Tutti i sistemi organizzativi devono affrontare il dilemma della complessità, così sintetizzabile: per rispondere alla sfida lanciata dalla complessità ambientale - per definizione superiore a quella di qualsiasi organizzazione o impresa - conviene aumentare la varietà/ridondanza interna, oppure è meglio selezionare una porzione dell'ambiente, a cui rispondere in modo elettivo e super-specialistico?
Tra i due corni del dilemma la gestione ospedaliera ha optato per la soluzione proposta dal sociologo N. Luhman, secondo il quale "un sistema è delimitato da un confine tra sé stesso e il proprio ambiente, caratterizzato da una complessità esterna infinita o caotica. L’interno del sistema è quindi una zona di complessità ridotta. La selezione di una quantità limitata delle informazioni disponibili all’esterno è il processo chiamato “riduzione della complessità”. Semplificando il sistema, il suo grado di libertà aumenta e migliora l’efficacia della risposta" (https://www.cuoaspace.it/2019/07/il-dilemma-della-complessita.html).
La direzione imboccata dall'organizzazione ospedaliera per per far fronte alla complessità e varietà delle richieste ambientali è quella della differenziazione funzionale in sotto-unità specializzate, che in medicina è la regola, tanto che ormai siamo arrivati alla segmentazione in sotto sistemi all'interno della stessa specializzazione (ad esempio la virologia all'interno della microbiologia, l'aritmologia in ambito cardiologia o la rinologia in quello ORL e così via). La mission dell'organizzazione funzionalmente differenziata è di preservare l'integrità funzionale del nucleo socio-tecnico, "sigillandolo" nel cuore della struttura, per
- mantenere un sistema chiuso a tutela della razionalità tecnica interna
- preservando la massima efficienza procedurale di stampo tayloristico
- grazie alla selettività delle relazioni con l'ambiente esterno
- garantita dalle barriere a protezione dalle perturbazioni e dall'incertezza ambientale.
La finalità è di rispondere prioritariamente a situazioni acute o con ricoveri programmabili per prestazioni chirurgiche a "catena di montaggio" e sigillare il nucleo organizzativo ad elevata densità tecnospecialistica dalle perturbazioni ambientali, obiettivo messo in crisi dallo tsunami pandemico che ha paralizzato il sistema ospedaliero. Questa impostazione è coerente con riforme e riorganizzazioni top-down che privilegiano la barriere selettive per l'accesso, la standardizzazione, la codifica e le logiche prestazionali iper-specialistiche.
In sanità la risultante della differenziazione è la proliferazione delle subprofessioni all’interno di ogni branca medica e la focalizzazione su settori patologici sempre più ristretti; di conseguenza, come afferma Ardigò, in un sistema complesso "la risposta specialistica tende sempre a prevalere su quella a minore differenziazione" con intuibili risvolti sul triangolo relazionale paziente-MMG-specialista (ad esempio l'emarginazione dalla MG per l’introduzione di Piani Terapeutici di farmaci ad esclusiva prescrizione specialistica).
Gli fa eco il sociologo delle professioni Eliot Freidson quando afferma che nella maggior parte delle società “quanto più sarà alto il grado di conoscenza specializzata e di abilità necessarie per un compito, maggiore sarà il riconoscimento simbolico e materiale”. La differenziazione funzionale comporta il rischio di effetti indesiderati, come la divaricazione tra pratiche tecno-specialistiche ospedaliere in acuto e gestione olistica della cronicità sul territorio.
L'alternativa a questo approccio è l'altro corno del dilemma della complessità nelle organizzazioni. Si tratta della cosiddetta legge della varietà necessaria, formulata dal neurobiologo e cibernetico W.R. Ashby che recita più o meno così: per controllare un sistema di una certa varietà è necessario un sistema di regolazione con una pari varietà. La legge di Ashby applicata alle organizzazioni "comporta che all’aumentare della complessità ambientale (espressa in termini di varietà esterna) deve crescere il livello di varietà (diversità) interna. La complessità organizzativa interna è quindi la risposta adattativa alla complessità esterna".
I servizi che presidiano il confine tra sistema sanitario ed ambiente sociale - come il PS e la MG - sono esposti a perturbazioni che devono assorbire per proteggere il nucleo tecnico nosocomiale ad alto tasso di integrazione socio-tecnica. La MG risponde a questa esigenza in quanto adotta un approccio generalista a 360° e di apertura all'ambiente, anche se ovviamente la varietà delle risposte di I livello è ampia ma pur sempre limitata sul piano dell'efficacia clinica rispetto alle prestazioni specialistiche di II livello, specie in caso di eventi emergenti/urgenti. Il generalista ricopre una posizione di interfaccia e ponte tra salute e malattia, fisiologia e patologia, comunità e organizzazione, domanda e risposta, riduzionismo ed olismo, curare e prendersi cura, techne ed humanities etc..
Il dislivello cognitivo ed operativo del generalista, in rapporto alle risposte specialistiche differenziate funzionalmente, lo condannerebbe ad un'inevitabile emarginazione professionale e sociale se nel frattempo non fosse emersa la galassia delle polipatologie cronico-degenerative, che ha spiazzato l'attitudine riduzionistica della risposta tecno-specialistica selettiva à la Luhman. La ridondanza generalista è in linea con riforme dal basso per migliorare accessibilità, continuità assistenziale e relazioni di cura integrate con logiche di apertura verso l'ambiente.
La cronicità è portatrice di una complessità clinico-assistenziale multi-dimensionale - biologica, psicologica, socio-organizzativa e culturale - non riducibile alla segmentazioni tecno-ospedaliera, come testimonia la difficile presa in carico dei cronici da parte dei singoli specialisti, con l'eccezione degli internisti e dei geriatri. La continuità diacronica e relazionale garantita dalla relazione fiduciaria in MG è la conditio sine qua non per la continuità clinico-assistenziale nella gestione della cronicità per compensare la tendenza alla frammentazione prestazionale della medicina iper-specialistica, assicurare ridondanza funzionale generalista, evitare duplicazione di prestazioni, sovrapposizione di servizi e inappropriatezza prescrittiva.
I limiti dell'opzione Luhman vengono al pettine in PS, la cui mission è la gestione delle condizioni tempo dipendenti da instradare nell'opportuna filiera specialistica nosocomiale, che si trova alle prese con la difficile selezione di un surplus di domanda generalista per condizioni che non rientrano nei criteri selettivi dell'approccio specialistico, come durante il picco delle prime ondate pandemiche. Il PS va in crisi da boarding quando si presentano i pazienti polipatologici cronici in fase di scompenso o di riacutizzazione, come nel pieno dell'ondata influenzale stagionale, che non trovano una collocazione nella filiera ospedaliera per la carenza di posti letto in area medica.
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