianco/verdi. Ad ogni modo, nonostante lunghe attese, gli accessi impropri vengono gestiti e dimessi con un fisiologico turn-over, senza eccessiva saturazione del processo clinico-assistenziale complessivo. In sostanza i codici bianco/verdi stazionano in PS per tempi variabili, correlati all'eventuale overcrowding, ma una volta accertato il loro carattere non urgente vengono dimessi per far posto ad altri accessi, senza contare le "dimissioni" spontanee dal PS per il prolungato triage.
2- Più problematico e "stretto" è il successivo collo di bottiglia, che si realizza tra PS e reparti di degenza e di cui fanno le spese i codici gialli, in particolari frangenti epidemiologici. Secondo il documento ANAAO nei PS dei grandi centri urbani, dove l’overcrowding è più frequente, ben 25000 pazienti meritevoli di ricovero hanno atteso per un tempo compreso tra le 24 e le 60 ore prima che si liberasse un posto letto per loro. I recenti dati dell'ATS di Brescia sugli accessi in PS nel periodo 2011-2016 dimostrano un aumento degli accessi di assistiti over 65enni, passati da 99.602 del 2011 a 112.774 del 2016, a fronte di una riduzione del numero complessivo dei contatti. Inoltre i dati confermano che gli over-65 vengono più frequentemente ricoverati, non di rado per problematiche socio-sanitarie, dopo la valutazione in Pronto Soccorso, con percentuali del 43% tra gli ultra 85enni (le patologie sono tipicamente internistiche: scompenso cardiaco, infezione delle basse vie respiratorie, riacutizzazione di bronchite cronica, neoplasie, vasculopatia cerebrali acute e alterazioni dello stato di coscienza).
Che siano inviati dal MMG o accedano al PS di propria iniziativa questi assisti sono comuque destinati alla degenza per una specifica necessità clinica. Nell'attesa di un posto letto i codici gialli "intasano" il PS e il rallentamento del flusso dal PS verso il ricovero si riverbera a ritroso su tutta la filiera; inoltre l'impegno di risorse umane ed organizzative per l'assistenza ai pazienti in attesa di ricovero si riflette anche sulle dimissioni dal PS dei codici bianco-verdi, che nel frattempo si sono recati in PS, il cui normale turn-over subisce un analogo rallentamento.
3-Alla schematica analisi di cui sopra manca un ultimo tassello, che spiega l'intasamento del PS per l'interdipendenza sistemica della "filiera", vale a dire il terzo collo di bottiglia. I pz. fragili ricoverati per scompensi di polipatologie croniche necessitano spesso di lunghi periodi di degenza per recuperare l'equilibrio funzionale e stabilizzare la situazione clinica; l'allungamento della degenza e le difficoltà delle dimissioni bloccano il turn-over anche nei reparti di medicina o geriatria, con inevitabili ripercussioni a monte sul flusso di codici gialli in entrata dal PS. A ciò si aggiungono i tempi morti ospedalieri per l'esecuzione di accertamenti diagnostici, non sempre prontamente dispobili, e quelli per il trasferimento dei degenti in strutture per post-acuti e riabilitative, dopo la stabilizzazione delle condizioni cliniche.
Insomma l' "ingolfamento" del PS è secondario all'inceppamento dei flussi, per i tre colli di bottiglia dovuti allo squilibrio (spazio-temporale) tra domanda ed offerta; le perturbazioni sistemiche sull'intera filiera vanno dal triage fino alla dimissione dal nosocomio, di cui fanno le spese assistiti ed operatori dell'emergenza/urgenza.
http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=49054&fr=n
La metafora più utilizzata per descrivere il problema è quella del "collo di bottiglia" che può essere estesa a tutto il percorso dell'emergenza/uregenza ospedaliera. Per comprendere le radici del sovraffollamento del PS bisogna puntare l'ettenzione sui flussi degli assisti lungo tutto il percorso assistenziale. La metafora del collo di bottiglia si presta a concettualizzare gli intoppi che intralciano il regolare e fluido passaggio degli assistiti da un comparto all'altro, a causa dell'interdipendenza sistemica dell'organizzazione e dello squilibrio tra domanda ed offerta. Secondo un luogo comune il sovraccarico del PS sarebbe dovuto ad un insufficiente filtro territoriale degli accessi impropri e non alle concause descritte nel documento dell'ANAAO. Vediamo scheticamente le tappe di questa sorta di filiera del collo di bottiglia.
1- Il primo collo coincide con il triage in PS a cui si devono assoggettare i nuovi contatti. Naturalmente se il PS non fosse sovraffollato, in particolari circostanze temporali ed epidemiologiche, il flusso dal triage alla valutazione clinica non subirebbe ritardi "patologici", che comportano svariate ore di permanenza in loco dei codici bianco/verdi. Ad ogni modo, nonostante lunghe attese, gli accessi impropri vengono gestiti e dimessi con un fisiologico turn-over, senza eccessiva saturazione del processo clinico-assistenziale complessivo. In sostanza i codici bianco/verdi stazionano in PS per tempi variabili, correlati all'eventuale overcrowding, ma una volta accertato il loro carattere non urgente vengono dimessi per far posto ad altri accessi, senza contare le "dimissioni" spontanee dal PS per il prolungato triage.
2- Più problematico e "stretto" è il successivo collo di bottiglia, che si realizza tra PS e reparti di degenza e di cui fanno le spese i codici gialli, in particolari frangenti epidemiologici. Secondo il documento ANAAO nei PS dei grandi centri urbani, dove l’overcrowding è più frequente, ben 25000 pazienti meritevoli di ricovero hanno atteso per un tempo compreso tra le 24 e le 60 ore prima che si liberasse un posto letto per loro. I recenti dati dell'ATS di Brescia sugli accessi in PS nel periodo 2011-2016 dimostrano un aumento degli accessi di assistiti over 65enni, passati da 99.602 del 2011 a 112.774 del 2016, a fronte di una riduzione del numero complessivo dei contatti. Inoltre i dati confermano che gli over-65 vengono più frequentemente ricoverati, non di rado per problematiche socio-sanitarie, dopo la valutazione in Pronto Soccorso, con percentuali del 43% tra gli ultra 85enni (le patologie sono tipicamente internistiche: scompenso cardiaco, infezione delle basse vie respiratorie, riacutizzazione di bronchite cronica, neoplasie, vasculopatia cerebrali acute e alterazioni dello stato di coscienza).
Che siano inviati dal MMG o accedano al PS di propria iniziativa questi assisti sono comuque destinati alla degenza per una specifica necessità clinica. Nell'attesa di un posto letto i codici gialli "intasano" il PS e il rallentamento del flusso dal PS verso il ricovero si riverbera a ritroso su tutta la filiera; inoltre l'impegno di risorse umane ed organizzative per l'assistenza ai pazienti in attesa di ricovero si riflette anche sulle dimissioni dal PS dei codici bianco-verdi, che nel frattempo si sono recati in PS, il cui normale turn-over subisce un analogo rallentamento.
3-Alla schematica analisi di cui sopra manca un ultimo tassello, che spiega l'intasamento del PS per l'interdipendenza sistemica della "filiera", vale a dire il terzo collo di bottiglia. I pz. fragili ricoverati per scompensi di polipatologie croniche necessitano spesso di lunghi periodi di degenza per recuperare l'equilibrio funzionale e stabilizzare la situazione clinica; l'allungamento della degenza e le difficoltà delle dimissioni bloccano il turn-over anche nei reparti di medicina o geriatria, con inevitabili ripercussioni a monte sul flusso di codici gialli in entrata dal PS. A ciò si aggiungono i tempi morti ospedalieri per l'esecuzione di accertamenti diagnostici, non sempre prontamente dispobili, e quelli per il trasferimento dei degenti in strutture per post-acuti e riabilitative, dopo la stabilizzazione delle condizioni cliniche.
