venerdì 11 novembre 2022

Come uscire dalla crisi della Missione6C1 e risolvere il wicked problem del PNRR?

L’attuale fase congiunturale mette in discussione la ristrutturazione della sanità territoriale e il raggiungimento degli obiettivi perseguiti dalla Missione6C1 del PNRR. Le incognite politiche, economiche, finanziarie ed organizzative abbondano e la combinazione di perturbazioni interne ed esterne, come le contingenze geopolitiche belliche, potrebbero innescare circoli viziosi fino a depotenziare una svolta radicale da tutti auspicata per la medicina territoriale, ma non più scontata per l'emergenza di "wicked problem, ovvero le criticità più profonde e rilevanti”, per usare il gergo degli studiosi di management sanitario della Bocconi. 
 
Per il successo della riforma si dovranno superare numerosi ostacoli a partire dal popolamento e dal coinvolgimento dei professionisti nelle Case e negli Ospedali di Comunità (CdC e OdC) che con gli attuali vincoli normativi e di bilancio non sarà agevole, anche per le difficoltà di formazione e reclutamento di professionisti in grado di tener testa a tutti i compiti previsti dal Piano, dal contenimento dei codici bianchi alla presa in carico della cronicità, dell’assistenza domiciliare alla fragilità alla telemdicina, dal funzionamento degli OdC alla continuità assistenziale nelle CdC. Basti pensare che il dossier del PNRR inviato a Bruxelles prevede da qui al 2026 una paradossale riduzione di organico dei medici di MG da 42mila a 35mila circa.

L’aumento di 1/3 dei costi previsti nel 2021, per via dell’inflazione e dei rincari di materie prime ed energia, mette in discussione la possibilità di realizzare tutte le due strutture portanti del PNRR, vale a dire CdC e OdC. Da qui la necessità di rivedere alcuni parametri per adeguare il piano al nuovo scenario macroeconomico e alla patologica ipertrofia di attese sociali indotte dai reiterati annunci. Le ipotesi sul tavolo sono varie:
  • le regioni potrebbero farsi carico dell’aumento dei costi con risorse proprie, soluzione piuttosto improbabile visto il sottofinanziamento lamentato proprio dai governatori regionali;
  • l’Unione Europea potrebbe erogare fondi aggiuntivi, riconoscendo lo “stato di necessità” conseguente alla contingenza economico-finanziaria, ma il consenso sui tempi e modi del rifinanziamento non è garantito;
  • potrebbe essere ridotto il numero o le dimensioni di CdC, OdC e COT oppure si potrebbero incrementare le sinergie tra le varie strutture, per contenere i costi di edificazione e manutenzione, integrando in un unico complesso le tre funzioni, come si augura Agenas nel suo recente documento sugli OdC;
  • infine i finanziamenti deliberati per un capitolo potrebbero essere spostati su altre funzioni oppure, ancora, potrebbe essere diversificata la ripartizione dei fondi tra le varie regioni in base allo stato di attuazione delle reti locali, assai disomogeneo.
La soluzione più probabile è un mix di queste ipotesi, in relazione alle condizioni socioeconomiche ed orografiche locali, che sono ampiamente diversificate: secondo l’’indagine promossa dalla Camera nel 2020 in 7 regioni non erano presenti case della salute - vale a dire Lombardia Valle d’Aosta, Bolzano, Trentino, Friuli, Puglia e Campania – mentre al polo opposto con oltre 50 strutture in funzione vi erano Piemonte, Veneto, Toscana, Sicilia ed Emilia Romagna. Quest’ultima regione è in testa alla classifica con 130 Case della salute di tre tipologie – piccole, medie e grandi – che compongono la trama di una capillare rete Hub & Spoke, soluzione razionale ignorata dal PNRR che prevede solo CdC Hub da 45-50 mila abitanti (è facile immaginare come sarebbe oggi la sanità territoriale se tutte le regioni avessero imitato l’esempio virtuoso dell’Emilia Romagna). Infine per numero di Ospedali spiccano Veneto, Emilia Romagna, Lombardia e Marche mentre Abruzzo, Piemonte, Molise, Liguria e Campania ne hanno attivati meno di 10 e ben 12 regioni ne sono prive.

In un panorama così diversificato la distribuzione a pioggia, standardizzata e "ragionieristica", dei finanziamenti sui territori non appare la più razionale, anche se con i finanziamenti aggiuntivi regionali le CdC sono passate da 1350 a 1430; sebbene il PNRR attribuisca il 45% delle risorse alle regioini del sud dove risiede il 34% della popolazione non sarà agevole compensare le attuali differenze tra territori e risolvere l'annoso problema del disallienamento dell'offerta tra i "20 diversi SSR" che la proposta di regionalismo differenziato potrebbe accentuare. Ad esempio, qual è la ratio dei finanziamenti all’Emilia Romagna per realizzare 95 CdC quando nella stessa regione sono già in funzione ben 130 case della salute, buona parte delle quali assimilabili agli Hub del PNRR? Idem per il Veneto riguardo agli OdC. Sarebbe logico distribuire le risorse in modo più appropriato, in funzione della situazione esistente per allineare le regioni in ritardo a quelle più avanzate; non è difficile prevedere che una soluzione simile solleverebbe le proverbiali barricate delle una contro le altre per la penalizzazione finanziaria subita, con buona pace della retorica sulla solidarietà del SSN verso i territori meno dotati.

L’attuale situazione di stallo ha fatto emergere la principale criticità della Missione 6C1 correlata al passaggio dalla prima alla seconda versione del PNRR, vale a dire lo spostamento di ben 2 miliardi di € dal finanziamento delle strutture territoriali all’assistenza domiciliare. Una parte di quelle risorse potrebbero venir buone oggi per rafforzare le strutture territoriali diversificando la rete delle CdC, rispetto all’unico modello adottato nel 2021 e messo in forse dagli eventi del 2022. Anche perché gli operatori sociosanitari disponibili in futuro difficilmente saranno in grado di assicurare l’estensione dell’assistenza domiciliare garantendo nel contempo la funzionalità di CdC, OdC, telemdicine e COT .

Il dimezzamento dei fondi per le CdC a favore dell'assistenza domicliare si sta rivelando il limite più evidente della Missione 6C1, per altri 2 motivi. In primo luogo perchè ha obbligato a dimezzare il numero di Case con lo standard di una ogni 45mila abitanti, adatto tutt'al più per le zone densamente popolate, ma non certo per le zone rurali, della collina e della montagna che verrebbero penalizzate, con buona pace della medicina di prossimità e delle iniziative nazionali per contrastare lo spopolamento delle aree interne depresse ed abbandonate (non a caso in Lombardia lo standard demografico nazionale è stato dimezzato nell'ATS della montagna). Secondariamente una rete Hub&Spoke diversificata e capillare di autentica prossimità, abbinata al potenziamento della telemedicina, potrebbe ridurre la necessità di assistenza domiciliare.

