Dall'inizio del secolo l’organizzazione della MG è evoluta per fronteggiare la “pandemia” di condizioni croniche: la gestione dello studio si è progressivamente “ospedalizzata”, nel senso che si è passati da un modello assistenziale artigianale, permeabile rispetto all’ambiente grazie ad un accesso libero e illimitato, ad un sistema differenziato con una sorta di nucleo tecnico e alcune barriere all’accesso.
Fino alla prima riforma sanitaria del 1978 non vi era di fatto separazione tra la medicina generale e il suo ambiente in quanto il “generico” vi era completamente immerso: o meglio il rapporto con l’ambiente era caratterizzato da una porosità fatta di disponibilità H24, visite in studio senza appuntamento, assenza di collaboratori, stretto legame con l’ambiente sociale e la comunità locale, scarsi vincoli prescrittivi ed ampia autonomia professionale per una sorta di delega in bianco nella gestione della sanità sul territorio.
Fino agli ultimi decenni del secolo scorso, gli unici servizi che garantivano ai cittadini un’accessibilità incondizionata, senza alcun filtro al contatto, erano il pronto soccorso in ospedale e la MG sul territorio. A partire dagli anni Novanta e con un’accelerazione all’inizio del ventunesimo, anche la medicina del territorio ha avviato una ristrutturazione organizzativa in due direzioni: da un lato con una più ampia gamma d’offerta di prestazioni, per venire incontro alla varietà della domanda e, dall’altro, con una maggiore selettività dei rapporti con l’ambiente. La spinta al cambiamento è stata sia endogena (necessità di rispondere all’aumento dei carichi di lavoro per la prevalenza delle patologie croniche) sia esogena (incremento della componente burocratico-amministrativa e dei vincoli prescrittivi).
La diversificazione ha significato anche una ristrutturazione delle relazioni con l’ambiante, nel senso della regolazione dell’accesso al “nucleo tecnico”, ovvero la consultazione ambulatoriale con il MMG. Con la progressiva introduzione degli appuntamenti, della piccola tecnologia o degli ambulatori per problemi anche la medicina generale si è allineata alle modalità di consultazione tipicamente ospedaliere, con due effetti collaterali: allungamento dei tempi d’attesa per le visite su appuntamento e difficoltà di gestione delle urgenze e soprattutto delle pseudo-urgenze ambulatoriali e domiciliari, spesso fonte di richieste inappropriate (le cosiddette “prestazioni non rinviabili”).
Progressivamente la mission professionale delle cure primarie si è spostata dalla risposta alle situazioni acute e pseudo-emergenziali alla presa in carico e alla gestione della cronicità seppure in modo informale, sia a livello ambulatoriale sia domiciliare in caso di non-autosufficienza o fragilità. Parallelamente la domanda per problematiche urgenti o percepite tali dagli assistiti si è spostata sulle strutture di pronto soccorso, meglio attrezzate tecnologicamente per valutare e rispondere alle condizioni di rischio, mentre il territorio, per un incolmabile dislivello di tecnologia diagnostica, si è indirizzato verso il basso rischio.
In pratica l’evoluzione della medicina generale ha tentato di ricomporre il dilemma tra la difesa del nucleo tecnico e l’apertura all’ambiente: è aumentata la varietà dell’offerta per venire incontro alla domanda e in parallelo è aumentata la selettività dell’accesso, per indirizzarla verso il percorso organizzativo più appropriato tra quelli disponibili. Con l' "esplosione" del Covid-19 la diffusione degli appuntamenti ha avuto un'accelerazione, specie nelle zone a maggior incidenza, onde evitare rischi di contagio in sale d'attesa affollate.
Tre sono le possibili modalità di consultazione:
- accesso libero degli assistiti senza appuntamento;
- consultazione mista, ovvero in parte libera e in parte su appuntamento;
- accesso esclusivamente su appuntamento e/o con ambulatori per problemi.
Naturalmente ogni soluzione presenta vantaggi e svantaggi per medico e paziente: certamente la modalità di accesso su appuntamento in modo esclusivo comporta un allungamento, talvolta eccessivo, dei tempi di attesa per una visita o l'utilizzo improprio del tempo di consultazione per atti che sono prevalentemente ripetitivi o burocratici. Secondo il mio parere, in base al principio generale della diversificazione dell'offerta per venire incontro alla varietà della domanda (legge di Ashby), la soluzione ideale per poter affrontare la varietà dei bisogni e della domanda è la formula mista, ad esempio con un 1/4 circa del tempo ad accesso libero per le incombenze burocratiche e le pseudo-urgenze, in 2-3 sedute settimanali una delle quali il lunedì, e i restanti ¾ del tempo su appuntamento, per problemi emergenti e soprattutto per la gestione della cronicità, talvolta con orari dedicati ad alcune specifiche categorie.
Insomma sul territorio conta prima di tutto la diversificazione quali-quantitativa dell’offerta e la divisione dei compiti per una gestione razionale ed integrata del tempo, grazie ai collaboratori sempre più presenti e necessari negli studi dei MMG. Ma per rendersene conto bisogna aver avuto esperienza diretta del contesto, dell'organizzazione e delle gamma di pratiche dell’assistenza primaria, senza ridurre il giudizio al solo dato quantitativo delle 20 ore, che evoca una logica prestazionale e parcellare, piuttosto che una continuità relazionale e temporale che si concretizza in diverse modalità di contatto, presa in carico globale e gestione del tempo e della relazione sul lungo periodo.
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