Insomma l' "ingolfamento" del PS è secondario all'inceppamento dei flussi, per i tre colli di bottiglia dovuti allo squilibrio (spazio-temporale) tra domanda ed offerta; le perturbazioni sistemiche sull'intera filiera vanno dal triage fino alla dimissione dal nosocomio, di cui fanno le spese assistiti ed operatori dell'emergenza/urgenza.
- Il primo collo di bottiglia viene scontato in termini di attesa al triage dai codici bianco/verdi, ma in quanto tali sono comunque destinati, in tempi più o meno rapidi, all'uscita dalla "filiera", senza effetti a valle del PS.
- Chi invece subisce le conseguenze del blocco del flusso a causa del secondo collo di bottiglia sono i codici gialli, ovvero coloro che meriterebbero il ricovero ma devono forzatamente attendere anche intere giornate prima di trovare un posto letto. A questo livello intermedio si inceppa il percorso sistemico, con effetti sulla funzionalità delle strutture di emergenza e sugli assistiti in attesa di una sistemazione in corsia.
- Infine l'ultimo collo di bottiglia ha ripercussioni sistemiche ed organizzative a monte della degenza, come abbiamo visto, ma senza troppe conseguenze per il paziente, che comunque resta ricoverato in attesa delle dimissione o di un'altra sistemazione.
domenica 9 aprile 2017
Iinternisti ed infermieri si fanno largo sul territorio
Si chiama, nel gergo della sociologia delle professioni, bracconaggio professionale; è una strategia collaudata da decenni, utilizzata spesso per farsi largo nelle riserve sanitarie a caccia di nuove (facili) prede (W.Tousijn, Il sistema delle occupazioni sanitarie, Il Mulino Ed., Bologna, 2000). Si basa su una strategia comunicativa imperniata sulla costruzione di un'immagine del territorio sguarnita di figure professionali competenti e qualificate, in quanto poco preparate nella diagnosi e/o nella terapia di questa o quella patologia. L'ultimo esempio in ordine di tempo risale all'ottobre 2016 e vede alla ribalta dei media la denuncia della storica Società Italiana di Medicina Interna (SIMI).
http://www.dottnet.it/articolo/19400/addio-ai-medici-internisti-un-milione-di-pazienti-in-difficolta-/?tag=10244904462&cnt=1
Per accreditare la discesa in campo sul territorio dell'Internista niente di più efficace dell'indiretta squalifica del ruolo di altri professionisti: quando il paziente viene dimesso dall'ospedale e torna a casa trova il vuoto assistenziale, nessuna continuità assistenziale sul territorio, men che meno un professionista che coordina ed armonizza gli interventi assistenziali con una visione integrata e generale della persona con polipatologie, nemmeno un banale prescrittore di farmaci cronici. Nulla, al povero malcapitato abbandonato a se stesso e privo di un valido referente professionale sul territorio, non resta che un defatigante slalom tra i vari ambulatori per avere controlli e contatti con specialisti di branca, che si ignorano reciprocamente e magari si intralciano pure con prescrizioni controindicate o a rischio di interazione.
Il medico del territorio, nello scenario a tinte fosche degli internisti, è inesistente e scotomizzato in un trionfo di auto-referenzialità. Fino a qualche tempo fa andava di moda l'esaltazione enfatica del "ruolo centrale" del MMG, ma nonostante l'ormai ventennale corso di formazione specifica in MG non è si è ancora imposta quell'aura specialistica che i giovani colleghi rivendicano da tempo. D'altra parte ubi maior minor cessat, e non si può certo dire che agli internisti faccia difetto la preparazione e la competenza professionale per valutare l'operato dei "generici mutualisti" i quali, da non specialisti in un settore popolato da iper-specialisti, soffrono di inevitabili limiti e carenze professionali. Insomma la MG è un facile bersaglio, come colpire la proverbiale CR!
La strategia comunicativa ha evidentemente fatto scuola tanto da essere adottata anche da altre categorie. E' il turno infatti degli infermieri che scendono in campo e si fanno largo sul territorio, previa implicita squalifica della MG.
http://www.lastampa.it/2017/04/08/italia/cronache/pronto-intervento-e-aiuto-alle-mamme-quandolinfermiere-sostituisce-il-medico-S4HkwlZUv9yBiyEhAf3rpL/pagina.html
L'argomento di fondo è lo stesso degli internisti, sebbene non venga mai nominato il MMG, con buona pace della retorica sull'integrazione, collaborazione, comunicazione, cooperazione inter-professionale, lavoro in team etc..
L'immagine del territorio è la medesima: un luogo desertico, dove gli assistiti sono lasciati a se stessi, abbandonati e privi di contatti e supporto da parte dei servizi sanitari. Tant'è che si devono recuperare con la tecnologia informatica, a mo' di latitanti renitenti alle cure: "grazie ai nostri sistemi informatici sappiamo chi sono e dove abitano, quando sono stati ricoverati e che medicine prendono, così li andiamo a trovare e verifichiamo come stanno...etc..". A quanto pare i "cacciatori" di assistiti non vengono sfiorati dall'idea che anche sul territorio è in vigore la legge sulla privacy, che tutela dati sensibili come la dimissione dall'ospedale.
La scotomizzazione della MG e il suo by-pass è scontato e fisiologico, a vantaggio di interlocutori più professionali, ovvero gli specialistici. L'esempio degli internisti ha evidentemente fatto scuola, tant'è che l'infermiere di famiglia "quando verifica qualche problema" non si rivolge al suo omologo medico, ma bensì direttamente allo specialista di riferimento, saltando a piè pari l'inesistente MG.
Insomma sul territorio c'è un vuoto assistenziale, un rischioso deficit di presa in carico dei malati più critici e bisognosi di cure a causa di MMG incompetenti e latitanti, per cui ci si propone di riempire questa pericolosa carenza: "Forti della loro formazione avanzata gli infermieri fanno quello che una volta facevano i medici condotti: vanno di casa in casa a seguire chi non può o non vuole muoversi".
P.S. Ben diversa è la posizione dell'IPASVI sulla gestione integrata territoriale della cronicità, in sinergia collaborativa con la MG: http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?approfondimento_id=9282
"Le competenze infermieristiche in questi ambiti non solo favoriscono la personalizzazione degli impegni assunti dalla persona verso la propria salute in fase prospettica, riducendo il rischio di istituzionalizzazione/ospedalizzazione, ma creando con il medico di medicina generale (Mmg) un’ alleanza che fa da tramite tra le esigenze della persona assistita e il medico di fiducia; favorisce condizioni e relazioni per raggiungere gli obiettivi di salute e mantenimento della persona assistita, coerentemente con gli obiettivi terapeutici previsti”.
“Questo tipo di strategia – conclude la presidente Ipasvi - consente al Mmg di focalizzarsi sui problemi di salute più complessi dal punto di vista clinico-terapeutico, potendo affidare i casi più emblematici dal punto di vista della cronicità (stabilità clinica e aderenza terapeutica, comportamenti e stili di vita) all'infermiere sul territorio, nell’ottica della cooperazione professionale e condivisione della pianificazione delle cure alla persona".
http://www.dottnet.it/articolo/19400/addio-ai-medici-internisti-un-milione-di-pazienti-in-difficolta-/?tag=10244904462&cnt=1
Per accreditare la discesa in campo sul territorio dell'Internista niente di più efficace dell'indiretta squalifica del ruolo di altri professionisti: quando il paziente viene dimesso dall'ospedale e torna a casa trova il vuoto assistenziale, nessuna continuità assistenziale sul territorio, men che meno un professionista che coordina ed armonizza gli interventi assistenziali con una visione integrata e generale della persona con polipatologie, nemmeno un banale prescrittore di farmaci cronici. Nulla, al povero malcapitato abbandonato a se stesso e privo di un valido referente professionale sul territorio, non resta che un defatigante slalom tra i vari ambulatori per avere controlli e contatti con specialisti di branca, che si ignorano reciprocamente e magari si intralciano pure con prescrizioni controindicate o a rischio di interazione.