Infine la popolazione anziana faragile e polipatologica ha soprattutto bisogno di assistenza sociale, di interventi ad personam per l'accudimento e il soddisfacimento dei bisogni primari, ovvero di badanti ben preparate e di supporto ai care giver familiari. Più che un generico intervento di assistenza domiciliare serve un piano specifico di sostegno alla non autosufficienza come esplicitamente richiesto da più parti. Per l’assistenza sanitaria domiciliare bastano sporadici accessi del MMG in ADP e un’ADI prevalentemente infermieristica, per controlli periodici di parametri clinici, aderenza ed educazione terapeutica, medicazioni/prelievi etc.. Insomma le logiche sanitarie non bastano per venire incotro ai particolari bisogni della popolazione anziana e fragile e si impongono quindi difficili priorità.

giovedì 10 novembre 2022

Lo strano caso dei migranti, tra fragilità e resilienza

Lo sbarco in massa dei migranti dalle navi delle ONG a Catania, in quanto ritenuti fragili, ha suscitato il disappunto del presidente del Consiglio, che ha giudicato la decisione "bizzarra".

La conclusione della vicenda, con lo sbarco non selettivo di tutti i migranti, più che una bizzarria è l'esito inatteso di una gestione poco accorta che al lato pratico si è rivelata una via di mezzo tra una profezia che si autoavvera e una nuova versione del comma 22: con la selezione avevano diritto allo sbarco i migranti fragili ma è stata la lunga permanenza in mare al largo, per il divieto di attracco, a renderli tali, per via dello stress psicofisico patito per essere stati forzatamente ammassati sulle navi.

Bisogna considerate anche i potenziali effetti collaterali della selezione dei fragili: anche ammettendo una valutazione "diagnostica" oggettiva, non proprio scontata, lo sbarco selettivo in caso di separazione tra un minore e un genitore rischia di peggiorare la fragilità dell'uno e di provocare quella dell'altro più ancora delle traversie del viaggio. E così via con gli effetti perversi di un provvedimento dalle fragili basi concettuali.

Peraltro e ad onor del vero, a leggere le cronache delle migrazioni si tratta di persone tutt'altro che fragili, anzi resistentissime che hanno affrontato viaggi avventurosi della durata di mesi e mesi, superando prove durissime e subendo terribili angherie, in quella che non è esagerato definire una vera odissea (altro che i viaggi organizzati degli europei!). Più che altro hanno dimostrato di possedere formidabili doti di resilienza, che ricordano quelle dei sopravvissuti ai vari Lager del novecento, e motivazioni altrettanto forti per fuggire da pessime condizioni di vita e raggiungere l'Europa. Per le ONG invece la condizione stessa di esule configura, ipso facto, uno stato di vulnerabilità e fragilità, se non altro psicologica (https://www.saluteinternazionale.info/2022/11/il-potere-disumano/).

Per giunta gli antropologi riferiscono che per arrivare sulle coste del mediterraneo hanno dovuto giocoforza imparare 2 o 3 lingue parlate dalle popolazioni che hanno incontrato lungo il viaggio. Chi di noi sarebbe in grado di cavarsela in circostanze analoghe e reggere un simile stress culturale?

Il dubbio sorge spontaneo: sono quindi intrinsecamente fragili, oppure lo sono diventati per il rischio di essere respinti e ricacciati indietro nel loro "inferno", proprio quando stavano per salvarsi. Ovvero, lo erano già o sono stati "fragilizzati" dalla condizione psicofisica di rifiutati e ricacciati indietro cui si sono trovati a seguito del blocco dei porti alle navi e dell'impossibilità di concludere il viaggio?

Paradossalmente è stato il respingimento a favorire il loro sbarco, per l'eterogenesi dei fini e una condizione forzata che a mo' di boomerang si è ritorta contro l'intento selettivo; per uscire dall'impasse il governo non ha trovato di meglio che la soluzione dello sbarco selettivo, delegando all'autorità tecnico-sanitaria la via d'uscita ad una situazione intricata sul piano politico con una soluzione ambigua e discriminante.

Termini come fragilità e vulnerabilità sono per loro natura fuzzy, polisemici e danno adito a svariate interpretazioni, come è normale per concetti astratti e sfaccettati in base ai quali sono state prese le decisioni che si sono rivelate controintuitive per il decisore politico, che evidentemente non aveva messo in conto questa ambiguità semantica ei suoi risvolti pragmatici.

P.S. La vicenda è l'ennesimo esempio della propensione politica a scaricare scelte delicate e scottanti sui medici, come ad esempio nel caso delle Note Aifa. In realtà vi sono importanti differenze.

Le Note vengono talvolta applicate obtorto collo perché rifilano al medico la sgradevole seccatura di far pagare al paziente i farmaci che rientrano nei criteri prescrittivi. Il prescrittore ha comunque buone ragioni tencniche per rispettare le note, se non altro per evitare le sanzioni, mentre con i migranti è successo il contrario: i medici hanno potuto addurre buone ragioni deontologiche per non applicare lo sbarco selettivo per via del rischio delle conseguenze psicologiche correlate da una generalizzata fragilità indotta dalla permanenza sulle navi. Ragion per cui lo scaricabarile non è andato a buon fine, sia perché mal congegnato sia perché in conflitto con le logiche sistemiche.

L'esito del contrasto tra volontà politica e applicazione "tecnica" nel decreto spiega lo stupore del premier, che immaginava una classe medica disponibile a seguire le indicazioni politiche più che i principi etico-deontologici ordinistici. Come si spiega tale esito? E' andato in scena a reti unificate un classico conflitto tra diversi criteri/codici decisionli - che resta abitualmente sotto traccia - tipico delle società complesse frammentate in sotto sistemi. Ogni sotto sistema è guidato nelle scelte dal propio codice comportamentale e dai propri criteri di valutazione, che sono distinti e incompatibili in quanto operano in base a diverse cornici concettuali ed etico-valoriali. I codici sono autonomi e non riducibili l'uno all'altro - incommensurabili nel gergo della sociologia sistemica - da qui la rivendicazione della legittimità dell'operato dei medici ribadita dal presidente dell'ordine, basata su valutazioni e motivazioni "tecniche" specifiche entrate in conflitto con le ragioni e le motivazioni della politica.

giovedì 20 ottobre 2022

L'assalto alla trincea della medicina del territorio

Per rendere metaforicamente l’idea dell’impegnativa posizione del medico del territorio, si ricorre spesso a metafore belliche come avamposto, trincea, prima linea e ad eventi come assedio, assalto, arrembaggio. Ormai pochi sono disposti ad andare in trincea e anche quando la prima linea viene finalmente rinforzata con truppe fresche non è in grado di reggere l’assedio e cede alla superiorità degli assalitori. Ed alza bandiera bianca....E’ accaduto in un paesotto brianzolo la scorsa settimana.

Continua su https://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=108097

venerdì 14 ottobre 2022

L'equivoco delle AFT

Sono passati 10 anni dal varo della riforma Balduzzi e finalmente le Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT), previste dalla legge promossa dall’ex ministro del governo Monti, sono state recepite dall'ACN 2016-218 e dagli AIR che le stanno implementando. Come talvolta accade quando una buona legge, rimasta per anni nel cassetto, viene attuata con ritardo rischia di venire interpretata in modo forzato, se non lontano dagli espliciti intenti del legislatore.

E' il caso di svariate proposte locali, che vorrebbero trasformare le AFT in strutture di offerta, per la copertura h12 del territorio con la continuità assistenziale tra gli studi dispersi, o con una sede fisica di erogazione per intercettare una parte dei codici bianco/verdi che affollano in modo inappropriato le strutture di emergenza/urgenza.

