venerdì 11 novembre 2022

Come uscire dalla crisi della Missione6C1 e risolvere il wicked problem del PNRR?

L’attuale fase congiunturale mette in discussione la ristrutturazione della sanità territoriale e il raggiungimento degli obiettivi perseguiti dalla Missione6C1 del PNRR. Le incognite politiche, economiche, finanziarie ed organizzative abbondano e la combinazione di perturbazioni interne ed esterne, come le contingenze geopolitiche belliche, potrebbero innescare circoli viziosi fino a depotenziare una svolta radicale da tutti auspicata per la medicina territoriale, ma non più scontata per l'emergenza di "wicked problem, ovvero le criticità più profonde e rilevanti”, per usare il gergo degli studiosi di management sanitario della Bocconi. 
 
Per il successo della riforma si dovranno superare numerosi ostacoli a partire dal popolamento e dal coinvolgimento dei professionisti nelle Case e negli Ospedali di Comunità (CdC e OdC) che con gli attuali vincoli normativi e di bilancio non sarà agevole, anche per le difficoltà di formazione e reclutamento di professionisti in grado di tener testa a tutti i compiti previsti dal Piano, dal contenimento dei codici bianchi alla presa in carico della cronicità, dell’assistenza domiciliare alla fragilità alla telemdicina, dal funzionamento degli OdC alla continuità assistenziale nelle CdC. Basti pensare che il dossier del PNRR inviato a Bruxelles prevede da qui al 2026 una paradossale riduzione di organico dei medici di MG da 42mila a 35mila circa.

L’aumento di 1/3 dei costi previsti nel 2021, per via dell’inflazione e dei rincari di materie prime ed energia, mette in discussione la possibilità di realizzare tutte le due strutture portanti del PNRR, vale a dire CdC e OdC. Da qui la necessità di rivedere alcuni parametri per adeguare il piano al nuovo scenario macroeconomico e alla patologica ipertrofia di attese sociali indotte dai reiterati annunci. Le ipotesi sul tavolo sono varie:
  • le regioni potrebbero farsi carico dell’aumento dei costi con risorse proprie, soluzione piuttosto improbabile visto il sottofinanziamento lamentato proprio dai governatori regionali;
  • l’Unione Europea potrebbe erogare fondi aggiuntivi, riconoscendo lo “stato di necessità” conseguente alla contingenza economico-finanziaria, ma il consenso sui tempi e modi del rifinanziamento non è garantito;
  • potrebbe essere ridotto il numero o le dimensioni di CdC, OdC e COT oppure si potrebbero incrementare le sinergie tra le varie strutture, per contenere i costi di edificazione e manutenzione, integrando in un unico complesso le tre funzioni, come si augura Agenas nel suo recente documento sugli OdC;
  • infine i finanziamenti deliberati per un capitolo potrebbero essere spostati su altre funzioni oppure, ancora, potrebbe essere diversificata la ripartizione dei fondi tra le varie regioni in base allo stato di attuazione delle reti locali, assai disomogeneo.
La soluzione più probabile è un mix di queste ipotesi, in relazione alle condizioni socioeconomiche ed orografiche locali, che sono ampiamente diversificate: secondo l’’indagine promossa dalla Camera nel 2020 in 7 regioni non erano presenti case della salute - vale a dire Lombardia Valle d’Aosta, Bolzano, Trentino, Friuli, Puglia e Campania – mentre al polo opposto con oltre 50 strutture in funzione vi erano Piemonte, Veneto, Toscana, Sicilia ed Emilia Romagna. Quest’ultima regione è in testa alla classifica con 130 Case della salute di tre tipologie – piccole, medie e grandi – che compongono la trama di una capillare rete Hub & Spoke, soluzione razionale ignorata dal PNRR che prevede solo CdC Hub da 45-50 mila abitanti (è facile immaginare come sarebbe oggi la sanità territoriale se tutte le regioni avessero imitato l’esempio virtuoso dell’Emilia Romagna). Infine per numero di Ospedali spiccano Veneto, Emilia Romagna, Lombardia e Marche mentre Abruzzo, Piemonte, Molise, Liguria e Campania ne hanno attivati meno di 10 e ben 12 regioni ne sono prive.