Il medico del territorio, nello scenario a tinte fosche degli internisti, è inesistente e scotomizzato in un trionfo di auto-referenzialità. Fino a qualche tempo fa andava di moda l'esaltazione enfatica del "ruolo centrale" del MMG, ma nonostante l'ormai ventennale corso di formazione specifica in MG non è si è ancora imposta quell'aura specialistica che i giovani colleghi rivendicano da tempo. D'altra parte ubi maior minor cessat, e non si può certo dire che agli internisti faccia difetto la preparazione e la competenza professionale per valutare l'operato dei "generici mutualisti" i quali, da non specialisti in un settore popolato da iper-specialisti, soffrono di inevitabili limiti e carenze professionali. Insomma la MG è un facile bersaglio, come colpire la proverbiale CR!
La strategia comunicativa ha evidentemente fatto scuola tanto da essere adottata anche da altre categorie. E' il turno infatti degli infermieri che scendono in campo e si fanno largo sul territorio, previa implicita squalifica della MG.
http://www.lastampa.it/2017/04/08/italia/cronache/pronto-intervento-e-aiuto-alle-mamme-quandolinfermiere-sostituisce-il-medico-S4HkwlZUv9yBiyEhAf3rpL/pagina.html
L'argomento di fondo è lo stesso degli internisti, sebbene non venga mai nominato il MMG, con buona pace della retorica sull'integrazione, collaborazione, comunicazione, cooperazione inter-professionale, lavoro in team etc..
L'immagine del territorio è la medesima: un luogo desertico, dove gli assistiti sono lasciati a se stessi, abbandonati e privi di contatti e supporto da parte dei servizi sanitari. Tant'è che si devono recuperare con la tecnologia informatica, a mo' di latitanti renitenti alle cure: "grazie ai nostri sistemi informatici sappiamo chi sono e dove abitano, quando sono stati ricoverati e che medicine prendono, così li andiamo a trovare e verifichiamo come stanno...etc..". A quanto pare i "cacciatori" di assistiti non vengono sfiorati dall'idea che anche sul territorio è in vigore la legge sulla privacy, che tutela dati sensibili come la dimissione dall'ospedale.
La scotomizzazione della MG e il suo by-pass è scontato e fisiologico, a vantaggio di interlocutori più professionali, ovvero gli specialistici. L'esempio degli internisti ha evidentemente fatto scuola, tant'è che l'infermiere di famiglia "quando verifica qualche problema" non si rivolge al suo omologo medico, ma bensì direttamente allo specialista di riferimento, saltando a piè pari l'inesistente MG.
Insomma sul territorio c'è un vuoto assistenziale, un rischioso deficit di presa in carico dei malati più critici e bisognosi di cure a causa di MMG incompetenti e latitanti, per cui ci si propone di riempire questa pericolosa carenza: "Forti della loro formazione avanzata gli infermieri fanno quello che una volta facevano i medici condotti: vanno di casa in casa a seguire chi non può o non vuole muoversi".
P.S. Ben diversa è la posizione dell'IPASVI sulla gestione integrata territoriale della cronicità, in sinergia collaborativa con la MG: http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?approfondimento_id=9282
"Le competenze infermieristiche in questi ambiti non solo favoriscono la personalizzazione degli impegni assunti dalla persona verso la propria salute in fase prospettica, riducendo il rischio di istituzionalizzazione/ospedalizzazione, ma creando con il medico di medicina generale (Mmg) un’ alleanza che fa da tramite tra le esigenze della persona assistita e il medico di fiducia; favorisce condizioni e relazioni per raggiungere gli obiettivi di salute e mantenimento della persona assistita, coerentemente con gli obiettivi terapeutici previsti”.
“Questo tipo di strategia – conclude la presidente Ipasvi - consente al Mmg di focalizzarsi sui problemi di salute più complessi dal punto di vista clinico-terapeutico, potendo affidare i casi più emblematici dal punto di vista della cronicità (stabilità clinica e aderenza terapeutica, comportamenti e stili di vita) all'infermiere sul territorio, nell’ottica della cooperazione professionale e condivisione della pianificazione delle cure alla persona".
sabato 8 aprile 2017
Libertà di scelta/revoca tra lealtà e defezione: è la medicina liquida, bellezza!
L'editore Il Mulino ha riedito, a distanza quindici
anni, un libro che a suo tempo rappresentò una svolta teorica e
pratica nelle scienze sociali. Si tratta del volume dell'economista e
sociologo tedesco Albert O. Hirschmann,
ebreo emigrato negli USA per sfuggire alle persecuzioni naziste,
intitolato "Lealtà, defezione,
protesta. Rimedi
alla crisi delle imprese, dei partiti e dello stato",
che conserva inalterata la sua attualità, a cavallo tra economia,
sociologia e psicologia della decisione (http://www.secondowelfare.it/primo-welfare/lazzardo-di-rimuovere-le-barriere.html).
Secondo lo studioso statunitense la relazione tra un
fornitore di beni o servizi e i consumatori è influenzata da una
sorta di lealtà che lega l’acquirente al “brand” prescelto.
Questa lealtà è instabile e allorché il consumatore giudica
insoddisfacente la qualità del bene o del servizio, rispetto alle
aspettative e al bisogno, la relazione entra in crisi e può sfociare
in due comportamenti opposti.
• L’uscita o exit (defezione).
È la strategia più “economica” e l'utente, allorché lo
scontento supera la soglia fisiologica, rompe la relazione e si
rivolge alla concorrenza. Questa scelta “di rottura” ha un
carattere impersonale e privato, in quanto sanzione anonima ed
aspecifica per il fornitore. Sta all’azienda "abbandonata"
comprendere le motivazioni dell’insoddisfazione che sta dietro
l’uscita di un consistente numero di consumatori. I clienti possono
con la loro uscita decidere il destino di intere aziende, tant'è
che le imprese private sono sensibili ai segnali di defezione della
clientela, ad esempio cali inattesi delle vendite. Il boicottaggio
attivo di un prodotto o di un marchio è una forma di uscita
collettiva, coordinata ed intenzionale, ad esempio a fini politici.
Al contrario in un assetto monopolistico il "cliente" non
può esercitare l’opzione uscita e deve accettare passivamente lo
status quo.
• La voce. In
alternativa all'exit,
il cittadino può esprimere apertamente il proprio malcontento
arrivando a forme di esplicita protesta, individuale o collettiva.
Quando la delusione supera il livello di lealtà del consumatore egli
può decidere di “alzare la voce”, denunciando l’inefficienza
di un servizio, la scadente qualità di un bene o la lesione di
alcuni diritti. L’opzione voce, all'opposto della defezione,
richiede una mobilitazione attiva, ha un carattere pubblico in quanto
si rivolge esplicitamente al fornitore di beni e servizi per
rivendicare ed ottenere un cambiamento.
L’opzione uscita è precisa (o si esce o si rimane)
e favorisce l’autoregolazione del mercato, mentre la voce è un
processo più complesso, attiene alla sfera pubblica e richiede un
impegno personale. Alla base della voce troviamo l’insoddisfazione
per aspettative o diritti: quando il cittadino giudica che alcuni
principi siano disattesi può scegliere l’opzione voce, che
rispetto alla defezione è più efficace per indurre un cambiamento e
coerente con il carattere comune del diritto negato. Sebbene la
delusione del consumatore per beni durevoli sia frequente essa può
riguardare anche i servizi pubblici per una sorta di reazione, in
caso di un elevato livello di aspettative non soddisfatte e per la
variabilità della qualità e dell’efficacia delle prestazioni.