Non si capisce come forme virtuali di aggregazione funzionale possano rappresentare un'alternativa credibile al PS quando l'esperienza del coordinamento degli orari di studio dei medici in rete non ha intercettato se non in minima parte i pazienti in alternativa al PS.

La riforma parla chiaro; per la legge le AFT sono “forme organizzative monoprofessionali che condividono in forma strutturata, obiettivi e percorsi assistenziali, strumenti di valutazione della qualità assistenziale, linee guida, audit e strumenti analoghi”. La  Balduzzi non prevede una sede fisica per le AFT e tanto meno un'organizzazione strutturata per erogare prestazioni assistenziali “esterne” alla forma organizzativa, ovvero rivolte alla popolazione di assistiti; come recita chiaramente la norma i compiti dell'AFT sono "interni" al gruppo di partecipanti, di chiara natura formativa, culturale e auto-valutativa della qualità, ad esempio dei PDTA delle patologie croniche. L'AFT non ha un profilo giuridico, non può quindi avere rapporti con società di servizi o Coop a fini organizzativi, tranne in caso di adesione o accordi individuali, come è personale il rapporto con l'ente pubblico.

Nelle AFT sarà possibile attuare una maggiore integrazione tra medici delle cure primarie e di continuità assistenziale, tramite coordinamento funzionale e collegamenti telematici per la condivisione delle informazioni, com'è accaduto dalla seconda ondata pandemica, ma non certo per promuovere ambulatori H12 come piccoli PS alternativi alle strutture di emergenza/urgenza. È irrealistico ipotizzare che il semplice coordinamento degli orari di studi medici sparsi in un territorio possa costituire un'alternativa valida al PS. Se mai saranno le Case della Comunità del PNRR a farsi carico di questo impegnativo compito, sull'esempio delle Case della Salute emiliano-romagnole che hanno ridotto di 1/4 circa codici bianco-verdi.

Le AFT hanno obiettivi culturali e di formazione sul campo, mentre per compiti assistenziali diretti alla popolazione la Balduzzi prevede una specifica forma organizzativa multiprofessionale, ovvero le Unità Complesse delle Cure Primarie o UCCP che “erogano prestazioni assistenziali tramite il coordinamento e l’integrazione dei medici, delle altre professionalità convenzionate con il Servizo sanitario nazionale, degli infermieri, delle professionalità ostetrica, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione e del sociale a rilevanza sanitaria". 

Le UCCP contribuiscono alla "costituzione di reti di poliambulatoriatori territoriali dotati di strumentazione di base, aperti al pubblico per tutto l’arco della giornata, nonchè nei giorni prefestivi e festivi con idonea turnazione”. Si tratta di compiti specifici e ben definiti che nulla hanno a che vedere con quelli delle AFT.

Quindi le Aggregazioni Territoriali, lungi dall'inserirsi in modo organico nel sistema di offerta sanitaria sul territorio, rappresentano l'occasione per riunire i MMG single, favorire il confronto tra pari sulle pratiche superando il tradizionale isolamento della categoria; a partire dalle AFT sarà possibile costruire e coltivare quella comunità professionale e di formazione continua dell'assistenza primaria che costituisce il principale gap della MG italiana rispetto al resto del continente. 

Le AFT potranno costituire l'ossatura culturale per la gestione condivisa della cronicità, che già di per sè comporta un notevole impegno professionale e che la diffusione della tecnologia di primo livello potrà migliorare. Sempre in sede di AFT si potranno realizzare due rilevanti funzioni sistemiche nell'ambito della valutazione della qualità dell'assistenza alla cronicità: l'accountability, ovvero la rendicontazione del processo di monitoraggio delle patologie, e il bench-learning vale a dire il confronto tra le buone pratiche realizzate a livello distrettuale o di ATS, finalizzato all'apprendimento e all'innovazione organizzativa. Obiettivi ben più ambiziosi del semplice coordinamento degli orari degli studi per intercettare qualche codice bianco, che peraltro si è dimostrato inefficace.

Secondo il pedagogista Etienne Wenger, principale esponente del filone di studi in questo settore, la comunità di pratica (CdP) è un sistema auto-organizzato, che aggrega gruppi omogenei di lavoratori, sia a scopo di apprendimento continuo che di sviluppo professionale. La CdP può aver sede in un luogo fisico, ad esempio una divisione ospedaliera, ma può essere anche virtuale, nel qual caso sono le comunicazioni tra i suoi membri che mantengono la coesione e l’identità del gruppo. 

Le AFT possono diventare la palestra sociale per coltivare la CdP dei medici del territorio, sia con momenti periodici di interazione in presenza (audit, formazione sul campo etc..) sia utilizzando strumenti di comunicazione come le reti professionali, mailing list, gruppi Facebook etc. Ciò che conta è la chiarezza programmatica circa i compiti e le funzioni per aggregare i MMG e sviluppare queste nuove forme organizzative. Che fino ad ora purtroppo è mancata...

giovedì 6 ottobre 2022

Il malessere della MG

La riforma dell’assistenza primaria dopo la pandemia: ultima spiaggia o inevitabile declino?

Il medico di medicina generale (MMG) vive dall’inizio del secolo un periodo di disagio che cova sotto la cenere e di rado viene a galla sui media tradizionali; il malessere si manifesta perlopiù con “sfoghi” sui social media che tradiscono un misto di risentimento, demotivazione e rassegnazione. Per descrivere questo clima emotivo e cognitivo collettivo può essere utile la nozione powerlesness, che connota il vissuto di quanti si trovano in un contesto lavorativo giudicato svantaggioso, demotivante, frustrante, limitante l’autostima e il contributo creativo all’organizzazione (Piccardo,1994). Questa sorta di sindrome collettiva da perdita di ruolo, ha radici socioculturali e basi epistemologiche riconducibili all’interazione tra alcune tendenze. Vediamole schematicamente.

