La collega Mancin nella lettera al QS del 18 settembre scorso ha sollevato alcuni condivisibili dubbi sui recenti accordi veneti che prevedono incentivi finanziari per medici che “applicando criteri di appropriatezza” favoriranno una “riduzione delle prescrizioni di specialistica ambulatoriale”, come Tac e risonanze magnetiche.
Una differenza di fondo distingue le iniziative di controllo delle prescrizioni farmaceutiche - a partire dalle Note AIFA per l'appropriatezza - da quelle sugli accertamenti in rapporto ai LEA: la terapia appropriata parte un dato conoscitivo certo e da solidi riferimenti decisionali, ovvero la diagnosi dalla quale discendono le indicazioni terapeutiche EBM, secondo lo schema se…allora (in un assistito affetto da diabete ed obesità il farmaco appropriato è la metformina).
Non esiste un unico esame appropriato a priori per ogni situazione o sintomo, perché i test clinici partono da una situazione iniziale indeterminata e incerta con l’obiettivo di arrivare ad una probabilità finale di (relativa) certezza; la sfera diagnostica presuppone un procedimento inferenziale di tipo abduttivo o retroduttivo (quindi non deduttivo/dimostrativo e, in quanto tale, non logico nè necessario) con cui è possibile risalire ad un fatto ignoto (l'ipotesi diagnostica) patendo da fatti noti (segni e sintomi, come indizi più o meno probanti) con diversi gradi di certezza, grazie a criteri probabilistici soggettivi ed oggetivi regolati dal teorema di Bayes.
Soprattutto in presenza di sintomi aspecifici e segnali deboli, vaghi o atipici, viene generata una gamma di ipotesi, tra le quali solo al termine dell’iter emergerà quella corretta, spesso dopo una indagine a tappe basata su “tentativi ed eliminazione degli errori” non pre definibile. Insomma le strategie cognitive e le inferenze diagnostiche indiziarie, abduttive e/o bayesiane, differiscono dello schema decisionale terapeutico, lineare e deduttivo, per la varietà, unicità, incertezza e complessità della casistica clinica.
L'appropriatezza e l'inappropriatezza diagnostica riguardano i singoli test in situazioni cliniche specifiche, ricorrenti e ben definite, da valutare prima e dopo interventi formativi ad hoc, per correggere sia eventuali eccessi (overuse) sia deficit (underuse) prescrittivi, recuperando risorse dal sovrautilizzo per compensare gli scostamenti in difetto rispetto agli standard di buona pratica. Secondo il presidente di Gimbe "qualunque intervento per ridurre l'inappropriatezza professionale deve essere guidato dal principio del “disinvestimento e riallocazione”, perché in tutti i percorsi assistenziali convivono aree di overuse e di underuse".
L'inappropriatezza per eccesso di accertameti diagnostici è dovuta alla combinazione di varie motivazioni oltre a quella difensiva: l'induzione della domanda da parte dell'offerta per incentivazioni aziendali, l' introduzione di nuovi strumenti tecnologi, le tendenze alla medicalizzazione e ad assecondare le aspettative degli "utenti", le spinte del marketing e dell'informazione, i conflitti di interesse professionali. Il contenimento dell'inappropriatezza per eccesso è prioritariamente una questione di buona pratica e di formazione sul campo che solo come effetto collaterale induce un risparmio di risorse, da destinare ad interventi per compensare il sotto-utilizzo delle cure mediche, come denunciato nel recentissimo report dell'OMS sull'ipertensione "killer silenzioso".
Non sempre in un sistema a rete come quello territoriale il professionista a cui imputare la prescrizione è il MMG; basta pensare agli esami "trascitti" dal MMG che invece dovrebbero essere prescritti dagli specialisti, a quelli di recente introduzione e di costo elevato, alle indagini e ai follow-up per patologie a bassa prevalenza o rare. Spesso la MG è solo il terminale delle prescrizioni omesse da altri professionisti, come quelli privati consultati per le carenze dell'offerta pubblica, per i quali il rischio di inappropriatezza conta meno dell'auto-tutela legale.
Anche nel campo della diagnostica, come nel caso delle terapie farmacologiche per la cronicità, il problema è spesso l'ipoprescrizione di accertamenti raccomandati dalle linee guida e dai PDTA. In sostanza le ricerche che documentano uno scarso rispetto dei percorsi e una bassa aderenza alle cure dei cronici testimoniano fenomeni di inappropriatezza per difetto. In un’ottica di popolazione gli sforzi degli amministratori pubblici dovrebbero essere indirizzati prioritariamente a correggere l’underuse, che può avere un impatto negativo sugli esiti delle condizioni croniche e indirettamente sulla spesa maggiore del sovrautilizzo.
La correzione degli scostamenti in eccesso o in difetto non ha come parametro valutativo la media di spesa o i volumi prescrittivi complessivi ma la verifica di interventi formativi finalizzati a modificare specifiche richieste di test in definite categorie di pazienti, come suggerisce ad esempio la campagna formativa ed informativa di choosing wisley. Le raccomandazioni relative a numerosi test di laboratorio e per immagine, formulate dalle associazioni professionali, puntano a sottrarre dal complesso degli esami quelli potenzialmente inappropriati per eccesso in situazioni ben definite, come ad esempio “Non eseguire RM Lombosacrale nelle prime sei settimane in caso di lombalgia senza segni/sintomi di allarme”.
L'appropriatezza diagnostiche ha anche risvolti temporali, al di là del sovra o sotto utilizzo; ad esempio i Raggruppamenti Omegenei di Attesa (RAO) prevedono tempistiche adatte per alcune indagini in relazione alla sintomatologia e al "profilo" del paziente, al fine di ottimizzare i tempi di esecuzione e favorire una riduzione delle liste d'attesa. La promozione dell’appropriatezza temporale richiede la sinergia tra interventi formativi e cambiamenti organizzativi, condivisi e concertati tra i professionisti coinvolti per modificare routine comportamentali, da valutare a distanza dall'introduzione delle raccomandazioni.
In un sistema a rete multi-attore e multi-livello è rischioso accettare implicitamente l'idea che l'appropriatezza specialistica sia riconducibile alla responsabilità e quindi al controllo, nel senso di una generica riduzione delle prestazioni, di un unico attore professionale come il MMG. L'iniziativa veneta, come altre di questo genere, poggia su basi concettuali e scientifiche deboli ispirate più da motivazioni finanziarie che di buona pratica clinica. E' sintomatico che i sindacati accettino passivamente questa impostazione pur di portare a casa qualche cent.
P.S. Francesco Taroni nel 2004 scriveva: "I processi di produzione e distribuzione dei servizi sanitari si svolgono attraverso reti di relazioni complesse e scarsamente gerarchizzabili fra organizzazioni e professioni diverse, in cui nessuno dei numerosi attori può esercitare la funzione di comando e controllo e, parallelamente, non esiste un unico soggetto cui imputare responsabilità complessive".
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