Ma cosa c'entra con la MG questo semplice ed elegante
schema interpretativo delle dinamiche socio-economiche? La MG
convenzionata costituisce un’eccezione nel panorama della sanità
pubblica, fin dalla sua nascita, per la centralità della libera
scelta/revoca del cittadino. La facoltà di revoca del MMG
istituzionalizza l’opzione uscita, che viene ad assumere quindi un
ruolo di regolazione dei rapporti tra medico e paziente ed influenza,
indirettamente, anche le relazioni tra i professionisti. La
consuetudine e la continuità assistenziale tra medico e assistito
rafforza in genere la lealtà di quest’ultimo, in particolare nei
piccoli centri dove il medico è inserito in una fitta rete sociale e
di relazioni informali (conoscenze, rapporti amicali e di vicinato,
parentela, partecipazione ad attività sociali ecc.). Il MMG può
quindi far leva su una certa quota di lealtà da parte dei suoi
assistiti, che controbilancia eventuali tendenze alla defezione.
Tuttavia quando la delusione per il deterioramento
della relazione o della qualità assistenziale supera una certa
soglia la lealtà può venir meno e l’assistito può ricorrere
all'opzione uscita. La revoca infatti è una forma di defezione a
cui corrisponde in automatico una scelta alternativa: il
professionista revocato viene sostituito da un concorrente per il
soddisfacimento del bisogno frustrato. I risvolti economici della
facoltà di scelta/revoca sono intuibili e possono condizionare il
comportamento del medico che, in contesti ad alta concorrenza, vive
la revoca come una sorta di ricatto continuo o, all'opposto, la può
utilizzare strategicamente a proprio vantaggio in modo
opportunistico, ad esempio con una maggiore disponibilità verso i
“desiderata” inappropriati degli assistiti.
Negli ultimi anni la continuità del rapporto
medico-assistito è stata messa a dura prova dai cambiamenti
intervenuti a livello socio-economico ed organizzativo, che si
avvertono in MG proprio grazie a quella sorta di sismografo delle
tensioni tra assistiti e medici che è la scelta/revoca. Le cause
dell'instabilità del rapporto fiduciario sono molteplici e
segnalano l'evoluzione verso una “medicina liquida”:
un generale sfilacciamento delle relazioni sociali, la riduzione
dell'asimmetria informativa tra medico e assistito per
effetto della rete, un certo clima
rivendicativo e conflittuale nei confronti delle èlite e delle
intermediazioni professionali, la precarietà economica e la mobilità
lavorativa conseguente ai processi di globalizzazione e alla crisi
economica, i vincoli burocratico-amministrativi, le compatibilità
economiche della medicina amministrata
etc..
La chiava di lettura dello schema “lealtà, defezione, protesta” di Hirschmann, in sinergia con la concause sopra accennate, aiuta a mettere a fuoco il deterioramento e la precarizzazione di una relazione che, fino a pochi anni fa, era invece stabile e duratura.
lunedì 27 marzo 2017
LEA 2017: lo strano caso delle Note sui test allergici
Dopo un articolo allarmistico apparso su La Stampa di domenica 26 marzo (circa nuovi ticket per la visita specialistica propedeutica all'esecuzione di test allergici) a stretto giro di posta elettronica è arrivata la precisazione rassicurante del ministero della salute: http://www.fimmgroma.org/news/news/italia/15072-allergie-ministero-della-salute-nessun-obbligo-dello-specialista-per-prescrivere-i-test-allergici
Il comunicato ministeriale introduce in modo informale una significativa interpretazione pratica delle note sulla diagnostica ambulatoriale, previste dai nuovi LEA. Il ministero, oltre a delegare la patata bollente dei ticket alle regioni, afferma sostanzialmente che la Nota con la semplice "indicazione di appropriatezza prescrittiva" non è "vincolante" per il prescrittore, che potrà quindi continuare a prescrivere i test allergici senza ricorrere alla visita allergologica, nonostante le formule utilizzate nelle relative note (si veda il PS).
Il comunicato recita testualmente: "In considerazione dell'alto rischio di inappropriatezza osservato nella prescrizione dei test il nomenclatore inserito nei nuovi Lea consiglia la prescrizione degli esami allergologici su indicazione del medico specialista, quale mera e non obbligatoria indicazione di appropriatezza prescrittiva". Un'indicazione che "non è assolutamente vincolante, né tanto meno i nuovi Lea rendono obbligatoria la visita specialistica".
Insomma nonostante le nuove Note la situazione non cambia per il prescrittore, a meno che il medico non cappi in Note davvero vincolanti, vale a dire quelle che prevedono non tanto una lasca "indicazione di appropriatezza prescrittiva" ma la più stringente "condizione di erogabilità" del test. Si tratta di una significativa "retromarcia" che riguarda la maggioranza delle Note. Infatti quelle con "indicazione di appropriatezza prescrittiva" sono prevalenti rispetto a quelle con una "condizione di erogabilità" - solo 1/4 circa delle 100 complessive - che sono rivolte a test specialistici di nicchia (in particolare test genetici, per malattie rare, prestazioni odontoiatriche e radioterapiche).
In sostanza l'interpretazione estensiva del concetto di appropriatezza prescrittiva, suggerita dal comunicato Ministeriale, non si applica solo ai criteri clinici della Nota ma si estende anche alle indicazioni, per così dire, organizzative della Nota stessa che, nel caso dei tests allergici, fanno riferimento alla indicazione o alla prescrizione a seguito di visita specialistica/allergologica etc.. (vedasi il PS).
PS. Condizioni di erogabilità: definiscono specifiche condizioni riferite allo stato clinico o personale del destinatario, alla particolare finalità della prestazione - terapeutica, diagnostica, prognostica o di monitoraggio di patologie o condizioni – al medico prescrittore, all’esito di procedure o accertamenti pregressi, e sono erogabili dal Servizio sanitario nazionale limitatamente ai casi in cui le medesime sussistono, con obbligo per il medico prescrittore di riportare sulla ricetta il numero della nota ed il quesito clinico o diagnostico. Per la PMA, sono definiti i limiti di età, il contenuto di ciascun ciclo di fecondazione, nonché il numero massimo di cicli
Indicazioni di appropriatezza prescrittiva: definiscono specifiche condizioni riferite allo stato clinico o personale del destinatario, alla particolare finalità della prestazione - terapeutica, diagnostica, prognostica o di monitoraggio di patologie o condizioni – al medico prescrittore, all’esito di procedure o accertamenti pregressi, e sono erogabili dal Servizio sanitario nazionale a seguito di una autonoma e responsabile valutazione del medico prescrittore circa la loro utilità nel singolo caso clinico, fermo restando l’obbligo di riportare sulla ricetta il solo quesito clinico o sospetto diagnostico.
Note relative a prestazioni ambulatoriali allergologiche, soggette ad indicazioni di appropriatezza prescrittiva.
⦁ Nota 66. INDICAZIONI APPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA. IgE SPECIFICHE ALLERGOLOGICHE QUANTITATIVO. Per singolo allergeneTest di II livello, da effettuare quando il prick test non è eseguibile o esaustivo, di norma su indicazione specialistica.
⦁ Nota 67. INDICAZIONE APPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA. IgE SPECIFICHE ALLERGOLOGICHE: SCREENING MULTIALLERGENICO QUALITATIVO. Per profilo di allergeni. Per l’inquadramento delle allergie reaginiche (rinocongiuntivite allergica, asma allergico, dermatite atopica, orticaria, allergia alimentare) da effettuare quando il prick test non è eseguibile o esaustivo.
