Come ha rilevato il prof. Barbero, un tratto però accomuna
la guerra al Covid-19 agli eventi bellici veri e propri, perlomeno quelli che
si sono succeduti nell’ultimo secolo nell’area europea: entrambe le guerre
mondiali hanno avuto un carattere totale per le nazioni interessate, nel senso
di un coinvolgimento generalizzato della società civile, di effetti pervasivi per
tutte le classi e le attività sociali. Basta pensare a due conseguenze
socioeconomiche delle guerre mondiali: la necessità di riconversione
industriale per la cosiddetta economia di guerra e i cambiamenti sociali
indotti dall’assenza degli uomini impegnati al fronte, sostituiti dalle donne in tante
attività e mansioni. A differenza
dell’economia di guerra, che ha dato una spinta allo sviluppo del dopo guerra,
il Covid-19 ha comportato la paralisi immediata di tutte le attività non essenziali associate a relazioni vis à vis, assembramenti e riunioni, inibite dalla necessità di
imporre un distanziamento sociale anti-virale.
Tuttavia la pandemia di Covid-19, rispetto agli eventi
bellici, ha ulteriori due caratteristiche dirompenti: il fatto che sia
verificata e diffusa a livello planetario in tempi brevissimi, a causa della
globalizzazione, e che i suoi perversi effetti economici, sociali e politici si
prolungheranno verosimilmente per anni anche dopo che il suo declino epidemiologico
sarà compiuto nell’arco dei prossimi mesi, come tutti ci auguriamo. Per meglio
comprendere gli effetti della pandemia di Covid si può ricorrere utilmente al
concetto di esternalità dell’economia, in una duplice valenza negativa.
In un certo senso lo spillover del Covid, con il passaggio del virus dall'ambiente animale a quello umano, può essere considerato un’esternalità negativa dello
sviluppo economico planetario, un macro effetto perverso di un mercato selvaggio per via della globalizzazione neoliberista. In un altro senso la
diffusione planetaria dell’epidemia sarebbe una sorta di
esternalità negativa virale a danno dell’economia umana, nel senso di una
retroazione per contenere uno sviluppo globale inarrestabile e insostenibile
per l’ecologia planetaria.
Insomma, con una lettura forse troppo antropomorfa, prima la natura avrebbe subito le esternalità negative della
pressione economica ed antropica (inquinamento, distruzione delle foreste,
estensione degli ambienti urbani, esaurimento delle risorse naturali,
riscaldamento atmosferico, rottura egli equilibri ecologici etc..) e poi si
sarebbe rivoltata contro lo strapotere degli uomini facendo pagare loro il fio
con la pandemia abbattutasi sulle società umane; il Covid-19 avrebbe indotto una
speculare esternalità biologica negativa a livello economico per i suoi effetti recessivi dovuti al
blocco delle relazioni sociali, mediato dall’isolamento e dal distanziamento.
La pandemia ha avuto un ulteriore effetto collaterale e un contraccolpo culturale: quello sulla teoria e sull’ideologia economica. Per decenni il
dibattito economico e politico è stato dominato dal combinato disposto di tre
parole d’ordine, che a mo’ di slogan pubblicitari si sono imposte socialmente per i loro risvolti pratici
- La società non esiste, ovvero contano solo i rapporti economico-finanziari e di scambio sul libero mercato delle merci e dei capitali, rispetto alle relazioni sociali e alla cultura.
- Lo stato non è la soluzione ma il problema, ovvero la dimensione pubblica, in particolare lo stato sociale, è solo un intralcio per lo sviluppo del mercato e della turbofinanza
- TINA (There Is No Alternatives), ovvero non esistono alternative al dominio imperialista dell’idelogia neoliberista sulle altre sfere delle attività umane.
Ebbene il covid-19 in soli 2 mesi ha fatto piazza pulita dei
dogmi del neoliberismo che erano stati accreditati e giustificati per decenni
grazie alla retorica pubblica basata sulla convergenza delle tre N: il trionfo
del mercato era nel contempo un fatto naturale, nel senso che rispondeva
ad oggettive leggi di natura immutabili, normale, nel senso che era
socialmente accettato e culturalmente condiviso ed indiscusso, e di conseguenza
anche necessario, ovvero senza reali e credibili alternative pratiche.
Il Covid-19 ha fatto emergere le fondamenta sociali e
relazionali dell’economia che, venute meno con il distanziamento sociale, hanno
assestato un colpo micidiale agli scambi economici e alle logiche di mercato,
in barba alle affermazioni negazioniste della signora Tatcher. Per cui in
risposta alla pandemia è stata innestata una pronta retromarcia rispetto ai
principi liberisti, naturali e necessari, a base di dilatazione della spesa
statale e sostegno pubblico all’economia, prestiti incondizionati agli stati,
incremento della spesa sanitaria, aumento vertiginoso del deficit/debito
pubblico con sussidi al reddito e sovvenzioni a pioggia, derogando alle regole
comunitarie sul fiscal compact etc. (peraltro già violata in modo plateale dalle
norme vigenti nei paradisi fiscali comunitari). Insomma una vera e propria deregulation a favore dell'intervento statale, rispetto a quella ultra-liberista e anti-statale dell'epoca reaganiana, che ha il sapore di una svolta politica epocale se si analizzano i contenuti extra-finanziari dell'accordo franco-tedesco sul rilancio dell'UE.
In poche settimane si sono susseguite le deroghe alle regole comunitarie, ad esempio il divieto degli aiuti di stato alle imprese a favore dell'apertura dei rubinetti delle
sovvenzioni statali. Così lo stato, da principale freno per il dispiegarsi dell’economia di mercato, è diventato l’ancora di salvataggio per tutti gli operatori economici,
dal ristoratore alla FCA, che reclama per sè un sostegno pubblico miliardario. Nonostante le sue casse in perenne deficit lo stato, da principale problema per la società è diventato una risorsa
indispensabile per la sua illimitata capacità di stampare moneta, alla faccia
del rigore di bilancio.
Il Covid-19 ha assestato un ulteriore colpo ad un’altra
forma di mercato: la gestione della sanità ispirata al principio del quasi
mercato sanitario, che si è concretizzato in Lombardia in un modello di SSR
unico nel suo genere grazie ai principi del New Public
Management sanitario. Secondo la teoria del quasi mercato la salute è una
questione di preferenze individuali, di scelte personali nel grande supermarket
sanitario, in cui si incontrano domanda e offerta di ogni sorta di rimedi e
servizi, regolato dalla mano pubblica, che rinuncia all'offerta autonoma di servizi e prestazioni. Il quasi mercato sanitario lombardo ha
palesato negli ultimi anni i suoi limiti in due occasioni e in due forme
speculari:
- da un lato in positivo con il tentativo, andato a vuoto, di estendere al territorio la concorrenza verticale tra gestori (specialistici ospedalieri versus cooperative di MMG) per la presa in carico della cronicità e
- dall’altro in negativo, sul versante dell’acuzie, con l’abbandono del territorio perseguito da decenni in nome del disimpegno della sanità pubblica da ogni intervento diretto nell’erogazione di prestazioni sul quasi mercato territoriale.
Nessun commento:
Posta un commento