martedì 19 maggio 2020

Guerra al Covid-19 o ribellione della natura?

Molti hanno criticato il frequente ed eccessivo utilizzo di metafore tratte dal gergo bellico per rappresentare gli eventi correlati alla pandemia di Coronavirus in atto da 3 mesi. Di solito le motivazioni di queste critiche sottolineano come il rapporto tra gli umani e il mondo microbiologico deve essere più rispettoso, equilibrato ed ecologicamente sostenibile perchè una delle cause della pandemia è stato proprio lo scarso rispetto per gli equilibri naturali messi in crisi dall’invadenza delle società umane.

Come ha rilevato il prof. Barbero, un tratto però accomuna la guerra al Covid-19 agli eventi bellici veri e propri, perlomeno quelli che si sono succeduti nell’ultimo secolo nell’area europea: entrambe le guerre mondiali hanno avuto un carattere totale per le nazioni interessate, nel senso di un coinvolgimento generalizzato della società civile, di effetti pervasivi per tutte le classi e le attività sociali. Basta pensare a due conseguenze socioeconomiche delle guerre mondiali: la necessità di riconversione industriale per la cosiddetta economia di guerra e i cambiamenti sociali indotti dall’assenza degli uomini impegnati al fronte, sostituiti dalle donne in tante attività e mansioni.  A differenza dell’economia di guerra, che ha dato una spinta allo sviluppo del dopo guerra, il Covid-19 ha comportato la paralisi immediata di tutte le attività non essenziali associate a relazioni vis à vis, assembramenti e riunioni, inibite dalla necessità di imporre un distanziamento sociale anti-virale.

Tuttavia la pandemia di Covid-19, rispetto agli eventi bellici, ha ulteriori due caratteristiche dirompenti: il fatto che sia verificata e diffusa a livello planetario in tempi brevissimi, a causa della globalizzazione, e che i suoi perversi effetti economici, sociali e politici si prolungheranno verosimilmente per anni anche dopo che il suo declino epidemiologico sarà compiuto nell’arco dei prossimi mesi, come tutti ci auguriamo. Per meglio comprendere gli effetti della pandemia di Covid si può ricorrere utilmente al concetto di esternalità dell’economia, in una duplice valenza negativa.

In un certo senso lo spillover del Covid, con il passaggio del virus dall'ambiente animale a quello umano, può essere considerato un’esternalità negativa dello sviluppo economico planetario, un macro effetto perverso di un mercato selvaggio per via della globalizzazione neoliberista. In un altro senso la diffusione planetaria dell’epidemia sarebbe una sorta di esternalità negativa virale a danno dell’economia umana, nel senso di una retroazione per contenere uno sviluppo globale inarrestabile e insostenibile per l’ecologia planetaria. 

Insomma, con una lettura forse troppo antropomorfa, prima la natura avrebbe subito le esternalità negative della pressione economica ed antropica (inquinamento, distruzione delle foreste, estensione degli ambienti urbani, esaurimento delle risorse naturali, riscaldamento atmosferico, rottura egli equilibri ecologici etc..) e poi si sarebbe rivoltata contro lo strapotere degli uomini facendo pagare loro il fio con la pandemia abbattutasi sulle società umane; il Covid-19 avrebbe indotto una speculare esternalità biologica negativa a livello economico per i suoi effetti recessivi dovuti al blocco delle relazioni sociali, mediato dall’isolamento e dal distanziamento.

La pandemia ha avuto un ulteriore effetto collaterale e un contraccolpo culturale: quello sulla teoria e sull’ideologia economica. Per decenni il dibattito economico e politico è stato dominato dal combinato disposto di tre parole d’ordine, che a mo’ di slogan pubblicitari si sono imposte socialmente per i loro risvolti pratici
  •        La società non esiste, ovvero contano solo i rapporti economico-finanziari e di scambio sul libero mercato delle merci e dei capitali, rispetto alle relazioni sociali e alla cultura.
  •          Lo stato non è la soluzione ma il problema, ovvero la dimensione pubblica, in particolare lo stato sociale, è solo un intralcio per lo sviluppo del mercato e della turbofinanza
  •          TINA (There Is No Alternatives), ovvero non esistono alternative al dominio imperialista dell’idelogia neoliberista sulle altre sfere delle attività umane.
Questi tre dogmi erano tenuti assieme e supportati, sul piano metodologico e scientifico, dal modello antropologico dell’homo oeconomicus, ovvero dalla fusione tra teoria dell’utilità attesa, della decisione razionale e della forza autoregolatrice del mercato che, grazie alla sua mano invisibile, avrebbe garantito l’equilibrio economico e uno sviluppo illimitato facendo leva sull’intraprendenza e sull’autointeresse degli spiriti animali, superiore rispetto all’invadenza di un wellfare parassitario ed inefficiente.