1- Lo sviluppo tecnologico e scientifico comporta l’obiettiva difficoltà per i professionisti di mantenersi al passo del rinnovamento delle acquisizioni teorico-pratiche. I progressi della tecnologia biomedica spingono lo specialista verso una ulteriore settorializzazione professionale che si focalizza attorno a specifiche tecniche diagnostiche e/o terapeutiche (Ardigo, Mazzoli,1994) ed emargina il generalista per sua natura non-specialista con una vocazione all’approccio olistico, biopsicosociale e culturale. A questa tendenza si somma la proliferazione di nuove professioni sanitarie, formalmente riconosciute e istituzionalizzate, che aumenta l’offerta sul mercato delle prestazioni ed erode ulteriormente la spazio di intervento e l’autonomia decisionale del generalista. Infine sul piano sociale prevale un’induzione della domanda da parte dell’offerta, che il sistema pubblico non riesce a soddisfare pienamente, in un contesto di patologizzazione e medicalizzazione mediato (Domenighetti 2007, p. 114-117) 
  • dalla sistematica revisione al ribasso delle soglie dei parametri biologici che definiscono “il patologico” per una serie di fattori di rischio, assimilati a condizioni di malattia ;
  • dalla generalizzazione delle diagnosi precoci percepite dalla popolazione come sinonimo di guarigione-,
  • dall’attribuzione dello statuto di “malattia” a condizioni che fanno parte del normale processo biologico della vita, ad esempio con campagne di disease mongering;
  • dalla promozione di aspettative di efficacia verso l’impresa medica che vanno al di là di ogni ragionevole evidenza scientifica e che alimentano una privatizzazione di fatto, dovuta al deficit di offerta pubblica, proporzionale all’allungamento delle liste e dei tempi di attesa per le prestazioni di diagnostica ambulatoriale.
2- Con la diffusione del Web si è ridotta l’asimmetria informativa tra medico e paziente in proporzione diretta all’affermazione della disintermediazione offerta dalla rete e del tramonto della tradizionale dipendenza paternalistica. Ciò si traduce, da un lato. in maggiore autonomia del paziente divenuto “esigente” e in certi casi rivendicativo fino all’uso strumentale della revoca, dall’altro, in aspettative di efficacia “tecnica” che favoriscono il by-pass delle cure primarie a favore di risposte specialistiche. In modo complementare l’autonomia decisionale del medico è stata progressivamente condizionata dalla cosiddetta “medicina amministrata”, che si concretizza in vincoli normativi e prescrittivi via via stratificati nel tempo, per il controllo della spesa sanitaria a causa della perdurante crisi della finanza pubblica.

3- L’evoluzione della società è guidata dalla suddivisione in sottosistemi; la logica che spinge verso una crescente differenziazione funzionale del sistema sociale e di divisione del lavoro è il tentativo di affrontare e ridurre la complessità ambientale con una speculare segmentazione del sapere e delle pratiche. Ogni sottosistema funzionalmente differenziato della società è orientato ad un proprio codice, a criteri valutativi, a schemi cognitivi e routine operative che garantiscono l’autonomia rispetto agli altri sotto sistemi (Baraldi, 1994). La risultante della differenziazione è la proliferazione delle subprofessioni all’interno di ogni branca medica e la focalizzazione su settori patologici sempre più ristretti; di conseguenza, come afferma Ardigò, in un sistema complesso "la risposta specialistica tende sempre a prevalere su quella a minore differenziazione" (Ardigò, 1990) con intuibili risvolti sul triangolo relazionale paziente-MMG-specialista (ad esempio con l’introduzione di Piani Terapeutici per farmaci di esclusiva prescrizione specialistica e preclusi al MMG). La differenziazione funzionale comporta il rischio di effetti indesiderati, come la divaricazione tra pratiche tecno-specialistiche ospedaliere in acuto e gestione olistica della cronicità sul territorio (Asioli, 2019). Con questa chiave interpretativa si può leggere il profilo “residuale” del MMG, non specialista per eccellenza, proposto alla stregua di un impiegato esecutivo e potenziale terreno di “bracconaggio” e sconfinamento professionale sul territorio, per quella che è stata definita la “generalizzazione” delle medicina di II livello.

4- Il paradigma di semplificazione costituisce lo sfondo culturale e cognitivo delle tendenze sopradescritte (Morin, 1993). Due sono i suoi pilastri che orientano l’azione e la conoscenza: il principio di disgiunzione e quello di riduzione. Per conoscere un oggetto occorre innanzi tutto disgiungerlo, separarlo rispetto all’ambiente: la conoscenza è tanto più solida quanto più è decontestualizzata e standardizzata mentre la varietà, unicità, complessità del contesto sono considerati irrilevanti o fattori di disturbo per il dispiegarsi della razionalità tecnica (Schoen, 1994). Secondo il principio di riduzione per conoscere un aggregato di parti è sufficiente la conoscenza approfondita dei suoi costituenti elementari dai quali si può dedurre il comportamento del tutto. Nella storia della medicina questi principi hanno ispirato, per esempio, lo sviluppo dell’assistenza ospedaliera; qui avviene quella disgiunzione tra malato e ambiente di vita che è finalizzata ad approfondire la conoscenza della malattia tramite la riduzione dei sintomi al livello dell’organo malato, delle cellule o delle strutture molecolari. La rigida applicazione del paradigma di disgiunzione\riduzione è storicamente esemplificata dall’istituzione manicomiale e dall’assistenza pediatrica. Nel caso del bambino malato la consapevolezza degli effetti deleteri (psicologici, cognitivo, affettivi e somatici) della separazione dalla madre e dalla famiglia (la decontestualizzazione della malattia) è stata “scientificamente” riconosciuta solo negli anni cinquanta, cioè dopo che per decenni i bambini ospedalizzati avevano subito i danni della deprivazione affettiva e relazionale (Ardigò, 1990).

5- Infine sul versante macro-sistemico si sono intensificate le ingerenze e il controllo esterno sulla professione medica da parte dei due contropoteri che hanno controbilanciato l’autonomia/dominanza della medicina: da un lato le logiche dell’economia di mercato, rappresentate dalle assicurazioni private e della grandi organizzazioni sanitarie for profit specie nel contesto nord americano, e dall’altro la deriva burocratica e manageriale imboccata dai sistemi di welfare pubblico, specie nel vecchio continente, per contenere una spesa sanitaria incontrollabile. Nel contempo la definizione positiva di salute dell’OMS del 1948, in sostituzione di quella negativa come assenza di malattia, accentuava il dislivello tra i bisogni e le attese alimentate dalla promessa di un benessere globale, e l’offerta di un servizio sanitario alla prese con la crisi endemica della finanza pubblica. L’inflazione della domanda di prestazioni mediche, prodotto di una accentuata soggettivazione del bisogno sanitario, sfociava in razionamento implicito dell’offerta diagnostica e terapeutica, a base di ticket moderatori, di allungamento delle liste d’attesa e del conseguente ricorso al mercato privato della diagnostica o con forme di pagamento out of pocket per i farmaci. Come ha osservato il sociologo della complessità Edgar Morin gli operatori sanitari sono “vittime sia di una politica neoliberista che viene applicata dappertutto per privatizzare ed atrofizzare i servizi pubblici sia di una gestione statale iperburocratizzata sottoposta sempre più alle pressioni di potenti lobby” (Morin 2020, p.45). 
 
La risultante di queste concause è il declino dell’autorità professionale del medico, correlato al venir meno del paternalismo e dell’asimmetria della relazione tradizionale, connotata da deferenza e rispetto. Questo contesto mina alle basi il rapporto fiduciario e “la legittimazione stessa della biomedicina quale modalità esclusiva di erogazione delle cure sanitarie”, che si esprime nella difficoltà a garantire l’aderenza alle terapie (Giarelli 2013, p. 403) e nell’instabilità della relazione di cura sottoposta a crescenti tensioni o aperti conflitti.

martedì 4 ottobre 2022

COVID-19: bilancio mensile e ondate 2020-2022

 Dati mensili 2021-2022

  • La VI ondata estiva si è esaurita alla metà di settembre e ha lasciato il posto alla VII dall'ultima settimana del mese.
  • I tamponi sono rimasti sempre sopra il 15% in estate mentre la letalità ha ripreso in agosto e settembre per l'abituale ritardo rispetto al picco di luglio
  • I ricoveri sono sempre stati contenuti entro i 12mila a fronte di una media di oltre 3000 decessi a luglio ed agosto, scesi sotto i 2mila a settembre













Ondate Covid-19 2020-2022

Nella tabella sono riportati i dati dalla II ondata alla VI. Le date di inizio e di fine sono convenzionali: la sesta ondata è terminata a metà settembre circa.  Dal confronto tra le ondate emerge:

  • la progressiva riduzione della letalità, scesa dal 2,36% allo 0,20%
  • un aumento della positività dei tamponi nel 2022 che hanno toccato il 20% nella VI ondata, probabilmente per il costante incremento di quelli antigenici rapidi
  • un aumento della contagiosità dalla IV ondata in avanti rispetto al 2020-2021
  • in rapporto al numero di casi il picco dei ricoveri è in progressiva diminuzione da oltre 30mila della II e III a 10-22mila dalla IV in poi




Verso la revisione del Piano Nazionale della Cronicità?

