venerdì 25 aprile 2025

Si fa presto a dire appropriatezza! Breve cronistoria del concetto.

A dispetto dell’invito cartesiano a privilegiare idee chiare e distinte le idee astratte come giustizia, verità, libertà, equità etc.. sono afflitti da una varietà di significati oggetto di innumerevoli interpretazioni e disquisizioni. Karl Popper aveva criticato le dispute sull’autenticità dei concetti filosofici, nel tentativo di coglierne la vera “essenza”: “la filosofia, che per venti secoli si è preoccupata del significato dei suoi termini è, non soltanto piena di verbalismo, ma anche terribilmente vaga e ambigua, mentre una scienza come la fisica, che non si preoccupa tanto dei termini, quanto piuttosto dei fatti, ha conseguito una grande precisione”.

Anche il concetto di appropriatezza non si è sottratto a questo rischio per il suo carattere lontano dell’oggettività degli enti naturali. Gli intenti definitori si complicano quando un’idea si articola in sotto concetti, per cui l’indeterminatezza aumenta in modo esponenziale, come nel caso dell’appropriatezza che incorpora l’idea di efficacia, efficienza, adeguatezza, economicità etc..

Ogni termine astratto sconta una certa vaghezza, che inficia la sua operazionalizzazione ovvero in che modo si applichi correttamente in tutti i possibili casi pratici, generando incertezza nel decisore. Per giunta sono state descritte numerose tipologie di appropriatezza, in riferimento al paziente, al sistema sanitario e alla società, che nel manuale ministeriale del 2012 superano la dozzina; a tal proposito nel 2015 il collega Tombesi così commentava il Decreto sui LEA allora in discussione: “il termine appropriatezza condivide con altri termini (ad esempio “qualità” o “prevenzione”) un’indeterminazione ed una vaghezza sufficienti a far sì che ognuno possa riempirlo dei contenuti che preferisce per rendere meglio presentabili i propri obiettivi”. Forse per ovviare a questo limite si ricorre alla formuletta ricordata dal prof. Cavicchi: la prestazione e il servizio è “appropriato” se viene erogato alla persona giusta, nel momento giusto e dal professionista giusto. Tutto bene, quindi? Non proprio!

Gli slittamenti semantici e pragmatici hanno punteggiato la trentennale applicazione dell’appropriatezza, inaugurata nel lontano 1993 dalla Rand Corporation californiana in uno strigato editoriale sul BMJ, a firma del suo direttore Robert Brook, che partiva dalla constatazione di un’eccesiva variabilità geografica in alcune procedure diagnostiche, mediche e chirurgiche. All’esordio l'Appropriateness aveva un chiaro obiettivo: contenere la patologica variabilità delle prescrizioni che erano la spia di due fenomeni speculari, vale a dire over e underuse di prestazioni da riportare entro un ambito di “normalità”. Il modello della RAND propone scenari clinici di riferimento in base ai quali valutare la necessità o meno di una specifica procedura, mentre “gli aspetti di carattere economico e/o di organizzazione sanitaria vanno esclusi”.

Erano anni di fermenti culturali e grandi cambiamenti: nel novembre 1992 JAMA pubblicava l'articolo manifesto di esordio dell’EBM e l’anno seguente veniva fondato il network internazionale Cochrane Collaboration, mentre in Italia, sulla spinta di una crisi finanziaria arrivata all’orlo del default, veniva approvata la seconda riforma all’insegna della razionalizzazione del sistema. I decreti legislativi del 1992 introducevano l’aziendalizzazione e l’anno successivo la Commissione Unica del Farmaco ristrutturava il prontuario, superando la logica mutualistica del “tutto gratis a tutti”, con l’esclusione dalla prescrivibilità di centinaia di molecole a prescindere dalla variabilità prescrittiva, e l’introduzione per alcune categorie ATC delle Note CUF limitative, che solo nel nuovo secolo verranno definite Note per l'appropriatezza.

