Certo era fondamentale evitare un eccessivo afflusso verso i
PS, ma con quale organizzazione territoriale e con quali risorse alternative al
nosocomio? Serviva un’organizzazione della medicina territoriale pronta ad applicare la strategia delle T per evitare che l'emergenza travolgesse anche la più solida organizzazione ospedaliera. Se non che il territorio, in particolare quello lombardo
all’epicentro dell’epidemia, è stato abbandonato da anni e i MMG lasciati soli
di fronte all’emergenza.
Le restrizioni iniziali sui tamponi erano comprensibili per
la sproporzione tra una “domanda” inattesa e la scarsa disponibilità di test e
laboratori accreditati ed attrezzati. Ora invece siamo nella situazione
opposta: abbiamo molti laboratori attivi e buona disponibilità di test, anche
sierologici, a fronte di un’incidenza in continuo calo. Ma ancora non è possibile
richiedere tamponi se non per il rientro in azienda dei lavoratori dipendenti che
hanno avuto sintomi simil-influenzali e, oltre tutto, con procedure rigide e
farraginose. Nella fase 2 vengono quindi esclusi sia coloro
che non devono rientrare al lavoro - dai disoccupati ai nonni alle prese con la
custodia dei nipoti, dalle casalinghe ai libero-professionisti - sia chi non ha
avuto sintomi influenzali tipici, dalla semplice anosmia ai disturbi
gastroenterici. Se poi dovesse ripartire l'epidemia come sarà possibile "attivare" la prima T, che mette in moto le altre due in presenza di nuovi casi sospetti, se sul territorio non si possono fare i tamponi?
Anche nel caso dei tamponi per la guarigione prevalgono criteri
e protocolli rigidi che non si adattano alla varietà delle situazioni cliniche
osservate sul territorio, riconducibili ad infezioni paucisintomatiche da Covid-19.
Perché non consentire anche ai laboratori privati di offrire al pubblico test per i pazienti che vogliono conoscere la propria
situazione, per tutelare se e i propri familiari? Cosa lo impedisce, dopo la validazione
nazionale del test sierologico e la fornitura ufficiale dei reagenti da parte dell'azienda che ha vinto la gara nazionale? Fino ad ora tutto è rimasto fermo ma gradualmente si stanno
aprendo nuove opportunità anche nel settore privato.
Il tampone può avere tre finalità che hanno tempi, modalità
di esecuzione e significati diversificati
- diagnosi
all’esordio della sintomatologia, specie nei casi paucisintomatici, per un’appropriata
gestione clinica domiciliare
- conferma
della guarigione dopo la remissione dei sintomi o la dimissione, per il
ritorno alle normali attività
- screening
per individuare i portatori sani da isolare per prevenire la diffusione
del contagio, in particolare negli ambienti sanitari e socioassistenziali.
Sensibilità, specificità e interpretazione del test hanno significati variabili
in relazione ai diversi momenti, contesti clinici ed obiettivi pratici. Ad
esempio un tampone negativo in presenza di una diagnosi di polmonite
interstiziale con insufficienza respiratoria verrà tranquillamente trascurato e
verranno attuate tutte le terapie come se fosse un caso di Covid-19. Al
contrario quando si tratta di verificare la guarigione la relativa frequenza
dei falsi negativi consiglia di eseguire di routine un secondo tampone per
minimizzare il rischio del falso negativo, che con 2 tamponi passa dal 33% al
13% circa.
Paradossalmente l’innocua anosmia ha una specificità
diagnostica superiore rispetto alla ben più impegnativa polmonite! Quanti casi
di improvvisa anosmia osserva in un anno un MMG medio? Anche dal punto di vista
del calcolo probabilistico bayesiano l’anosmia fa fare un salto di qualità al
processo diagnostico superiore a tutti gli altri segni/sintomi clinici e
giustifica di per se la quarantena. Peccato che non fosse inserita nei criteri
di sospetto diagnostico e nemmeno in quelli per l’esecuzione del tampone. E’ chiaro
che nella fase più acuta della pandemia bisognava privilegiare la diagnosi dei
casi di grave polmonite, ma a prezzo di non tracciare i contagi sul territorio
e quindi di favorire la diffusione del Covid-19.
Va detto che fronte a sintomi tanto insoliti quanto
specifici, come l’anosmia e l’ageusia, il tampone potrebbe essere addirittura superfluo
mentre, come già sottolineato, l’esito negativo del tampone in un soggetto
affetto da polmonite interstiziale bilaterale non esclude il Covid 19. Ben diverso è il caso della sindrome influenzale aspecifica,
numericamente prevalente sulle altre forme, in cui l’incertezza diagnostica
potrebbe essere risolta con la pronta esecuzione del tampone e il conseguente
isolamento dell’infetto. Nella fase 2 il tampone nasale farà la differenza: se
in futuro si vuole davvero intercettare nuovi casi e bloccare altri pericolosi focolai
sul nascere, evitando nel contempo che la gente finisca per rivolgersi ed infettare
il PS, si deve approntare un’organizzazione territoriale in grado di intervenire
prontamente al domicilio o in strutture ad hoc con il tampone diagnostico, come
a quanto pare accade in Germania. Le USCA dovrebbero svolgere il ruolo fondamentale di intercettare i nuovi casi ad attivare a cascata le altre due T.
E’ chiaro che astratti criteri diagnostici, specie se
dicotomici, di natura epidemiologia più che clinica non possono render conto della
sfaccettatura dei singoli casi. I dilemmi e la dialettica tra criteri e linee
guida definite a priori e la varietà della realtà clinica è il pane quotidiano
per i medici pratici, abituati alla conversazione riflessiva con la situazione
problematica e ad adattare la decisione alla varietà e variabilità degli eventi individuali.
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