    Dall'approvazione del PNC nell’autunno del 2016 sono trascorsi 6 anni ma, come si dice in modo proverbiale, sembra passato un secolo tali e tanti sono stati i cambiamenti intercorsi in particolare nell’ultimo triennio, e non solo per la pandemia. Nasce quindi l’esigenza di una revisione della normativa che per alcuni versi appare superata – basti pensare all’impatto del DM77 sulla governance del territorio - e soprattutto sulla base di quanto è stato realizzato dalle regioni con i piani locali. 

    Di questo avviso è l’intergruppo parlamentare per la cronicità che ha promosso una ricognizione degli interventi messi in atto, prevedibilmente piuttosto diversificati vista l’autonomia regionale, e dopo l’audizione dei vari stakeholders coinvolti a vario titolo nella gestione della cronicità. Al termine l’intergruppo ha prodotto un documento di sintesi dei dati raccolti e dei suggerimenti degli auditi, con alcune raccomandazioni finali riassunte schematicamente nel box in calce.

    Il leit-motiv delle audizioni ha riproposto una criticità ricorrente in documenti di questo tipo: “la denuncia dello scollamento fra le varie componenti del Sistema salute, sia all’interno delle istituzioni sanitarie e non sia fra le varie istituzioni che hanno rapporti diretti o indiretti con la salute del cittadino e della comunità”.

    Il tema dell’integrazione e della continuità ospedale-territorio è un po’ il tallone d’Achille dei servizi sociosanitari territoriali e, di conseguenza, il mantra dei documenti ministeriali di politica e governance sanitaria ed anche il DM77 ha fatto propria questa esigenza prioritaria. Nel testo dell’intergruppo parlamentare vengono analizzate le criticità e gli ostacoli che, a dispetto degli auspici e delle dichiarazioni di principio, si frappongono all’effettiva realizzazione dell’integrazione.

    Le cause delle perduranti difficoltà pratiche su questo fronte sono analizzate con un realismo non comune in testi ufficiali di questo genere, più inclini a wishful thinking retorici:

  • aspetti di natura organizzativa che hanno spinto per la creazione di servizi del tutto distinti, dotati di autonomia tecnico-funzionale;
  • indirizzi normativi che hanno dominato la vision funzionale della dirigenza della pubblica amministrazione;
  • prassi che hanno considerato il personale, le dotazioni strumentali e strutturali, etc., di esclusiva proprietà dei vari servizi;
  • evoluzione del “sapere medico-scientifico” che è andato, sempre più specializzandosi in ambiti di insegnamento, ricerca e pratica professionale articolati ed esclusivi;
  • il consolidarsi, con riferimento a tali ambiti, di posizioni organizzative quali ad esempio le docenze accademiche e i primariati dotati di una loro crescente autonomia;
  • la resistenza psicologica degli operatori al confronto, al lavoro comune, alla condivisione dei contenuti e delle pratiche professionali;
  • la naturale tendenza che rende le parti di ogni sistema, ad elevata complessità, separati.

  • Di conseguenza si tratta di creare le condizioni “per formalizzare le necessarie azioni della cooperazione interistituzionale, comunitaria e interprofessionale, il favorire il lavoro comune, il condividere progetti, il definire obiettivi omogenei, cioè sviluppare “tutto ciò che rientra nel quadro logico e metodologico di un più ampio – strutturato, incisivo e multiforme macro-processo di integrazione nelle sue varie espressioni organizzative, gestionali, operative, tecnologiche, professionali e istituzionali”. Tuttavia nella storia professionale di molti operatori sociosanitari e sociali “la volontà e la capacità di integrazione non è del tutto presente per cui è necessario un grande sforzo, soprattutto culturale, finalizzato a superare il retaggio storico del settorialismo”. In particolare per quanto riguarda l’integrazione ospedale territorio si rende necessario:

  • individuare e formalizzare strumenti e procedure per favorire il rapporto tra i medici/altre professioni sanitarie del territorio e i medici/altre professioni sanitarie ospedaliere al momento del ricovero, durante la degenza e in vista o al momento della dimissione e attivare, previa una valutazione multidimensionale e multipofessionale in vista della dimissione eventuali soluzioni necessarie dopo la dimissione, al fine di
  • strutturare servizi orientati alle “dimissioni protette”, intesi come funzioni multiprofessionali con competenze nella valutazione multidimensionale e nel “case management” (modelli di presa in carico della cronicità, afferenti alla riabilitazione, alle degenze di comunità, ai percorsi assistenziali per la terminalità, alla istituzionalizzazione, ai servizi residenziali socio-sanitari).
  • incrementare “protocolli di integrazione” che si sviluppano fin dalle dimissioni ospedaliere, coinvolgendo altri setting assistenziali, quali: Cure domiciliari di acuzie/post acuzie, le Cure palliative, RSA, le Case di riposo, le Lungo assistenze domiciliari etc.

  • Il documento prosegue indicando “quelle soluzioni che devono essere implementate adesso e nel futuro – sul territorio nazionale- e di cui si cercherà di evidenziare le ragioni che sono la base fondamentale per determinare un cambiamento e si proporranno alcuni elementi costitutivi, presenti in esperienze già mature, o in fase avanzata di sperimentazione che ne rendono, possibile la realizzazione e la replicabilità in ogni contesto regionale”. In questa cornice dovrebbero essere ricondotti processi di integrazione di ampia visione riguardanti:

  • le Reti clinico-assistenziali sociosanitarie,
  • i percorsi di presa in carico e di continuità assistenziale,
  • le forme della integrazione sociosanitaria,
  • la strutturazione di modalità di cooperazione organica con le risorse del volontariato di “prossimità”.