⦁ Nota 68. INDICAZIONE APPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA. IgG SPECIFICHE ALLERGOLOGICHE. Per singolo allergene A) Esame complementare nella diagnosi di alveoliti allergiche estrinseche. B) In Allergologia avanzata per valutare il grado di tolleranza avvenuta in caso di desensibilizzazione nell'allergia al veleno di imenotteri e di allergia alimentare, su prescrizione specialistica.
⦁ Nota 69. INDICAZIONE APPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA. TEST DI INIBIZIONE DELLE IgE SPECIFICHE CON ALLERGENE SPECIFICO. Indagine di III livello, su prescrizione specialista allergologo.
⦁ Nota 70. INDICAZIONE APPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA. IgE SPECIFICHE per allergeni singoli ricombinanti molecolari Indagine di II livello, su indicazione dello specialista allergologo.
⦁ Nota 77. INDICAZIONE APPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA. ESAME ALLERGOLOGICO STRUMENTALE PER ORTICARIE DA AGENTI FISICI. Per la diagnostica delle orticarie croniche, a seguito di visita specialistica.
⦁ Nota 78. INDICAZIONE APPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA. SCREENING ALLERGOLOGICO PER INALANTI E ALIMENTI [Prick test]. Fino a 18 allergeni. Test di primo livello per l’inquadramento delle allergie reaginiche (Rinocongiuntivite allergica, Asma allergico, Dermatite atopica, Orticaria) da erogare, di norma, contestualmente alla visita specialistica.
⦁ Nota 79. INDICAZIONE APPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA. TEST EPICUTANEI A LETTURA RITARDATA [PATCH TEST].Sospetta dermatite allergica da contatto, erogabile, di norma, a seguito di visita specialistica.
⦁ Nota 80. INDICAZIONE APPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA. TEST PERCUTANEI E INTRACUTANEI A LETTURA IMMEDIATA E RITARDATA PER FARMACI. Approfondimento diagnostico in caso di sospetta allergia a farmaci, su indicazione dello specialista allergologo.
⦁ Nota 81. INDICAZIONE APPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA. TEST EPICUTANO IN APERT, DI TOLLERANZA/PROVOCAZIONE CON FARMACI, ALIMENTI ED ADDITIVIA a seguito di visita allergologica.
⦁ Nota 82. INDICAZIONE APPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA. TEST DEL SIERO AUTOLOGO Diagnostica dell'orticaria su verosimile base autoimmune, rilevata in corso di visita allergologica.
⦁ Nota 83. INDICAZIONE APPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA. TEST PERCUTENEI PER VELENO DI IMENOTTERI In caso di sospetta allergia al veleno di imenotteri rilevata in corso di visita allergologica, su prescrizione dello specialista allergologo.
Il comunicato ministeriale introduce in modo informale una significativa interpretazione pratica delle note sulla diagnostica ambulatoriale, previste dai nuovi LEA. Il ministero, oltre a delegare la patata bollente dei ticket alle regioni, afferma sostanzialmente che la Nota con la semplice "indicazione di appropriatezza prescrittiva" non è "vincolante" per il prescrittore, che potrà quindi continuare a prescrivere i test allergici senza ricorrere alla visita allergologica, nonostante le formule utilizzate nelle relative note (si veda il PS).
Il comunicato recita testualmente: "In considerazione dell'alto rischio di inappropriatezza osservato nella prescrizione dei test il nomenclatore inserito nei nuovi Lea consiglia la prescrizione degli esami allergologici su indicazione del medico specialista, quale mera e non obbligatoria indicazione di appropriatezza prescrittiva". Un'indicazione che "non è assolutamente vincolante, né tanto meno i nuovi Lea rendono obbligatoria la visita specialistica".
Insomma nonostante le nuove Note la situazione non cambia per il prescrittore, a meno che il medico non cappi in Note davvero vincolanti, vale a dire quelle che prevedono non tanto una lasca "indicazione di appropriatezza prescrittiva" ma la più stringente "condizione di erogabilità" del test. Si tratta di una significativa "retromarcia" che riguarda la maggioranza delle Note. Infatti quelle con "indicazione di appropriatezza prescrittiva" sono prevalenti rispetto a quelle con una "condizione di erogabilità" - solo 1/4 circa delle 100 complessive - che sono rivolte a test specialistici di nicchia (in particolare test genetici, per malattie rare, prestazioni odontoiatriche e radioterapiche).
In sostanza l'interpretazione estensiva del concetto di appropriatezza prescrittiva, suggerita dal comunicato Ministeriale, non si applica solo ai criteri clinici della Nota ma si estende anche alle indicazioni, per così dire, organizzative della Nota stessa che, nel caso dei tests allergici, fanno riferimento alla indicazione o alla prescrizione a seguito di visita specialistica/allergologica etc.. (vedasi il PS).
PS. Condizioni di erogabilità: definiscono specifiche condizioni riferite allo stato clinico o personale del destinatario, alla particolare finalità della prestazione - terapeutica, diagnostica, prognostica o di monitoraggio di patologie o condizioni – al medico prescrittore, all’esito di procedure o accertamenti pregressi, e sono erogabili dal Servizio sanitario nazionale limitatamente ai casi in cui le medesime sussistono, con obbligo per il medico prescrittore di riportare sulla ricetta il numero della nota ed il quesito clinico o diagnostico. Per la PMA, sono definiti i limiti di età, il contenuto di ciascun ciclo di fecondazione, nonché il numero massimo di cicli
Indicazioni di appropriatezza prescrittiva: definiscono specifiche condizioni riferite allo stato clinico o personale del destinatario, alla particolare finalità della prestazione - terapeutica, diagnostica, prognostica o di monitoraggio di patologie o condizioni – al medico prescrittore, all’esito di procedure o accertamenti pregressi, e sono erogabili dal Servizio sanitario nazionale a seguito di una autonoma e responsabile valutazione del medico prescrittore circa la loro utilità nel singolo caso clinico, fermo restando l’obbligo di riportare sulla ricetta il solo quesito clinico o sospetto diagnostico.
Note relative a prestazioni ambulatoriali allergologiche, soggette ad indicazioni di appropriatezza prescrittiva.
⦁ Nota 66. INDICAZIONI APPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA. IgE SPECIFICHE ALLERGOLOGICHE QUANTITATIVO. Per singolo allergeneTest di II livello, da effettuare quando il prick test non è eseguibile o esaustivo, di norma su indicazione specialistica.
⦁ Nota 67. INDICAZIONE APPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA. IgE SPECIFICHE ALLERGOLOGICHE: SCREENING MULTIALLERGENICO QUALITATIVO. Per profilo di allergeni. Per l’inquadramento delle allergie reaginiche (rinocongiuntivite allergica, asma allergico, dermatite atopica, orticaria, allergia alimentare) da effettuare quando il prick test non è eseguibile o esaustivo.
⦁ Nota 68. INDICAZIONE APPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA. IgG SPECIFICHE ALLERGOLOGICHE. Per singolo allergene A) Esame complementare nella diagnosi di alveoliti allergiche estrinseche. B) In Allergologia avanzata per valutare il grado di tolleranza avvenuta in caso di desensibilizzazione nell'allergia al veleno di imenotteri e di allergia alimentare, su prescrizione specialistica.
⦁ Nota 69. INDICAZIONE APPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA. TEST DI INIBIZIONE DELLE IgE SPECIFICHE CON ALLERGENE SPECIFICO. Indagine di III livello, su prescrizione specialista allergologo.
⦁ Nota 70. INDICAZIONE APPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA. IgE SPECIFICHE per allergeni singoli ricombinanti molecolari Indagine di II livello, su indicazione dello specialista allergologo.
⦁ Nota 77. INDICAZIONE APPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA. ESAME ALLERGOLOGICO STRUMENTALE PER ORTICARIE DA AGENTI FISICI. Per la diagnostica delle orticarie croniche, a seguito di visita specialistica.