Ebbene il covid-19 in soli 2 mesi ha fatto piazza pulita dei dogmi del neoliberismo che erano stati accreditati e giustificati per decenni grazie alla retorica pubblica basata sulla convergenza delle tre N: il trionfo del mercato era nel contempo un fatto naturale, nel senso che rispondeva ad oggettive leggi di natura immutabili, normale, nel senso che era socialmente accettato e culturalmente condiviso ed indiscusso, e di conseguenza anche necessario, ovvero senza reali e credibili alternative pratiche.

Il Covid-19 ha fatto emergere le fondamenta sociali e relazionali dell’economia che, venute meno con il distanziamento sociale, hanno assestato un colpo micidiale agli scambi economici e alle logiche di mercato, in barba alle affermazioni negazioniste della signora Tatcher. Per cui in risposta alla pandemia è stata innestata una pronta retromarcia rispetto ai principi liberisti, naturali e necessari, a base di dilatazione della spesa statale e sostegno pubblico all’economia, prestiti incondizionati agli stati, incremento della spesa sanitaria, aumento vertiginoso del deficit/debito pubblico con sussidi al reddito e sovvenzioni a pioggia, derogando alle regole comunitarie sul fiscal compact etc. (peraltro già violata in modo plateale dalle norme vigenti nei paradisi fiscali comunitari). Insomma una vera e propria deregulation a favore dell'intervento statale, rispetto a quella ultra-liberista e anti-statale dell'epoca reaganiana, che ha il sapore di una svolta politica epocale se si analizzano i contenuti extra-finanziari dell'accordo franco-tedesco sul rilancio dell'UE.

In poche settimane si sono susseguite le deroghe alle regole comunitarie, ad esempio il divieto degli aiuti di stato alle imprese a favore dell'apertura dei rubinetti delle sovvenzioni statali. Così lo stato, da principale freno per il dispiegarsi dell’economia di mercato, è diventato l’ancora di salvataggio per tutti gli operatori economici, dal ristoratore alla FCA, che reclama per sè un sostegno pubblico miliardario. Nonostante le sue casse in perenne deficit lo stato, da principale problema per la società è diventato una risorsa indispensabile per la sua illimitata capacità di stampare moneta, alla faccia del rigore di bilancio.

Il Covid-19 ha assestato un ulteriore colpo ad un’altra forma di mercato: la gestione della sanità ispirata al principio del quasi mercato sanitario, che si è concretizzato in Lombardia in un modello di SSR unico nel suo genere grazie ai principi del New Public Management sanitario. Secondo la teoria del quasi mercato la salute è una questione di preferenze individuali, di scelte personali nel grande supermarket sanitario, in cui si incontrano domanda e offerta di ogni sorta di rimedi e servizi, regolato dalla mano pubblica, che rinuncia all'offerta autonoma di servizi e prestazioni. Il quasi mercato sanitario lombardo ha palesato negli ultimi anni i suoi limiti in due occasioni e in due forme speculari:
  •         da un lato in positivo con il tentativo, andato a vuoto, di estendere al territorio la concorrenza verticale tra gestori (specialistici ospedalieri versus cooperative di MMG) per la presa in carico della cronicità e
  •        dall’altro in negativo, sul versante dell’acuzie, con l’abbandono del territorio perseguito da decenni in nome del disimpegno della sanità pubblica da ogni intervento diretto nell’erogazione di prestazioni sul quasi mercato territoriale.
La realtà della pandemia ha fatto emergere il deficit della gestione extra-ospedaliero, una carenza di governance di cui hanno pagato le spese in modo drammatico i colleghi di Codogno nelle settimane di picco epidemico. La medicina territoriale è stata trascurata e sacrificata sull’altare del quasi mercato sanitario in ossequio al dogma dell’intrinseca bontà e necessità della concorrenza in sanità. Insomma il Covid-19 ha spazzato via in poche settimane l’impalcatura teorica e le pratiche del neoliberismo, autoproclamatosi naturale, normale e necessario, ed apparentemente trionfante rispetto alla concorrente teoria keynesiana. Potenza dell’esternalità negativa della biologia sull’economia e sulla società umana, fragile e vulnerabile al pari di presunte teorie, dogmi ed ideologie “naturali”.

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