lunedì 20 giugno 2022

PON GOV cronicità: il dimesionamento dei servizi in rapporto alle risorse del sistema (capacity produttiva)

Il documento PON GOV Cronicità aggiorna alcune parti del Piano Nazionale della Cronicità in relazione alle novità introdotte con il PNRR per quanto riguarda la gestione del cronici sul territorio con il supporto dell'ICT. L'argomento viene approfondito nel capitolo 5, dedicato agli strumenti di gestione come PDTA/PAI, e ripreso nel capitolo 9 che propone la valutazione delle risorse necessarie per la cura dei pazienti, in termini di frequenza delle visite e monte ore dedicato alle quattro coorti di assistiti così classificati:

Mono patologici : 19% della popolazione residente;
Pluripatologici: 21% della popolazione residente;
Long Term Care : 5% della popolazione residente (sottoinsieme del cluster pluripatologico);
Fine Vita: 1% della popolazione residente.

Il documento ipotizza che MMG, infermieri e medici specialisti dedichino 120 ore al mese ai pazienti cronici, come indicato da un panel di esperti delle cure primarie, tenendo conto della dotazione di personale esistente nel 2018 Emilia-Romagna e in rapporto ad un bacino medio di 60.000 cittadini.

Il modello considera diversi parametri per il fabbisogno orario necessario per la PiC dei diversi cluster, moltiplicando frequenze delle visite/prestazioni con la loro durata e con la numerosità di pazienti presenti in ogni cluster, per verificare la fattibilità della PiC. Il documento propone tre scenari rispetto all’obiettivo dell’equilibrio tra obiettivi gestionali e risorse organizzative disponibili, nell’ottica di definire ipotesi alternative di priorità per la presa in carico. 

Di seguito sono illustrarti tre scenari relativi solo all’impegno dei MMG, tralasciando il contributo degli specialisti e degli infermieri.

1) Il primo scenario propone una intensità assistenziale “standard”, ovvero ottimizzata per cluster di pazienti, sia in termini di frequenza sia di durata delle visite del MMG

·       una visita una volta ogni due mesi ad un paziente mono patologico,

·       una visita al mese ad un paziente pluri patologico,

·      due visite al mese ad un paziente long term care e una visita alla settimana ad un paziente in fine vita,

·    si prevede una durata delle visite ai pazienti mono patologici e pluri patologici di 15 minuti e di 1 ora per le altre due categorie, considerando anche gli spostamenti da/per il domicilio,

Con questa ipotesi le attuali risorse di MMG della regione ER, a cui fa riferimento il modello, coprirebbero solo il 43% del fabbisogno necessario alla gestione dei 3 cluster.

 2) Il secondo scenario considera risorse di personale fisse e non aumentabili, calcolando di quanto bisogna ridurre l’intensità assistenziale per raggiungere una presa in carico diffusa, con standard assistenziali ridotti, così articolati nel caso del MMG,

·       per i mono patologici le visite mensili diminuirebbero del 68%, passando da una volta ogni due mesi ad una volta ogni sei mesi,

·       i pluri patologici verrebbero visitati il 67% in meno rispetto al modello standard, ovvero una volta ogni tre mesi invece che mensili,

·       nei pazienti long term care e in fine vita la frequenza delle visite verrebbe ridotta della metà (una volta al mese per i long term care e due volte al mese per i pazienti in fine vita).

Per garantire assistenza a tutti i pazienti, in base alla dotazione di personale rilevata in ER, i MMG dovrebbero diminuire la frequenza di viste del 59% in media, con il picco del 68% per i mono patologici.

3) Il terzo scenario invece recupera l’intensità assistenziale standard del primo modello ma ricostruisce l’equilibrio tra prevalenza delle patologie e risorse disponibili riducendo in varia misura le percentuali di pazienti presi in carico, a vantaggio del gruppo fine vita

·       per il MMG il numero dei pazienti viene ridotto in media del 54%,

·      i mono patologici in un bacino di 60.000 persone scenderebbe da 11.400 a 5.500 (-52%),

·        i pluri patologici diminuirebbero di 5.400 unità (-57%),

·       i non autosufficienti si ridurrebbero del 63%, passando da 2.700 a 1.000,

·       i pazienti in fine vita diminuirebbero del 44%, passando da 550 a 280 unità.

Certamente il contributo degli infermieri potrà sopperire al deficit di MMG, come si afferma nel documento ipotizzando in futuro uno skill mix change tra medici e infermieri che sposti almeno il 33% delle attività a favore dei cronici da figure cliniche ad altre professioni sanitarie, anche grazie ad un differenziale di costo di 2,5 per operatore (il costo del lavoro di un medico equivale al costo di 2,5 infermiere).  