⦁ Nota 78. INDICAZIONE APPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA. SCREENING ALLERGOLOGICO PER INALANTI E ALIMENTI [Prick test]. Fino a 18 allergeni. Test di primo livello per l’inquadramento delle allergie reaginiche (Rinocongiuntivite allergica, Asma allergico, Dermatite atopica, Orticaria) da erogare, di norma, contestualmente alla visita specialistica.
⦁ Nota 79. INDICAZIONE APPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA. TEST EPICUTANEI A LETTURA RITARDATA [PATCH TEST].Sospetta dermatite allergica da contatto, erogabile, di norma, a seguito di visita specialistica.
⦁ Nota 80. INDICAZIONE APPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA. TEST PERCUTANEI E INTRACUTANEI A LETTURA IMMEDIATA E RITARDATA PER FARMACI. Approfondimento diagnostico in caso di sospetta allergia a farmaci, su indicazione dello specialista allergologo.
⦁ Nota 81. INDICAZIONE APPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA. TEST EPICUTANO IN APERT, DI TOLLERANZA/PROVOCAZIONE CON FARMACI, ALIMENTI ED ADDITIVIA a seguito di visita allergologica.
⦁ Nota 82. INDICAZIONE APPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA. TEST DEL SIERO AUTOLOGO Diagnostica dell'orticaria su verosimile base autoimmune, rilevata in corso di visita allergologica.
⦁ Nota 83. INDICAZIONE APPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA. TEST PERCUTENEI PER VELENO DI IMENOTTERI In caso di sospetta allergia al veleno di imenotteri rilevata in corso di visita allergologica, su prescrizione dello specialista allergologo.
domenica 19 marzo 2017
Pubblicati in GU i LEA 2017
Sono stati pubblicati sulla GU del 18 marzo i LEA 2017.
In particolare ai link si possono scaricare le principali Note, relative a condizioni di erogabilità/indicazioni di appropriatezza prescrittiva, per gli esami di laboratorio e la diagnostica per immagini, di interesse per il MMG:
In particolare ai link si possono scaricare le principali Note, relative a condizioni di erogabilità/indicazioni di appropriatezza prescrittiva, per gli esami di laboratorio e la diagnostica per immagini, di interesse per il MMG:
- Note per la diagnostica per immagine
- Note per gli esami di laboratorio
- Elenco completo degli accertamenti con Nota
- Elenco delle nuove esenzioni per patologia
- Il testo completo di tutti gli allegati
martedì 14 marzo 2017
Medici domani, quale formazione per i professionisti del futuro?
Nei prossimi anni si verificherà il più grande passaggio di consegne tra medici del SSN a seguito del pensionamento dei professionisti in attività dai tempi della prima riforma sanitaria, la "mitica" 833 del 1978. Più della metà dei medici di MG, ad esempio, è in vista della pensione e il conseguente ricambio generazionale comporta due problemi, uno quantitativo e l'altro qualitativo. Il primo è legato all'impatto sul sistema sanitario della massiccia uscita di scena di tanti medici attivi: per fare solo un esempio, se nel mio ambito i 4 "vecchi" generalisti dovessero andare in pensione contemporaneamente quasi la metà dei 12000 abitanti di due paesi limitrofi resterebbe senza medico a cui rivolgersi. Ai decisori pubblici spetta il compito di adeguare alla domanda la programmazione delle scuole di formazione specifica in MG.
La seconda questione attiene alla formazione dei colleghi che dovranno subentrare alla vecchia guardia. Come evitare che si disperda un patrimonio decennale di esperienze e di sapere pratico e, soprattutto, come preparare le nuove generazioni alle sfide professionali dei prossimi anni? In uno scenario caratterizzato da complessità gestionale, incertezza socio-economica, innovazioni tecno-scientifiche, transizioni epidemiologiche e dei bisogni la necessità di educare professionisti in grado di adattarsi è cruciale e la chiave di volta perchè il sistema regga l'impatto delle trasformazioni e del cambiamento. Insomma, come formare medici attrezzati ad "apprendere ad apprendere" in modo continuo ed autonomo?
A questa esigenza, pedagogica e nel contempo metodologica, cerca di rispondere in modo articolato e altrettanto complesso il volume "Dottori, domani. Storie, dialoghi e riflessioni per una nuova educazione alle cure" (Delfino Editore, Roma, 2016, pag. 264, € 18) ultima fatica editoriale di due esponenti della Società Italiana di Pedagogica Medica (SIPeM) a noi limitrofi, il veronese prof. Luciano Vettore e il bergamasco Giacomo Delvecchio, coadiuvati dal trentino Giuseppe Parisi per la Medicina Generale.
Il volume tratta di pedagogica e di formazione medica ad ampio raggio ma non certo in modo accademico o "scolastico", a partire dalla struttura non convenzionale dei nove capitoli che lo compongono, articolati in 4 sezioni: l'esordio è tipicamente narrativo, con aneddoti di esperienze formative personali o racconti di vera fanta-pedagogia medica, a cui segue un serrato dialogo tra i due autori sui temi proposti e spunto per i successivi "approfondimenti pedagogici" discorsivi, che sfociano nella paginetta finale dei "messaggi chiave".
Il testo è rivolto soprattutto ai docenti e ai formatori, che ormai abbondano anche fuori dall'Università e devono assolvere l'inedito compito di aiutare le nuove leve ad acquisire una professionalità sempre più legata e condizionata dalla varietà delle pratiche e dei contesti clinici. Gli strumenti suggeriti sono quelli della corrente pedagogica pragmatica anglosassone, di matrice cognitivo-costruttivistica, per andare oltre la tradizionale lezione frontale: la tassononomia degli obiettivi educativi (sapere, saper fare, saper comunicare e relazionarsi, saper valutare e decidere), lezioni integrate, problem based learning di gruppo, problem solving e decision making, tutoraggio, formazione esperienziale, pensiero riflessivo, lifelong learning, medicina narrativa, medical humanities e abilità di counselling.
Un testo ricco di stimoli culturali a 360 gradi per favorire l"apertura mentale" di docenti e discenti di ogni tipo, con due soli nei. Uno banalmente dimensionale, legato all'inedito formato "gigante" A4 del volume - non proprio ergonomico, ma c'è anche l'e-book - e l'altro invece contenutistico, ovvero l'aver trascurato il contributo dell'apprendimento "situato", distribuito e mediato dalla partecipazione e dall'adesione identitaria alla comunità di pratica di riferimento.
La seconda questione attiene alla formazione dei colleghi che dovranno subentrare alla vecchia guardia. Come evitare che si disperda un patrimonio decennale di esperienze e di sapere pratico e, soprattutto, come preparare le nuove generazioni alle sfide professionali dei prossimi anni? In uno scenario caratterizzato da complessità gestionale, incertezza socio-economica, innovazioni tecno-scientifiche, transizioni epidemiologiche e dei bisogni la necessità di educare professionisti in grado di adattarsi è cruciale e la chiave di volta perchè il sistema regga l'impatto delle trasformazioni e del cambiamento. Insomma, come formare medici attrezzati ad "apprendere ad apprendere" in modo continuo ed autonomo?
A questa esigenza, pedagogica e nel contempo metodologica, cerca di rispondere in modo articolato e altrettanto complesso il volume "Dottori, domani. Storie, dialoghi e riflessioni per una nuova educazione alle cure" (Delfino Editore, Roma, 2016, pag. 264, € 18) ultima fatica editoriale di due esponenti della Società Italiana di Pedagogica Medica (SIPeM) a noi limitrofi, il veronese prof. Luciano Vettore e il bergamasco Giacomo Delvecchio, coadiuvati dal trentino Giuseppe Parisi per la Medicina Generale.