 Raccomandazioni per l’equità nelle politiche per la cronicità

  1. Attuare e aggiornare il Piano Nazionale della Cronicità (PNC) alla luce delle novità intercorse in termini di politiche del personale, modelli organizzativi e investimenti/riforme PNRR e integrando le patologie ricomprese (es. sclerosi multipla, psoriasi, cefalea cronica, poliposi nasale, asma anche nell’adulto)
  2. Finanziare l’attuazione e l’aggiornamento del PNC con lo stanziamento e la finalizzazione di risorse specifiche in Legge di Bilancio 2023.
  3. Realizzare e pubblicare una Relazione Annuale al Parlamento sullo stato di attuazione del PNC.
  4. Inserire l’applicazione del PNC nel Nuovo Sistema Nazionale di Garanzia dei LEA.
  5. Accelerare la realizzazione di un modello nazionale di stratificazione della popolazione da utilizzare in tutte le Regioni, basato non solo sul consumo di prestazioni sanitarie ma anche su determinanti di salute socioeconomici e culturali e su stili e abitudini di vita.
  6. Recuperare e rilanciare l’impegno del livello centrale e delle Regioni nella definizione, nell’implementazione, nell’attualizzazione (rispetto alle innovazioni organizzative del PNRR) e nella misurazione degli esiti dei PDTA, anche in termini di qualità di vita dei pazienti.
  7. Emanare il Decreto Tariffe per l’attuazione in tutte le Regioni dei LEA (2017).
  8. Inserire esplicitamente la telemedicina nei LEA, sfruttando l’opportunità degli stanziamenti previsti in Legge di Bilancio 2022 per il loro aggiornamento.
  9. Adeguare il personale socio-sanitario dal punto di vista quali-quantitativo per garantire l’effettiva esigibilità dei LEA in tutte le Regioni; investire nell’innovazione delle competenze del personale per attuare il cambiamento organizzativo funzionale alla garanzia della migliore presa in carico dei cittadini. Basare la scelta sulle evidenze e superare gli interessi di parte.
  10. Agire su liste di attesa e cure mancate per limitare l’impatto su prevenzione, diagnosi tardive, aumento delle complicanze, aderenza al percorso di cura e alle terapie, costi sociali. Servono dati aggiornati per gli anni 2020-2021-2022 e sistemi stringenti di verifica dell’utilizzo da parte delle Regioni delle risorse stanziate ( 1 MLD di euro).
  11. Definire strategie per favorire la diffusione della cultura della pianificazione comunicazionale che ha tra gli obiettivi quello di rispondere alla necessità di condividere termini, linguaggi e significati e di stimolare il confronto a livello pluralistico e interdisciplinare ma soprattutto fornire quegli strumenti per superare la difficoltà di comunicazione tra interlocutori di diverse aree, tra i diversi setting assistenziali e tra medico/ equipe e paziente
  12. Potenziare il ruolo del distretto procedendo ad una specifica formazione dei professionisti, che dovranno svolgere la funzione di capo distretto e dei coordinatori di tutte le aree sanitarie coinvolte e individuare strategie ed azioni che creino una efficace integrazione tra SSN, Comuni e terzo settore favorendo la piena attuazione della legislazione sui servizi sociali, ( legge 328/2000; Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2021-2023) quale snodo fondamentale per rafforzare il sistema integrato dei servizi sociali nell’ambito di una rete di collaborazione istituzionale e sociale, sulla base del principio di sussidiarietà verticale e orizzontale.

lunedì 3 ottobre 2022

Definizione WONCA 2022 della Medicina Generale

Valori e principi fondamentali della Medicina Generale

L'OMS considera l'assistenza sanitaria primaria una pietra miliare dei sistemi sanitari sostenibili. Il Medico di Medicina Generale (MMG) è uno dei principali fornitori dell'assistenza sanitaria primaria. WONCA Europe ha definito la MG sia come una specialità clinica che come una disciplina autonoma, con curriculum e attività di ricerca distinti. La MG può essere praticata in contesti diversi, a seconda delle caratteristiche di ciascun sistema sanitario, Paese o comunità. Tuttavia, i capisaldi della MG si reggono su precisi valori fondamentali elencati di seguito. Essi rappresentano gli elementi essenziali di una MG di buona qualità, e dovrebbero fornire una cornice di riferimento per la nostra identità professionale.
 
ASSISTENZA CENTRATA SULLA PERSONA
I MMG praticano una medicina centrata sulla persona, enfatizzando il dialogo, il contesto e le migliori evidenze disponibili.

I MMG tengono in considerazione sempre l'impatto di tutti i determinanti di salute sugli individui: biologici, psicosociali e culturali. I MMG sono professionalmente coinvolti nelle contingenze della vita dei loro pazienti, storie biografiche, credenze, preoccupazioni e speranze. Questo approccio aiuta a riconoscere i nessi tra fattori sociali e malattia e ad approfondire la comprensione di come la vita e gli eventi della vita lasciano la loro impronta sul corpo e sulla mente. I MMG promuovono la capacità dei pazienti di utilizzare le proprie risorse personali e comunitarie.

CONTINUITÀ DELLE CURE
I MMG promuovono la continuità della relazione medico-paziente come principio organizzatore centrale.

La relazione medico-paziente si basa sul coinvolgimento personale e sulla riservatezza. La continuità dell'assistenza aiuta a costruire fiducia reciproca e favorisce un'assistenza di alta qualità centrata sulla persona. I MMG cercano di garantire la continuità attraverso le modalità organizzativo-assistenziali applicate, indipendentemente dalle dimensioni, dalla composizione e dalla natura dell'équipe di cure primarie.

COOPERAZIONE NELL'ASSISTENZA
I MMG instaurano una collaborazione transprofessionale e transdisciplinare, facendo attenzione a non confondere le soglie di competenza.

I MMG integrano programmi e servizi diversi e si impegnano attivamente nello sviluppare ed adattare modalità efficaci di collaborazione con gli altri operatori sanitari e sociali. I MMG aiutano i pazienti a orientarsi ed utilizzare il sistema sanitario e facilitano la comunicazione con gli altri professionisti della salute.

ASSISTENZA ORIENTATA ALLA COMUNITÀ
I MMG sono continuativamente responsabili della formazione, ricerca e sviluppo della qualità.

I MMG attraverso l'orientamento alle comunità e alle responsabilità sociali mirano ad influenzare le politiche sanitarie e affrontano le disuguaglianze in salute integrando assistenza clinica, salute pubblica e servizi sociali a livello di comunità
.
EQUITÀ DELLE CURE
I MMG danno la priorità a coloro i cui bisogni di assistenza sanitaria sono maggiori.

I MMG forniscono un'assistenza sanitaria equa. L'equità è un valore fondamentale della qualità dell'assistenza sanitaria. L'obiettivo è ridurre al minimo le disuguaglianze nella fornitura dei servizi sanitari. I MMG organizzano l'assistenza in modo tale da dedicare tempo ed energie a coloro che hanno più bisogno di cure e servizi. 
I MMG ritengono che sia loro dovere parlare pubblicamente di tutti i fattori della società che condizionano l'accesso ai servizi sanitari e le disuguaglianze negli esiti di salute. I MMG sono particolarmente consapevoli delle sfide per la salute per alcuni soggetti in relazione all'età, al genere, all'orientamento sessuale, all'etnia, allo stato socioeconomico e alle scelte religiose.  
L'eccesso di esami, sovradiagnosi e sovratrattamenti possono nuocere i pazienti oltre che consumare risorse ed indirettamente possono portare verso pericolose sottodiagnosi e sottotrattamenti. Quando sono disponibili interventi equivalenti nell’efficacia, i MMG scelgono gli interventi basandosi sul rapporto costo-efficacia e sulla sicurezza del paziente.

CURE ORIENTATE ALLA SCIENZA
I MMG forniscono un'assistenza basata sulle migliori evidenze disponibili, rispettando i valori e le preferenze dei pazienti.

