lunedì 29 aprile 2019

Accesso alla convenzione: quale specificità del corso di formazione per la MG?

Cosa rende specifico il corso di formazione in MG? La questione è tornata d’attualità, suscitando un acceso dibattito in rete, da quando è stata approvata la norma che rende possibile l’accesso alla convenzione agli iscritti al corso di Corso di Formazione Specifica in Medicina Generale (CSFMG) fin dal primo anno, in caso di zone carenti o incarichi di CA rimasti vacanti per assenza di pretendenti tra i medici in possesso del diploma. ( https://curprim.blogspot.com/2019/04/accesso-alla-convenzione-degli-iscritti.html ). La questione è annosa ed attiene allo statuto “specialistico” della medicina generale, rivendicato da tempo come chiave di volta per promuovere l’immagine e la professionalità dei medici del territorio.

L'equivoco sta in una formazione definita “specifica” che in realtà si riferisce ad una professione che non ha nulla di specifico, nella connotazione semantica che accomuna specifico a "specialistico"; la medicina del territorio è per definizione non-specialistica, a-specifica/generale, mentre il resto del mondo ha imboccato la strada delle super-ultra-specializzazioni sempre più parcellari, riduzionistiche e segmentate, salvo poi esaltare la multidisciplinarietà e la personalizzazione. In questo quadro un medico “specialista in generalità” è un palese ossimoro, un paradosso identitario, se si hanno come riferimento organi, apparati, tecnologie o funzioni “specifiche”. In che modo può essere specifico un corso di formazione per una professione (ontologicamente) generalista, ovvero a-specifica?

La formazione professionalizzante si concretizza in una progressiva sedimentazione di competi e abilità operative nel contesto sociale della cosiddetta partecipazione periferica legittimata alla comunità di riferimento, a partire dai compiti più semplici e parcellari per terminare con lacquisizione di quelli più impegnativi e qualificanti. Per tutte le specializzazioni la formazione si configura com un percorso, più o meno lungo, di progressiva e informale adesione alla comunità, che sfocia nella dichiarazione formale di appartenenza sancita dal diploma. Per lo specialista ospedaliero il percorso è più strutturato e codificato, per via della specificità d'organo o di apparato del contesto formativo. Diverso è il caso del CFSMG proprio per quel deficit di "specificità" a cui si è accennato.

Le nozioni e le abilità di base del MMG in formazione sono date per scontate al termine primo anno del CFSMG, centrato sui tirocini ospedalieri, che spesso si sommano ad esperienze di CA o di sostituzioni in MG accumulate dai corsisti più avanti negli anni: mancano quelle relazionali e decisionali legate al contesto epidemiologico ed organizzativo, che si possono affinare solo con l’esperienza sul campo, in una sorta di "alternanza formazione-lavoro" e soprattutto con la contestualizzazione della teoria alla pratica. Il salto di qualità identitario del CFSMG si ha al II° anno con il tirocinio semestrale in MG, vera palestra formativa in cui si affinano le soft skill professionali.

Non mi scandalizza quindi che un medico in formazione al secondo o al terzo anno del CFSMG possa già iniziare la sua attività professionale in autonomia, visto che le basi teoriche sono già state acquisite: infatti i tirocinanti del CFSMG si lamentano del fatto di ripetere per l'ennesima volta nella loro carriera seminari su diabete, ipertensione etc... (si veda il PS). La MG si insegna/impara facendo ed assai meno nelle aule dove si può acquisire una cornice teorica, esperienze di simulazione e/o di confronto sui casi in piccolo gruppo. Se poi i seminari vengono tenuti in forma di lezioni frontali da specialisti privi di esperienza pratica sul territorio il dubbio sulla loro utilità è legittimo.