Il volume tratta di pedagogica e di formazione medica ad ampio raggio ma non certo in modo accademico o "scolastico", a partire dalla struttura non convenzionale dei nove capitoli che lo compongono, articolati in 4 sezioni: l'esordio è tipicamente narrativo, con aneddoti di esperienze formative personali o racconti di vera fanta-pedagogia medica, a cui segue un serrato dialogo tra i due autori sui temi proposti e spunto per i successivi "approfondimenti pedagogici" discorsivi, che sfociano nella paginetta finale dei "messaggi chiave".
Il testo è rivolto soprattutto ai docenti e ai formatori, che ormai abbondano anche fuori dall'Università e devono assolvere l'inedito compito di aiutare le nuove leve ad acquisire una professionalità sempre più legata e condizionata dalla varietà delle pratiche e dei contesti clinici. Gli strumenti suggeriti sono quelli della corrente pedagogica pragmatica anglosassone, di matrice cognitivo-costruttivistica, per andare oltre la tradizionale lezione frontale: la tassononomia degli obiettivi educativi (sapere, saper fare, saper comunicare e relazionarsi, saper valutare e decidere), lezioni integrate, problem based learning di gruppo, problem solving e decision making, tutoraggio, formazione esperienziale, pensiero riflessivo, lifelong learning, medicina narrativa, medical humanities e abilità di counselling.
Un testo ricco di stimoli culturali a 360 gradi per favorire l"apertura mentale" di docenti e discenti di ogni tipo, con due soli nei. Uno banalmente dimensionale, legato all'inedito formato "gigante" A4 del volume - non proprio ergonomico, ma c'è anche l'e-book - e l'altro invece contenutistico, ovvero l'aver trascurato il contributo dell'apprendimento "situato", distribuito e mediato dalla partecipazione e dall'adesione identitaria alla comunità di pratica di riferimento.
mercoledì 8 marzo 2017
Delibera cronicità: corrispondenza tra livelli di presa in carico e casistica del MMG
Per valutare l’impatto sul medico di MG della Delibera lombarda per la presa in carico dei "cronici", tramite la compilazione del PAI, è stata
condotta un’indagine epidemiologica a campione per verificare
l’entità delle tre classi individuate dalla regione e la loro
corrispondenza rispetto alle
informazioni presenti nei data base clinici dei medici. Hanno
partecipato 8 medici di MG dell’ATS, per un totale di 11500 assisti
circa
(https://reteunire.wordpress.com/2017/03/07/confronto-tra-livelli-di-cronicita-della-delibera-sulla-presa-in-carico-e-data-base-dei-medici-di-mg/
)
Confrontando i dati dell’indagine con quelli
previsti dalla delibera, emerge una significativa discrepanza per
la
-
sottostima del livello 1 - assistiti almeno 3 patologie - che comprende il 14,9% dei cronici rispetto al 4,5% della delibera, a cui corrisponde
-
la sovrastima del livello 2 - pazienti con due patologie - che comprende il 23,1% rispetto al 39% della delibera
mentre il livello 3 (1 sola patologia) è allineato
al dato regionale. La differenza può essere dovuta in parte sia
all'entità del campione
sia ai differenti criteri utilizzati nell’indagine per estrarre
i portatori di una o più condizioni croniche dal
Data Base dei medici, rispetto a quelli della Delibera della sulla presa in carico.
CONSIDERAZIONI E COMMENTO
Per quanto riguarda i tre livelli di
complessità individuati dalla delibera appare
riduttivo il criterio puramente statistico-quantitativo
dell'associazione tra patologie, individuate
nei data base amministrativi. La semplice somma
aritmetica appare schematica e per
completezza dovrebbe essere affiancata da una
valutazione qualitativa e
clinico-funzionale che tenga conto dell'impatto delle
comorbilità sul singolo assistito.
Bisogna inoltre
considerare che le 11 patologie inserite nella delibera non
esauriscono tutte le possibili comorbilità o combinazioni tra
condizioni croniche. Le possibili varianti sono numerose; i casi più
frequenti di discrasia tra valutazione
quantitativa e qualitativa sono due e
riguardano i due estremi
dello spettro:
-
da una lato anche il portatore di una sola condizioni cronica può richiedere un numero elevato di contatti ambulatoriali o domiciliari, per una complessità assistenziale e una fragilità sociosanitaria di grado medio-alto;
-
dall'altro non è affatto detto che l'assistito affetto da tre patologie appartenga necessariamente alla classe 1 e debba essere seguito a domicilio o dai servizi in alternativa al MMG.
E' paradigmatico
il caso del diabetico non insulinodipendente di mezza età, iperteso
e portatore di una o
più complicanze d'organo in fase iniziale come nefro, cardio o
arteriopatia, che svolge una normale vita lavorativa e di relazione
ed accede abitualmente all'ambulatorio del MMG. Le riclassificazione
qualitativa dei
cronici, rispetto allo schema quantitativo della delibera, può
avvenire in due direzioni: verso l'alto, passando dal livello 1 o 2
al terzo, oppure verso il basso, cioè con la retrocessione dal 3 al
secondo.
In sostanza la corretta compilazione del PAI non può non
prevedere la
personalizzazione e una valutazione globale
clinico-funzionale che potrebbe comportare
la ricategorizzazione
di una consistente quota di assistiti, collocati impropriamente in una
delle tre classi. In pratica il PAI per
assolvere efficacemente la
sua funzione non presuppone la mera presa d'atto della collocazione
del singolo assistito in uno dei tre livelli di presa in carico, ma deve
poter rivalutare
la situazione alla luce delle informazioni
in possesso del MMG, che possono anche
suggerire una diversa classificazione
del soggetto.
In pratica non è tanto la sommatoria
delle patologie a determinare il grado di complessità clinica e di
fragilità ma la ponderata valutazione qualitativa
dell'interazione tra le comorbilità e la
situazione complessiva, anche tenendo conto
delle problematiche e delle risorse psicosociali.
martedì 28 febbraio 2017
Appropriatezza endoscopica, facile con il senno di poi!
Come abbiamo visto nel precedente post la conoscenza a priori delle casistiche cliniche, a cui fanno riferimento i criteri di appropriatezza delle endoscopie, non esaurisce tutta la gamma delle situazioni in cui invece è opportuno un accertamento diagnostico, per una deformazione "statistica": i criteri di appropriatezza sono tarati sul caso medio, sul paziente tipo più rappresentativo della categoria di portatori di una certa patologia.
Nella realtà lo spettro delle presentazioni è invece più variegato e multiforme della rappresentazione schematica e, solo apparentemente, oggettiva che ne danno le linee guida. Questo argomento ci porta a considerare le basi concettuali delle raccomandazioni e del loro utilizzo pratico per valutare l'appropriatezza delle decisioni. In questo campo si realizza una sorta di cortocircuito metodologico e temporale tra un'impostazione a priori e quella complementare ex post, tra indicazioni generali e specificità di ogni caso.
L'appropriatezza di un esame, come pure di un accesso in PS, dovrebbe essere giudicata ex ante nel singolo assistito, e non a posteriori tra quanti hanno eseguito il test, come invece fanno i gastroenterologi che giudicano l'appropriatezza su ampie coorti. Lo stesso discorso vale per i codici cromatici del PS, che dovrebbero essere attribuiti all'inizio dell'iter e non alla fine delle procedure diagnostiche, spesso complesse ed articolate, espletate in PS.
Il giudizio di appropriatezza emerge generalmente dal confronto statistico su grandi numeri tra esami negativi ed esami che invece hanno dato un esito patologico, a dimostrazione che l'accertamento era stato prescritto correttamente. Questo modello presuppone che la prescrizione dell'esame miri sempre a confermare un sospetto diagnostico ben definito, mentre nella realtà spesso i test vengono prescritti per confutare un'ipotesi di malattia; è il caso di condizioni pauci- o asintomatiche, di disturbi vaghi ed aspecifici ma soprattutto di soggetti portatori di fattori di rischio privi di sintomi soggettivi (basta pensare agli assistiti con familiarità per neoplasia gastrica o colica, per i quali ad esempio è prevista una colonscopia periodica ed una specifica esenzione, per non parlare dei test di suscettibilità genetica).