In un panorama così diversificato la distribuzione a pioggia, standardizzata e "ragionieristica", dei finanziamenti sui territori non appare la più razionale, anche se con i finanziamenti aggiuntivi regionali le CdC sono passate da 1350 a 1430; sebbene il PNRR attribuisca il 45% delle risorse alle regioini del sud dove risiede il 34% della popolazione non sarà agevole compensare le attuali differenze tra territori e risolvere l'annoso problema del disallienamento dell'offerta tra i "20 diversi SSR" che la proposta di regionalismo differenziato potrebbe accentuare. Ad esempio, qual è la ratio dei finanziamenti all’Emilia Romagna per realizzare 95 CdC quando nella stessa regione sono già in funzione ben 130 case della salute, buona parte delle quali assimilabili agli Hub del PNRR? Idem per il Veneto riguardo agli OdC. Sarebbe logico distribuire le risorse in modo più appropriato, in funzione della situazione esistente per allineare le regioni in ritardo a quelle più avanzate; non è difficile prevedere che una soluzione simile solleverebbe le proverbiali barricate delle una contro le altre per la penalizzazione finanziaria subita, con buona pace della retorica sulla solidarietà del SSN verso i territori meno dotati.

L’attuale situazione di stallo ha fatto emergere la principale criticità della Missione 6C1 correlata al passaggio dalla prima alla seconda versione del PNRR, vale a dire lo spostamento di ben 2 miliardi di € dal finanziamento delle strutture territoriali all’assistenza domiciliare. Una parte di quelle risorse potrebbero venir buone oggi per rafforzare le strutture territoriali diversificando la rete delle CdC, rispetto all’unico modello adottato nel 2021 e messo in forse dagli eventi del 2022. Anche perché gli operatori sociosanitari disponibili in futuro difficilmente saranno in grado di assicurare l’estensione dell’assistenza domiciliare garantendo nel contempo la funzionalità di CdC, OdC, telemdicine e COT .

Il dimezzamento dei fondi per le CdC a favore dell'assistenza domicliare si sta rivelando il limite più evidente della Missione 6C1, per altri 2 motivi. In primo luogo perchè ha obbligato a dimezzare il numero di Case con lo standard di una ogni 45mila abitanti, adatto tutt'al più per le zone densamente popolate, ma non certo per le zone rurali, della collina e della montagna che verrebbero penalizzate, con buona pace della medicina di prossimità e delle iniziative nazionali per contrastare lo spopolamento delle aree interne depresse ed abbandonate (non a caso in Lombardia lo standard demografico nazionale è stato dimezzato nell'ATS della montagna). Secondariamente una rete Hub&Spoke diversificata e capillare di autentica prossimità, abbinata al potenziamento della telemedicina, potrebbe ridurre la necessità di assistenza domiciliare.

Infine la popolazione anziana faragile e polipatologica ha soprattutto bisogno di assistenza sociale, di interventi ad personam per l'accudimento e il soddisfacimento dei bisogni primari, ovvero di badanti ben preparate e di supporto ai care giver familiari. Più che un generico intervento di assistenza domiciliare serve un piano specifico di sostegno alla non autosufficienza come esplicitamente richiesto da più parti. Per l’assistenza sanitaria domiciliare bastano sporadici accessi del MMG in ADP e un’ADI prevalentemente infermieristica, per controlli periodici di parametri clinici, aderenza ed educazione terapeutica, medicazioni/prelievi etc.. Insomma le logiche sanitarie non bastano per venire incotro ai particolari bisogni della popolazione anziana e fragile e si impongono quindi difficili priorità.

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