I MMG si impegnano attivamente nella formazione dei futuri colleghi e facilitano l'inclusione dei giovani medici nelle decisioni organizzative fondamentali riguardanti la formazione medica prelaurea e post-laurea. I MMG attuano e promuovono ricerche pertinenti alle esigenze della MG e  valutano le conoscenze emergenti e le linee guida in modo critico con un approccio costruttivo ed accademico. 



sidera l'assistenza sanitaria primaria una pietra miliare dei sistemi sanitari sostenibili. Il Medico di Medicina Generale (MMG) è uno dei principali fornitori
dell'assistenza sanitaria primaria. WONCA Europe ha definito la MG sia come una specialità clinica che come una disciplina autonoma, con curriculum e attività di ricerca
distinti. La MG può essere praticata in contesti diversi, a seconda delle caratteristiche di ciascun sistema sanitario, Paese o comunità. Tuttavia, i capisaldi della MG si
reggono su precisi valori fondamentali elencati di seguito. Essi rappresentano gli elementi essenziali di una MG di buona qualità, e dovrebbero fornire una cornice di
riferimento per la nostra identità professionale.


I MMG forniscono assistenza agli individui e promuovono la salute delle
comunità; si impegnano negli aspetti politici e sociali che hanno un impatto
sugli esiti di salute attraverso attività di advocacy orientate alle comunità.

venerdì 9 settembre 2022

Carenza di MMG (II): QUALI PROSPETTIVE PER L'ACN?

Nel nonopsonio l'unico datore di lavoro fa il bello e cattivo tempo dettando le sue condizioni a chi offre un servizio o prestazioni professionali come i MMG (si veda per i dettagli il post precedente). Il SSN sfrutta la sempre la sua posizione dominante sul mercato del lavoro in modo spregiudicato con la sistematica dilazione del rinnovo degli ACN, negoziati e sottoscritti dopo anni dalla scadenza triennale (c’è voluto un decennio per recepire la riforma Balduzzi, ultima occasione perduta per rilanciare la MG). 

Il concreto disinteresse verso il decantato ruolo centrale della MG, testimoniato dal sistematico rinvio dei rinnovi contrattuali, equivale ad una squalifica della categoria, con l’aggiunta di un miope accanimento burocratico che ha raggiunto l'acme proprio nel momento più critico, ovvero nel pieno della pandemia, con la produzione di nuove Note AIFA che il sistema ospedaliero era incapace di rinnovare se non con ulteriore allungamento delle liste d'attesa. Questo circolo vizioso invece di suggerire l'eliminazione o l'allentamento di Note su farmaci prescritti da anni ed ormai diventati di uso corrente riguardanti milioni di diabetici, bronco- e cardiopatici, ha sortito la soluzione di "scaricare" sulla medicina del territo un'ulteriore carico di lavoro burocratico per i MMG.

Complice la sostanziale inefficacia dello sciopero i sindacati della MG hanno fatto buon viso a cattivo gioco accettando passivamente relazioni sindacali squilibrate e di sapore consociativo. Il continuo rinvio della contrattazione avvantaggia la controparte e indebolisce il sindacato, fino a quando l'annoso ritardo nel rinnovo mette con le spalle al muro l'interlocutore, che con l'acqua alla gola accetta condizioni sfavorevoli pur di portare a case qualche cosa. L'uso strumentale e pervicace di questa tattica dilatoria ha contrassegnato dall'inizio del secolo relazioni sindacali asimmetriche e di sudditanza verso la controparte, con ritardi che hanno sfiorato il decennio, accettati passivamente.

I MMG essendo legati ad unico datore di lavoro hanno poche alternative professionali, specie quelli prossimi all’età della pensione, a differenza dei dipendenti che possono migrare dall’ospedale al territorio. Ma ora la situazione è evoluta per il combinato disposto tra gobba pensionistica e deficit di accesso alla convenzione che ha rotto equilibri consolidati ma disfunzionali: sono questi gli effetti sociali perversi del monopsonio, rispetto al fisiologico gioco della domanda-offerta ignorato proprio in virtù della posizione di vantaggio di chi detiene tutto il potere contrattuale. A disincentivare nuovi ingressi ed incentivare ulteriori uscite contribuiscono l’incertezza politica e quella sul futuro rapporto di lavoro parasubordinato nelle strutture del PNRR, le crescenti tensioni con gli assistiti fino ai conflitti aperti, la campagna di delegittimazione mediatica in atto dall'inizio della pandemia, l'accanimento burocratico a base di inutili Note AIFA e da ultimo la fiammata inflattiva a rischio di recessione economica per il 2023 che mette in dubbio anche la Missione 6 del PNRR.  

Fino a quando l'inflazione era attorno all'1% la tattica del rinvio continuo delle trattative era tollerabile perché un rinnovo della convenzione avrebbe comportato nuovi compiti isorisorse. Ma ora con incrementi dei prezzi dell'ordine del 10% e con la nuova formula della parasubordinazione, che prevede un debito orario da svolgere nelle Case della Comunità, un nuovo ACN sarà svantaggioso sia economicamente sia sul piano normativo (peraltro il rinnovo dell'ACN 2019-2021 non terrà conto dell'inflazione dell'anno in corso con ulteriore penalizzazione economica). Una tenaglia che renderà sempre meno conveniente e più gravoso continuare a lavorare rispetto ad un pensionamento anticipato una volta raggiunta la soglia minima dei 62 anni (anche perché la pensione garantisce perlomeno un parziale recupero dell'inflazione).

Gli ultra 60enni che restano in servizio subiranno un sovraccarico di lavoro e di stress, che ha raggiunto il picco nell'ondata pandemica di inizio 2022, mentre i giovani dovranno affrontare un nuovo gravoso impegno professionale, che spaventa molti per il livello di coinvolgimento e la mancanza di tutele contrattuali, specie per i carichi familiari delle colleghe. Una parte di iscritti al CFSMG era stata allettata dalla proposta di passaggio alla dipendenza, prospettata da una composita alleanza con la contrarietà dei sindacati storici della MG. Nonostante le campagne promozionali portate avanti dalla "lobby" della subordinazione, anche assecondando implicitamente l'opera di delegittimazione mediatica della categoria in atto da 2 anni, la proposta non è approdata ad un ben definito progetto per un semplice fatto: è mancato un serio studio di fattibilità economico-finanziaria, senza il quale il cambiamento prospettato finisce per assomigliare ai mirabolanti programmi elettorali, privi di un'esplicita copertura finanziaria a garanzia della promessa della luna nel pozzo .

Archiviata la proposta di passaggio alla dipendenza, per palese incompatibilità finanziaria, anche la strada per il rinnovo dell'ACN in parasubordinazione non appare meno impervia, per due ordini di motivi:

  1. non esistono le condizioni logistiche, organizzative e le risorse economiche per varare un ACN a doppio binario - rapporto a scelta per l'assistenza individuale + debito orario per compiti professionali di popolazione - per carenze di strutture finanziate dal Pnrr e dedicate alla componente oraria, se tutto va bene che saranno disponibili solo tra 2-3 anni;
  2. nell'attuale fase di carenza generalizzata di MMG sul territorio, destinata a toccare il 20% nel prossimo anno, è materialmente impossibile per i medici in servizio far fronte ad ulteriori compiti come quelli richiesti dalla parasubordinazione, specie se il massimale verrà innalzato a 1800 scelte proprio per venire incontro ai cittadini rimasti senza assistenza.