Come afferma Marco Bobbio nel suo recente libro "Troppa medicina" (Einaudi, Torino 20017: http://www.troppamedicina.it/ ) "se alimentiamo l'idea che esiste una sola scelta giusta a priori, qualunque risultato sfavorevole presupporrà un errore" (pag. 29). Ovvero se i criteri di appropriatezza ex ante sono considerati in modo assoluto, acontestuale ed avulsi da una valutazione globale del singolo caso ogni scostamento rispetto al dato atteso sarà segno di inappropriatezza, specie se questa conclusione viene emessa ex post rispetto al percorso diagnostico.
Il giudizio di appropriatezza dovrebbe valere solo se chi lo formula è soggetto al cosiddetto "velo di ignoranza", definito dal filosofo della politica John Rawls riprendendo una nozione sviluppata da Kant. Il concetto di Rawls fa riferimento al principio cardine della sua "teoria della giustizia", in cui i singoli individui scelgono essendo privi di informazioni relative alla propria condizione futura nella società.
Applicato al campo medico il velo di ignoranza corrisponde alla condizione di incertezza che caratterizza chi osserva una situazione clinica all'esordio, prima di poter acquisite informazioni diagnostiche rilevanti sulla natura del disturbo che, dissolvendo l'incertezza e squarciando il velo, consentiranno un giudizio esauriente solo a posteriori. Detto in altri termini, con il senno di poi tutti sono in grado di valutare l'appropriatezzza di un accertamento, tent'è che esiste uno specifica euristica/bias per descrivere situazioni di questo tipo (indsight bias: http://www.dif.unige.it/epi/networks/05/motterrlini.pdf ).
A detta del filosofo della scienza Matteo Motterlini l'esperienza ci insegna che "c’è una grossa differenza fra predire gli sviluppi futuri di una situazione e spiegare il corso di eventi già accaduti. Col senno di poi, infatti, siamo tutti più bravi". Questa "distorsione retrospettiva del giudizio" è dovuta alla propensione degli umani "a dare senso agli eventi passati, descrivendoli come conseguenze inevitabili (o quasi) di condizioni che erano presenti fin dall’inizio". Il "velo di ignoranza" è l'opposto dell'insight bias perchè costringe a giudicare e valutare la situazione ex ante e non ex post, cioè prima di aver acquisito informazioni significative, spesso dirimenti, sulla natura del problema e sull'epilogo della vicenda.
Conclude Motterlini: "uno sguardo retrospettivo può avere un’influenza fuorviante sul modo in cui valutiamo non solo i giudizi, ma anche le decisioni". Nel caso dell'appropriatezza delle endoscopie le decisioni di una popolazione di medici, alle prese con casi multiformi e spesso fonte di incertezza, vengono valutate ex post (grazie al senno di poi) e sulla base di criteri generali a priori, astratti rispetto alla varietà della casistica.
Nella realtà lo spettro delle presentazioni è invece più variegato e multiforme della rappresentazione schematica e, solo apparentemente, oggettiva che ne danno le linee guida. Questo argomento ci porta a considerare le basi concettuali delle raccomandazioni e del loro utilizzo pratico per valutare l'appropriatezza delle decisioni. In questo campo si realizza una sorta di cortocircuito metodologico e temporale tra un'impostazione a priori e quella complementare ex post, tra indicazioni generali e specificità di ogni caso.
L'appropriatezza di un esame, come pure di un accesso in PS, dovrebbe essere giudicata ex ante nel singolo assistito, e non a posteriori tra quanti hanno eseguito il test, come invece fanno i gastroenterologi che giudicano l'appropriatezza su ampie coorti. Lo stesso discorso vale per i codici cromatici del PS, che dovrebbero essere attribuiti all'inizio dell'iter e non alla fine delle procedure diagnostiche, spesso complesse ed articolate, espletate in PS.
Il giudizio di appropriatezza emerge generalmente dal confronto statistico su grandi numeri tra esami negativi ed esami che invece hanno dato un esito patologico, a dimostrazione che l'accertamento era stato prescritto correttamente. Questo modello presuppone che la prescrizione dell'esame miri sempre a confermare un sospetto diagnostico ben definito, mentre nella realtà spesso i test vengono prescritti per confutare un'ipotesi di malattia; è il caso di condizioni pauci- o asintomatiche, di disturbi vaghi ed aspecifici ma soprattutto di soggetti portatori di fattori di rischio privi di sintomi soggettivi (basta pensare agli assistiti con familiarità per neoplasia gastrica o colica, per i quali ad esempio è prevista una colonscopia periodica ed una specifica esenzione, per non parlare dei test di suscettibilità genetica).
Come afferma Marco Bobbio nel suo recente libro "Troppa medicina" (Einaudi, Torino 20017: http://www.troppamedicina.it/ ) "se alimentiamo l'idea che esiste una sola scelta giusta a priori, qualunque risultato sfavorevole presupporrà un errore" (pag. 29). Ovvero se i criteri di appropriatezza ex ante sono considerati in modo assoluto, acontestuale ed avulsi da una valutazione globale del singolo caso ogni scostamento rispetto al dato atteso sarà segno di inappropriatezza, specie se questa conclusione viene emessa ex post rispetto al percorso diagnostico.
Il giudizio di appropriatezza dovrebbe valere solo se chi lo formula è soggetto al cosiddetto "velo di ignoranza", definito dal filosofo della politica John Rawls riprendendo una nozione sviluppata da Kant. Il concetto di Rawls fa riferimento al principio cardine della sua "teoria della giustizia", in cui i singoli individui scelgono essendo privi di informazioni relative alla propria condizione futura nella società.
Applicato al campo medico il velo di ignoranza corrisponde alla condizione di incertezza che caratterizza chi osserva una situazione clinica all'esordio, prima di poter acquisite informazioni diagnostiche rilevanti sulla natura del disturbo che, dissolvendo l'incertezza e squarciando il velo, consentiranno un giudizio esauriente solo a posteriori. Detto in altri termini, con il senno di poi tutti sono in grado di valutare l'appropriatezzza di un accertamento, tent'è che esiste uno specifica euristica/bias per descrivere situazioni di questo tipo (indsight bias: http://www.dif.unige.it/epi/networks/05/motterrlini.pdf ).
A detta del filosofo della scienza Matteo Motterlini l'esperienza ci insegna che "c’è una grossa differenza fra predire gli sviluppi futuri di una situazione e spiegare il corso di eventi già accaduti. Col senno di poi, infatti, siamo tutti più bravi". Questa "distorsione retrospettiva del giudizio" è dovuta alla propensione degli umani "a dare senso agli eventi passati, descrivendoli come conseguenze inevitabili (o quasi) di condizioni che erano presenti fin dall’inizio". Il "velo di ignoranza" è l'opposto dell'insight bias perchè costringe a giudicare e valutare la situazione ex ante e non ex post, cioè prima di aver acquisito informazioni significative, spesso dirimenti, sulla natura del problema e sull'epilogo della vicenda.
Conclude Motterlini: "uno sguardo retrospettivo può avere un’influenza fuorviante sul modo in cui valutiamo non solo i giudizi, ma anche le decisioni". Nel caso dell'appropriatezza delle endoscopie le decisioni di una popolazione di medici, alle prese con casi multiformi e spesso fonte di incertezza, vengono valutate ex post (grazie al senno di poi) e sulla base di criteri generali a priori, astratti rispetto alla varietà della casistica.
Iscriviti a:
Post (Atom)