Nel 1999 la riforma ter, a seguito delle difformità di applicazione delle Note emerse tra I e II livello, introduceva all’articolo 7 l’obbligo di appropriatezza, così formulato: «Il medico assicura la continuità della cura e della presa in carico del paziente, indicando, al momento della dimissione, le informazioni cliniche essenziali e le terapie prescritte, con indicazione dell’eventuale non prescrivibilità a carico del Servizio sanitario nazionale, e valutando l’appropriatezza del trattamento farmacologico e delle prestazioni specialistiche richieste, nel rispetto dei LEA». L’obiettivo era di evitare al MMG lo sgradevole compito di negare al paziente farmaci prescritti da altri in modo inappropriato - inducendo il malcapitato a mettere mano al portafoglio - al fine di

  • garantire trasparenza e prevenire aspettative errate tra i pazienti o malintesi con il medico di medicina generale (MMG);
  • ridurre contenziosi e incomprensioni tra ospedale, territorio e cittadino, migliorando l’integrazione terapeutica e la continuità assistenziale tra i due comparti.

Nonostante le lodevoli intenzioni ancor oggi la scarsa informazione sulla prescrivibilità o meno dei farmaci al termine del ricovero o della consulenza ambulatoriale è al vertice del cahier de doleances dei medici del territorio, assieme alla mancata prescrizione delle indagini da parte dello specialista per rispondere al quesito clinico del generalista e ai certificati di malattia INPS. Dovevano passare altri 15 anni prima che con i LEA del 2016 venisse esteso il modello delle Note AIFA ad un ambito, come quello diagnostico, ancor meno compatibile sul piano cognitivo con la rigida standardizzazione della medicina amministrata. 

Infine arriviamo ai nostri giorni: con la privatizzazione di fatto a causa dell’abnorme allungamento dei tempi d’attesa post Covid-19 la situazione non poteva che peggiorare, per il frequente ricorso dei pazienti alla libera professione specialistica che non è tenuta al rispetto dei LEA, delle Note AIFA e dei Piani Terapeutici nè tanto meno alla prescrizione degli accertamenti nell’ambito del SSN; di conseguenza tensioni e conflitti aperti tra generalisti e assistiti sono aumentati fino a minare la tenuta della relazione e a generare un profondo disagio, premessa per le frequenti defezioni dalla professione anche tra i giovani.

mercoledì 16 aprile 2025

Emergentisti contro generalisti per una lettera di ringraziamento

 E' perlomeno insolito che il consiglio direttivo di una importante Società Scientifica come la SIMEU si sia preso la briga di contestare, con un intervento sul Quotidiano Sanità, una lettera di ringraziamento di una collega di MG, indirizzata ai cittadini che in un sondaggio sulla soddisfazione degli utenti del SSN avevano espresso un giudizio favorevole per l’assistenza del MMG, e non per la qualità percepita o il gradimento di un professionista contrapposto ad un servizio. 

La vaexata questio dell'appropriatezza è sempre all'ordine del giorno

Il lungo e tormentato iter dei provvedimenti legislativi sulle liste d’attesa, accompagnato da aspri contrasti tra Ministero e Governatori sulla gestione in alcune regioni, ha riproposto l'annoso dibattito sul tema dell’appropriatezza, vaexata questio del SSN. 

Continua sul Quotidiano Sanità

Per un approfondimento del tema appropriatezza si veda il saggio

APPROPRIATEZZA E VARIABILITA’ NEL SISTEMA PRESCRITTIVA

Inappropriatezza professionale tra rumore organizzativo e prescrizioni indotte in medicina generale,  

KDP Amazon, edizione aggiornata al febbraio 2025: versione cartacea ed e-book

Al link la presentazione del libro

martedì 15 aprile 2025

La confusione sui compiti delle AFT

Continua da parte delle regioni la deliberata confusione sui compiti delle AFT, che non sono quelli di garantire la continuità dell'erogazione dell'assistenza sul territorio, ad esempio con il coordinamento degli orari di apertura nelle 12 ore, ma è di ottimizzare le modalità di gestione della cronicità, in relazione all'applicazione di PDTA, linee guida, audit su buone pratiche e strumenti analoghi, come dice chiaramente la riforma Balduzzi.