mercoledì 25 ottobre 2017

Non sempre le aspettative verso la tecnologia diagnostica sono realistiche ed appropriate, specie per lo screening dei tumori

In poche ore ha raccolto oltre 40000 adesioni una petizione, apparsa in rete su un sito dedicato ad appelli pubblici, rivolta alla ministra della salute per “introdurre una PET preventiva ogni tot anni” con l'obiettivo di una diagnosi precoce dei tumori (https://tinyurl.com/y7j2wdzk ).

L’appello si riferisce, con toni sofferti ed emotivi, ad una dolorosa vicenda familiare che in quanto tale va rispettata e compresa, ma nel contempo richiede alcune doverose precisazioni “tecniche” per non ingenerare speranze ed aspettative poco realistiche se non controproducenti, rispetto agli intenti dell’iniziativa e dei firmatari.

I nuovi casi di tumore non sono, a differenza di quanto si legge nell’appello, “un'epidemia, più frequente dell'influenza”, ma assai meno numerosi rispetto alle comuni sindromi influenzali; ad esempio un medico di famiglia con 1500 assistiti diagnostica in media 1-2 forme tumorali al mese, mentre le virosi respiratori sono di riscontro quotidiano e durante il periodo invernale possono arrivare a decine di casi al giorno.

Gli esami di screening per la diagnosi precoce sono rivolti a specifiche forme tumorali e solo ad alcune fasce di assistiti, ad esempio la mammografia biennale nelle donne dopo i 45 anni o il sangue occulto nelle feci a tutti gli ultra 50enni. Inoltre il test di screening deve avere alcune caratteristiche per essere adottato ed applicato all’intera popolazione: sicuro, accettabile, in grado di modificare il decorso della malattia, affidabilità diagnostica, semplicità di esecuzione ed interpretazione, ampia diffusione sul territorio (laboratori e radiologie), organizzazione appropriata e costi contenuti etc..

Ad esempio da anni si discute sull’opportunità di eseguire il test del PSA, un semplice esame del sangue, tra i maschi ulta50enni per diagnosticare precocemente il tumore della prostata. Ad oggi mancano ancora ricerche svolte su vaste popolazioni che dimostrino la validità di questo semplice esame nella diagnosi e soprattutto per la riduzione della mortalità del tumore alla prostata.

La PET non è un esame di primo livello nella diagnostica tumori, non è rivolto ad una specifica forma oncologica e per giunta esistono diverse tipologie di tomoscintigrafia ad emissione di positroni, da quella mirata al singolo organo a quella per tutto il corpo. Inoltre è presente solo in ospedali di grandi dimensioni, comporta una dose considerevole di radiazioni e qualche rischio di effetti collaterali; si tratta di un esame complesso che richiede non poco tempo, un’organizzazione adeguata e costosa. In base a queste ed altre considerazioni, di ordine generale e tecnico, è assai improbabile che la PET possa essere proposta come esame di screening per i tumori in genere e soprattutto su vasta scala. Buone prospettive invece sono riposte nella cosiddetta biopsia liquida, ovvero il dosaggio di alcuni sostanze prodotte dal tumore e presenti nel sangue circolante.

La petizione a favore dell’uso della PET per la diagnosi oncologica precoce è la spia di due tendenze divergenti: da un lato una grande fiducia nella tecnologia biomedica che genera esorbitanti aspettative (attese analoghe si erano diffuse con l’entrata in funzione della risonanza e prima ancora con la TAC, senza considerare che ogni nuova tecnologia diagnostica ha indicazioni proprie, limiti di efficacia, rischi e controindicazioni) e nel contempo un’aspra critica nei confronti delle strutture sanitarie responsabili di presunta negligenza diagnostica; la proposta rientra nella tendenza sociale alla cosiddetta disintermediazione, per cui ci si rivolge direttamente alla ministra per scarsa fiducia nei confronti dei professionisti, gli stessi che dovrebbero eseguire ed interpretare l’esame in cui si ripone un’acritica ed esorbitante fiducia.

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