Estratto dalla GUIDA AL PIANO NAZIONALE DELLA CRONICITA’
Dai fattori di rischio alle polipatologie croniche, una sfida organizzativa, educativa e culturale per l’assistenza primaria
Disponibile su Amazon in formato cartaceo ed e-book, pag, 198
La dimensione antropologica: una nuova prospettiva sulla diversità dei modelli esplicativi
L’antropologia
medica con il concetto di modello esplicativo (ME) propone una chiave di
lettura utile anche per la cronicità. Prima però conviene introdurre una
definizione di cultura spendibile nel contesto sanitario per favorire una
competenza professionale anche in questo settore, che non si riduca
all’incontro con culture “esotiche”, di cui sono portatori le popolazioni
immigrate.
Con il termine cultura non si deve intendere solo la produzione di opere letterarie, poetiche, saggistiche, filosofiche, scientifiche, musicali, artistiche di carattere accademico “alto”.
- disease, ovvero la descrizione oggettiva della patologia secondo i canoni del pensiero medico che definisce ed interpreta i fenomeni secondo le categorie ezio-fisio-patologiche d’organo e di apparato, da indagare con adeguati strumenti diagnostici e correggere con la terapia appropriata;
- illness, vale a dire la componente soggettiva dell’esperienza di malattia, fatta di conoscenze informali e personali, basate su percezioni corporee, sintomi, disturbi, dolore fisico con il correlato vissuto di preoccupazione e condivisione nella dimensione familiare;
- sickness, indica i risvolti sociali e relazionali della condizione patologica, nel senso del processo di socializzazione della malattia e del significato dell’esperienza individuale mediata dalle relazioni sociali e dal contesto culturale in cui è “immerso” il paziente.
Tant’è che gli antropologi, a proposito
della difficoltà di riconoscere la cultura in cui si è immersi, parlano di
“paradosso antropologico”.
Da un lato, crediamo che nessuno ci conosca meglio di noi stessi. Dall’altro, ci rendiamo conto che la cosa più difficile da arrivare a conoscere è la nostra cultura, ossia riuscire a giudicare criticamente e obiettivamente la natura soggettiva delle nostre pratiche. Questa difficoltà dà ragione del perché la cultura, per molti, rimanga un concetto vago[4].
Nella pratica la competenza culturale si concretizza nel colloquio anamnestico focalizzato sui ME spesso taciti, sulle percezioni di malessere e sull’idea di benessere, sia dei pazienti sia di chi fornisce assistenza, per colmare le eventuali distanze culturali come primo passo al fine di stabilire un terreno comune, non solo con i pazienti provenienti da altri contesti antropologici ma anche con gli “autoctoni”.
Nel dialogo anamnestico quotidiano la competenza culturale viene arricchita della dimensione narrativa della relazione e dell’analisi dei ME, intesa come
La competenza
culturale[10]
|
Il disallineamento dei modelli esplicativi è il nodo problematico di matrice culturale[14] che caratterizza la cronicità e spiega le difficoltà che incontrano medici e pazienti nel percorso di cura, in particolare per due problemi: le attese di efficacia dei pazienti che fanno riferimento al modello della malattia acuta e la compliance alle terapie e alle indicazioni comportamentali.
La discrasia tra ME “profani” e quelli elaborati dal sapere medico ufficiale risulta evidente quando ci si confronta con concezioni culturali “altre”, come quelle delle popolazioni migranti che approdano in Europa con il proprio bagaglio di presupposti culturali impliciti su salute/malattia - come la concezione animistica, religiosa, magica o popolare – che si contamina con la cultura locale e il modello biomedico[15]; viceversa quando si incontrano medico e assistito accomunati dalla stessa cultura la dissonanza resta tacita e sotto traccia, ma può essere rilevante. Come sottolinea Kleinman
- [1] AAVV,
The Lancet Commissions: cultura e salute (versione italiana). Edizione
originale: “Culture and Health” (The Lancet Commissions). The Lancet.
Volume 384, November 1, 2014: 1607-1639.
- [2]Kleinman in Quaranta I. (a cura di) Antropologia medica. I testi fondamentali, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2005
- [3] AAVV,
The Lancet Commissions: cultura e salute (versione italiana) p. 4. Edizione
originale: “Culture and Health”. The Lancet. Volume 384, November 1,
2014: 1607-1639.
- [5]
Kleinman in Quaranta I. (a cura di)
Antropologia medica. I testi fondamentali, Raffaello Cortina Editore,
Milano, 2005 , p.15
- [6] Young in Quaranta I. (a cura di)
Antropologia medica. I testi fondamentali, Raffaello Cortina Editore,
Milano, 2005, p.125.
- [7] Kleinman in Quaranta I. (a cura di) Antropologia medica. I testi fondamentali, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2005, p. 12-13.
- [8] AAVV,
The Lancet Commissions: cultura e salute (versione italiana), pag. 9. (Edizione
originale: The Lancet. Volume 384, November 1, 2014).
- [9] Istituto Superiore di Sanità (2014) Linee di indirizzo per l’utilizzo della Medicina Narrativa in ambito clinico assistenziale; consultabile al sito: https://www.medicinanarrativa.network/wp-content/uploads/2021/03/Quaderno_n._7_02_CONSENSUS-CONF-FINALE_compressed.pdf
- [10] AAVV, The Lancet Commissions: cultura e salute (versione italiana), pag. 9. (Edizione originale: The Lancet. Volume 384, November 1, 2014: 1607-1639).
- [11] Corbellini G. (2014) Storia e teorie della salute e della malattia, Carocci Editore, Roma, p. 195
- [12] Astori P. e coll (2003) Vorrei fare tutti gli esami, Ricerca & Pratica, n.114/2003
- [13] Shorter E. (1986) La tormentata storia del rapporto medico-paziente, Feltrinelli, Milano
- [14] Pizza G. (2005) Antropologia
medica, Carocci, Roma
- [15]L’antropologo Kleinman riferisce il seguente aneddoto. “Un pediatra californiano chiede a un antropologo medico di fornire una consulenza per la cura di un uomo messicano sieropositivo. La moglie dell'uomo è morta di AIDS un anno fa. L'uomo ha un figlio di quattro anni sieropositivo, ma non lo porta regolarmente in clinica per le cure. La spiegazione fornita dai medici presupponeva che il problema dipendesse da una comprensione culturale radicalmente diversa. Ciò che l'antropologo ha scoperto, tuttavia, è stato il contrario. Quest'uomo aveva una comprensione quasi completa dell'HIV/AIDS e del suo trattamento, in gran parte grazie al supporto di un'organizzazione no-profit locale volta a supportare i pazienti messicano-americani affetti da HIV. Tuttavia, era un autista di autobus con uno stipendio molto basso, che lavorava spesso a turni notturni, e non aveva tempo di portare suo figlio in clinica per ricevere le cure con la regolarità richiesta dai medici. La sua mancata presenza non era dovuta a differenze culturali, ma piuttosto alla sua situazione socioeconomica pratica. Parlare con lui e tenere conto del suo "mondo locale" è stato più utile che postulare convinzioni sanitarie messicane radicalmente diverse. (Kleinman A, Benson PA, Anthropology in the Clinic: The Problem of Cultural Competency and How to Fix It, PLoS Med - 2006 Oct 24).
- [16]
Kleinman in Quaranta I. (a
cura di) Antropologia medica. I testi fondamentali, Raffaello Cortina
Editore, Milano, 2005, p. 13.
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