La proposta di legge delle regioni sulla riforma della medicina del territorio - anticipata il 12 maggio da laRepubblica - non analizza in dettaglio i problemi connessi all'assunzione come dipendenti degli oltre 60mila convenzionati dell'assistenza primaria, ovvero MMG, MCA, PLS, medici dei servizi e infermieri di famiglia. Le difficoltà che si frappongono alla realizzazione di questo progetto non sono poche ne' facilmente superabili, a partire dalle pari condizioni di trattamento da estendere all'intero comparto dei professionisti convenzionati.
Ad esempio se tutti i medici di AP dovessero optare subito per la dipendenza anche i restanti 30mila professionisti sanitari, tra medici specialisti e non medici, potrebbero rivendicare lo stesso inquadramento.
Nel settembre 2021 il documento regionale sulla riforma della medicina territoriale sottolineava la necessità di un "valutazione di impatto economico/finanziario e in termini di personale di supporto (infermieri, personale amministrativo) per l’ipotesi del passaggio alla dipendenza", e stabiliva come "data ideale l' 1.1.2022" per l'accesso dei futuri dipendenti o in forza di un nuovo ACN, "anche per coerenza con il decreto su riorganizzazione assistenza territoriale del PNRR". Ebbene, nelle anticipazioni sulla bozza di riforma proposta dalle regioni non vi sono indicazioni di questo tipo.
Com' è possibile che l'ipotesi del passaggio alla dipendenza di oltre 100 mila professionisti convenzionati - tra medici generalisti, pediatri e specialisti ambulatoriali, veterinari, chimici, fisici, biologi, psicologi ed infermieri - non sia ancora stato oggetto di una dettagliata Analisi di Impatto della Regolazione (AIR), come dispone la legge, per valutarne le conseguenze giuridiche, sociali ed economico-finanziarie sui bilanci regionali? In sostanza, di quanto aumenterebbe la spesa per l'assistenza territoriale a convenzione (medici di AP, pediatri e specialisti ambulatoriali) tenendo conto che in un decennio è diminuita dal 6,2% nel 2012 al 5,2% nel 2023?
Il documento regionale del 2021 enumerava le criticità della transizione alla dipendenza, vale a dire: fornitura di ambienti e strumentazione, personale di segreteria per i futuri 70mila medici dipendenti, valutazione dell'aumento degli organici della PA, tutela malattia, infortunio, ferie, maternità, congedi, organici per il ricambio generazionale, aspetti assicurativi e previdenziali legati all'assetto dell'ENPAM, costi fissi per utenze, strumenti professionali, hardware e software, tecnici per la manutenzione etc.. Senza contare le migliaia di amministrativi, specialisti ambulatoriali, infermieri, igienisti e coordinatori distrettuali necessari per far funzionare Case e Ospedali di Comunità, Distretti sanitari e COT. Ad esempio in ogni distretto e CdC dovranno essere organizzati appositi CUP per la gestione delle agende degli appuntamenti dei MMG e dei pediatri dipendenti e autorimesse per le vetture destinate alle visite domiciliari.
Un effetto immediato del passaggio alla dipendenza sarebbe il licenziamento delle decine di migliaia di collaboratori di studio, tra infermieri e segretari, attualmente assunti dai MMG e non contrattualizzati con il SSN, che andranno ad ingrossare le fila dei disoccupati. Per non parlare dei presupposti legislativi e normativi di un cambiamento epocale come l'assunzione di 100 mila nuovi dipendenti statali. Nel documento delle regioni del 2021 si accennava solo alla necessità di modificare alcuni commi della Balduzzi, senza tener conto di tutti gli atti legislativi o normativi, ministeriali, regionali e amministrativi aziendali stratificati nei decenni per la gestione della medicina convenzionata territoriale.
Il problema logistico non è meno rilevante: dove verranno sistemati i futuri MMG dipendenti che sostituiranno via via i colleghi andati progressivamente in quiescienza nei prossimi anni? Secondo gli attuali standard edilizi il migliaio di CdC previste dal DM77 potrà ospitare circa 1/4 dei 70mila convenzionati. Forse in alcune zone l'operazione sarà possibile, come nelle regioni dove è attiva una fitta rete di strutture - ovvero l'Emilia Romagna, Toscana e Veneto - mentre in altre mancheranno i locali, le attrezzature, le auto etc.. per sistemare almeno 20mila convenzionati, senza considerare il problema della distribuzione capillare degli studi di prossimità nelle aree interne con popolazione sparsa, non coperte dalle CdC hub, e già ora in via di desertificazione sociosanitaria.
La proposta di legge regionale opta per un graduale inserimento nei ranghi del SSN dei neo MMG dipendenti, formati a partire dai prossimi anni dalla neo-specialità quadriennale in MG ad integrazione del CFSMG, in parallelo ad ACN ad esaurimento per chi decidesse di restare convenzionato.
Non si deve ritenere che questa soluzione incrementale sia agevole e priva di ostacoli pratici a partire dal numero dei neo dipendenti e dai tempi necessari per la formazione dei futuri specialisti in sostituzione dei pensionandi. Solo i corsisti "specializzati" al termine del futuro Corso ristrutturato potranno entrare in servizio come dipendenti, sebbene verranno assunti fin dal primo anno. Tuttavia negli ultimi 3 anni il ricambio generazionale si è inceppato per il gap tra numero di borse disponibili e candidati al Corso Regionale, regolarmente insufficienti a coprire tutti i posti vacanti. Insomma la fase di transizione tra un regime e l'altro sarà lunga, complicata e a rischio di effetti inattesi.
C'è un passaggio del documento del 2021 che evidenziava la criticità del ricambio generazionale "sulla base delle esigenze legate alla demografia professionale e dello stato di evoluzione già realizzato nelle diverse regioni". Secondo i dati GIMBE ad oggi mancano 5.500 generalisti, il 52% è sovraccarico di pazienti oltre il massimale e 7.300 andranno in pensione entro il 2027, mentre il 15% circa delle borse non vengono assegnate (percentuale superiore o vicina al 50% nelle Marche, Molise, Provincia di Bolzano, Lombardia, Liguria e Veneto) e gli abbandoni durante il percorso formativo riguardano il 20% circa degli iscritti. Ma il dato più preoccupante è quello dei posti programmati nei prossimi 3 anni al Corso regionale che, sulla base degli ultimi dati, dovrebbero aggirarsi attorno a 6mila, vale a dire già in partenza il 20% meno del fabbisogno previsto.
Come si vede i problemi non mancano ed è improbabile che una transizione così complessa e gravida di incertezze possa essere portata a termine in pochi anni, ammesso che la legge venga varata entro il termine del PNRR. Ogni volta che si rompe un equilibrio sistemico per sostituirlo con uno più "avanzato" si deve mettere in conto un periodo di transizione più o meno turbolenta, incerta e a rischio di effetti collaterali e talvolta anche contro-intuitivi, come ondate di pensionamenti anticipati o ulteriore crisi vocazionale della partecipazione al Corso di specializzazione.
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