Invece il contributo di 120 ore degli specialisti ambulatoriali ed ospedalieri appare piuttosto aleatorio, visto il diffuso deficit di professionisti dedicati al territorio, mentre il controllo dell'aderenze alle terapie può essere svolta dalle farmacie di servizio, coordinate dalla Casa della Comunità. Per quanto il documento ammetta che 

  • l’ipotesi di 120 ore mese effettive di tempo dedicate alle visite per tutte i professionisti sia generosa 
  • e che la capacity di riferimento dell'ER sia distante dalla media nazionale, soprattutto nelle regioni in piano di rientro.

è comunque difficile pensare che una delle tre ipotesi si possa applicare in tutti i contesti regionali, specie nelle zone disagiate o nelle grandi aree metropolitane a maggiore densità abitativa.

COMMENTO

L’aspetto più critico è la previsione di 120 ore mensili dedicate all’assistenza dei pazienti cronici quando secondo l’attuale ACN, integrato dall’AIR, un massimalista è tenuto ad un orario di studio settimana di 15-20 ore, nelle quali oltre ad assistere i pazienti cronici deve far fronte a tutte le altre patologie acute, alla ripetizione delle prescrizioni, alle certificazioni INPS e INAIL e a tutta l’attività di tipo burocratico che occupa buona parte dell’attività ambulatoriale (si pensi solo alla pandemia o ai mesi della normale epidemia influenzale).

E’ improbabile che nel panel di esperti che ha elaborato gli scenari proposti nel documento fossero presenti dei medici pratici o semplicemente responsabili dell’assistenza primaria con un minimo di esperienza sul campo in MG. Anche ipotizzando che l’incremento orario previsto dalla proposta di ACN ibrido, ovvero a ciclo di scelta più debito orario da svolgersi nelle CdC, sia completamente dedicato alla gestione della cronicità un MMG medio non sarebbe in grado di garantire gli obiettivi ipotizzati nella seconda ipotesi.

A questo proposito i tempi previsti nello scenario “standard” sono del tutto irrealistici, lontani dalle pratiche e dall’attuale assetto organizzativo delle cure primarie e con consistenti rischi di medicalizzazione e patologizzazione dei soggetti con monopatologia, che in maggioranza sono portatori di un fattore di rischio senza veri e propri danni a livello degli organi “bersaglio” dell’ipertensione arteriosa e/o dell’iperglicemia/dislipidemia. Basti pensare al tempo necessario per la redazione e l'aggiornamento del PAI sulle piattaforme telematiche in caso di semplice fattore di rischio isolato, in parallelo alla gestione dei dati con software di studio, che senza l'interoperatività tra i sistemi informativi comporta inutili duplicazioni di procedure con utilizzo inappropriato della risorsa tempo.  Inoltre mancano riferimenti alla stratificazione del rischio CCV per poter individuare in ogni cluster soggetti ad alto rischio, indipendentemente dal numero di patologie codificate.

Anche lo scenario più vicino alla realtà non tiene conto che nel prossimo triennio si aggraverà il deficit di MMG in attività, per il combinato disposto dei pensionamenti anticipati dei medici in età di quiescenza e dell’insufficiente ricambio generazionale garantito dalle borse di studio del CFSMG. Per queste motivazioni un mix tra il secondo e il terzo scenario appare la soluzione più realistica e appropriata rispetto alle attuali condizioni normative e contrattuali della MG e del territorio in generale. Nell'elaborazione delle tre ipotesi sono stati considerati solo 2 parametri, vale a dire la frequenza delle visite e la loro durata media; a queste variabili andrebbe affiancato anche lo strumento di gestione clinico-assistenziale, cioè il PDTA piuttosto che il PAI. 

Un appropriato mix tra questi due potrebbe migliorare ulteriormente l'equilibrio tra universalità della PiC e intensità assistenziale ad personam, nel senso dell'applicazione del PDTA per i pazienti a basso rischio, sia mono che polipatologici, e della redazione del PAI per quelli ad alto rischio e/o fragili o a fine vita. A fare la differenza non sono solo il numero e la durata delle visite ma anche il differenziale di procedure richiesto dal PAI rispetto ai PDTA.

Infine non vanno trascurati

  1. i risvolti etico-deontologici del terzo scenario, correlati alla selezione dei pazienti da arruolare a scapito degli esclusi e 
  2. i potenziali conflitti inter-professionali nell'ipotesi di skill mix change tra medici e infermieri.

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