Quella in MG è una formazione SITUATA, TACITA ed ESPERIENZIALE, che ha senso e valore se si concretizza nel learning by doing del tirocinio, cioè nell’utilizzo degli strumenti che mediano relazioni e decisioni, in primis la cartella informatizzata, le regole esplicite e implicite, vincoli normativi e risorse organizzative, caratteristiche socio-demografiche del setting, confronto con i modelli esplicativi di matrice culturale etc... Certo, l’accesso alla convenzione già al primo anno è una forzatura e probabilmente sarà una rara eccezione: ma dopo il tirocinio semestrale del II° anno e ovviamente dopo quello del terzo mi sembrerebbe naturale, perchè la svolta formativa si ha proprio con i full immersion della formazione sul campo guidata dal tutor. La soluzione del problema formativo non sta nei due o tre anni di CFSMG ma nel post, nel senso che lapprendimento non si esaurisce nel triennio di frequenza ma dovrebbe continuare con adeguati strumenti di richiamo e di riflessione, che purtroppo mancano nell’ECM, ridotta alla scontata lezione frontale in grande gruppo di dubbia utilità.

Se queste premesse sono valide la "specialità" del generalista si concretizza in due tratti distintivi, necessari e sufficienti: in pratiche SITUATE nel contesto professionale e nel riferimento alla persona nella sua interezza olistica. La “specificità” della MG è correlata alle interazioni con l’ambiente, alle relazioni con la comunità professionale, all’ecologia sociale e familiare e si acquisisce con l’esperienza del tirocinio, non nello spazio d’aula in modo astratto e acontestuale. Insomma la MG è una specialità sui generis, ovvero non di organi/apparati o tecniche ma di un sapere pratico che dipende “dall’intero sistema ambientale composto di fattori fisici (materiali) e sociali” nel quale “vengono portate a temine azioni nell’ambito della specifica situazione, utilizzando le caratteristiche materiali e sociali del contesto dell’azione”*.

* Parolin Lucia Laura, Tecnologia e sapere pratico nella società della conoscenza. Il caso della telemedicina. Franco Angeli, Milano, 2011.

P.S. Gli obiettivi educativi di un corso per MMG sono correlati al contesto formativo ambulatoriale, alla relazione tutoriale e schematizzabili in quattro dimensioni, in ordine di importanza e di impegno crescente per i partecipanti:
  •         Sapere: sul piano cognitivo e nozionistico talvolta durante il tirocinio si invertono i ruoli, nel senso che il tutor ha l’opportunità per imparare dal collega tirocinante fresco di laurea e di studi specialistici, in particolare riguardo ai più recenti contributi della ricerca biomedica e specialistica
  •         Saper fare: è l’occasione per il tirocinante per acquisire soprattutto abilità e competenze nella semeiotica fisica, che è stata ridimensionate nella formazione di base per il ruolo prevalente della tecnologia diagnostica
  •         Saper essere: la dimensione comunicativa e relazionale è certamente quella più trascurata nella formazione curricolare, specie per la specificità e le caratteristiche del contesto territoriale nella gestione del rapporto medico-paziente
  •     Compiti e sapere “metodologico”: si tratta della competenza pratica in cui si fondono i precedenti saperi durante la consultazione ambulatoriale o domiciliare, nel senso dell’elaborazione delle informazioni per il problem solving e il ragionamento diagnostico, della valutazione prognostica e del rischio, della presa di decisione appropriata, della negoziazione e pianificazione condivisa del percorso di cura etc, tenuto conto dei limiti tecnologici e dei vincoli normativi della medicina extra-ospedaliera.
Per “insegnare” e acquisire le ultime due competenze è rilevante la dimensione tacita, “qualitativa”, informale ed esperienziale della formazione, vale a dire l’apprendimento “sul campo” dell’approccio per problemi all’interno della relazione medico-paziente; conta più la riflessione nel corso dell’azione e a posteriori della decisione che non l’applicazione “automatica” di schemi e di indicazioni tecniche tratte da protocolli, linee guida, percorsi diagnostico-terapeutici etc.. 

La formazione efficace dei futuri MMG, in parallelo ai momenti teorici seminariali, non può che essere “situata” nell’esperienza ambulatoriale, centrata sul sapere/apprendimento pratico e calata nella relazionale e tre della consultazione.

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