La proposta di parasubordinazione è stata avanzata poche settimane prima dello scoppio della guerra e a distanza di 6 mesi i suoi effetti destabilizzanti si fanno più evidenti sul piano economico fino a prospettare una possibile recessione. Per ora la generalizzata crisi energetica sta mettendo in seria difficoltà molti apparati produttivi, oltre alla famiglie. Questi contraccolpi non tarderanno a riverberarsi sulla pianificazione delle strutture del Pnrr e sugli accordi contrattuali fino a pregiudicare la realizzazione delle strutture e soprattutto la possibilità di reperire sul mercato del lavoro un numero sufficiente di operatori sanitari per farle funzionare a pieno regime. Dopo lo stress della pandemia quello bellico si annuncia non meno gravido di conseguenze per tutto il sistema. In questo scenario appare improbabile che venga varato un ACN in grado di imprimere una svolta significativa alla governance del territorio, se non con un aumento ulteriore dei compiti a fronte di un minomo incremento dei compensi già annullati da un inflazione che non si registrava da decenni.

Per i sindacati una ACN in perdita secca, sia sul piano economico sia normativo, segnerebbe un arretramento storico, per i medici in servizio un ulteriore incentivo all'uscita pensionistica di massa appena possibile e per i corsisti un ulteriore disincentivo ad accedere ad una professione sempre meno appetibile. L'unica soluzione percorribile appare il mantenimento dello status quo, ovvero il varo di un ACN 2019-2021 come fotocopia di quello 2016-2018 sottoscritto a gennaio 2022 ed entrato in vigore a maggio, con poche novità tipo l'innalzamento del massimale, ulteriori incentivi per collaboratori e per le forme organizzative da poco introdotte. Altre soluzioni sono proponibili solo con generose dosi di autoinganno.

Le contraddizioni del sistema e gli effetti perversi di una gestione miope, cognitivamente incapace di cogliere la radicalità dei problemi, si sono concentrati nel tempo e nello spazio in modo ormai irrimediabile e perseverare con gli errori commessi nel recente passato per il sistema sarebbe esiziale.

giovedì 8 settembre 2022

Carenza di MMG (I): siamo al punto di non ritorno?

L’emorragia pensionistica in MG è inarrestabile e a poco valgono i tardivi tentativi di tamponamento: le zone carenti sul territorio vengono coperte se va bene per metà, ed il gap è destinato ad allargarsi nei prossimi anni, dato che entro il 2027 andranno in pensione oltre 30mila generalisti. Eppure i primi alert sugli effetti della gobba pensionistica della generazione della 833 risalgono ad una decina di anni fa ma sono caduti nell'indifferenza e nel disinteresse della parte pubblica, che ha sempre sottovalutato la medicina del territorio al netto dell'enfasi retorica sulla sua centralità. Tra pensionamenti anticipati e mancata programmazione del ricambio generazionale si è innescato un circolo vizioso sistemico che si automantiene e che sarà difficile interrompere sul breve/medico periodo, come del resto ha candicamente ammesso lo stesso ministro Speranza.

Come si è arrivati a questo punto di non ritorno? Possibile che nessuno abbia percepito la gravità della situazione e predisposto per tempo un piano razionale di soluzione del problema?

La crisi è l’effetto sociale perverso del monopsonio statale sul mercato del lavoro, venuto meno dopo decenni di predominio. Tutti conoscono le caratteristiche del monopolio, ovvero la mancanza di concorrenza, ma forse non tutti sanno che esiste una situazione speculare quando, invece che un solo produttore di beni o servizi, vi è un unico compratore a fronte di un certo numero di soggetti che offrono beni o servizi. Il monopsonista impugna il coltello per il manico, per usare una cruda metafora, e detta le condizioni di acquisto, la quantità e il prezzo di un bene o di un servizio nei confronti di chi lo offre.

Il monopolio e il monopsonio sono esempi speculare di "fallimento del mercato" perché  violano la dinamica della domanda e dell'offerta e il principio della concorrenza: nel monopsonio il potere è sbilanciato dalla parte dell’unico acquirente, come nel caso del SSN che domina il mercato del lavoro territoriale per mancanza di concorrenti che ne insidiano la posizione dominante. Il SSN ha un ruolo monopsonico anche sul mercato dei farmaci dove è in grado di imporre il prezzo più favorevole pena l'esclusione di una molecola dalla rimborsabilità. L'asimmetria di potere si riverbera sulle relazioni sindacali, per uno sbilanciamento che indebolisce il contro-potere negoziale del sindacato fino al consociativismo politico-sindacale.

Oggi però a fare la differenza differenza rispetto agli anni scorsi è la la possibilità di defezione pensionistica per il profondo malessere dei MMG, sfociato in un una sorta di burn-out collettivo, che ha fatto venire meno la “lealtà” verso il SSN e convinto molti all'uscita anticipata dal sistema per sfinimento; il sindacato ha sottovalutato il clima emotivo prevalente nella categoria mentre il monopsonista non solo l’ha improvvidamente ignorato ma l'ha accentuato con un accanimento burocratico asfissiante, varando nuove Note Aifa per giunta nel pieno delle ondate di Covid-19. L'attuale squilibrio da deficit di offerta, destinato a lasciare senza assistenza milioni di italiani nei prossimi anni, è l'esito perverso di scelte politiche, apparentemente vantaggiose sul piano economico per la controparte, ma sul lungo periodo e nel nuovo scenario auto-lesionistiche.

In teoria i sindacati potevano approfittare del riequilibrio dei poteri, facendo pesare a vantaggio della categoria il gap tra domanda ed offerta, che annulla di fatto il monopsonio statale; invece si sono dimostrati arrendevoli e disponibili, rinunciando ad utilizzare strategicamente una fonte di incertezza per ottenere migliori condizioni economiche e normative, che potevano frenare l’emorragia pensionistica e motivare l’ingresso di nuove leve. Il monopsonista dal canto suo non si è reso conto di aver tirato troppo la corda con esiti irrimediabili e controproducenti: chi è causa del suo mal.. L'incapacità di percepire le dinamiche sociali e gli umori del territorio è alla base delle scelte omissive delle burocrazie pubbliche, prigioniere di stereotipi, pregiudizi e bias cognitivi nella (s)valutazione della medicina territoriale, fino alla colpevolizzazione della vittima per ciò che non ha funzionato durante la pandemia

I nodi sono inestricabili, l’attuale deriva appare irreversibile e non è un caso che i programmi elettorali abbiano ignorato un’emergenza in via di cronicizzazione. Oppure, come ipotizza qualcuno, “era tutto previsto e ben congeniato” per spingere il sistema verso una privatizzazione di fatto, già in atto nel settore della specialistica ambulatoriale. Ma sul territorio è ben diverso: non serve mettere mano al portafoglio come si fa per by-passare le liste d’attesa delle visite specialistiche, perchè la gente non ha alternative alla MG e resta abbandonata a sè stessa.

I- continua al link:  http://curprim.blogspot.com/2022/09/nel-nonopsonio-lunico-datore-di-lavoro.html