ll dibattito sul futuro stato giuridico e contrattuale dell’Assistenza Primaria è interessante, anche se sconta i limiti dell’impostazione top down di matrice giuridico-formale che, senza l’apporto bottom-up delle risorse professionali ed economiche, rischia di esaurirsi in disegni astratti e poco spendibili al lato pratico. Perché quando si discute di MG è bene tenere presente che si ha a che fare con un nodo della rete sociosanitaria immersa nel mondo della vita, a differenza dell’organizzazione “razionale” ospedaliera concentrata sulla difesa del nucleo tecnico dalle perturbazioni ambientali.
Per questa differenza il tentativo di gestire la rete sociosanitaria extra-ospedaliera, orizzontale e agerarchica, traslando su di essa la cultura manageriale dell’organizzazione nosocomiale, piramidale e gerarchica, incontra non pochi ostacoli a partire dall’apparente ingovernabilità e anarchia organizzativa dell’assistenza primaria, agli occhi del manager pubblico sbarcato sul pianeta territoriale privo di un’adeguata mappa cognitiva per orientarvisi.
Chiarita questa distinzione, si possono affrontare due nodi problematici. Il primo attiene all’antinomia tra impostazione specialistica/riduzionistica versus quella generale/olistica, che i ricorrenti inviti all’integrazione professionale vorrebbero ricomporre, con scarso successo. I pazienti non si fidano del generalista, specie i giovani, informati ed esigenti, perchè troppa è l’incertezza che non controlla rispetto all’offerta tecno-specialistica del mercato, rassicurante e più affidabile. Insomma non c’è partita: sugli scaffali del supermarket sanitario non vi è posto per la prestazione generalista, se non con l’etichetta di docile impiegato esecutivo tenuto ad applicare le direttive della medicina amministrata.
Esemplare è la tormentata vicenda dei Piani Terapeutici specialistici esportati sul territorio nel 2022. Il reiterato rinvio triennale della loro scadenza - il cui rinnovo avrebbe paralizzato almeno per un semestre la specialistica ambulatoriale - ha fatto emergere i circoli viziosi e gli effetti perversi latenti nella burocrazia weberiana, descritti dettagliatamente nel secolo scorso. Sulla vera natura del "ruolo centrale medico di base" ha fatto scuola l'opinione tranchant del ministro Giorgetti, che alla fine estate 2019 alla vigilia del Covid-19 si chiedeva con sorpresa: chi va più dal medico di base? Il mondo in cui ci si fidava del medico è finito!
Al limite, aderendo alla “filosofia” dell'esclusiva pertinenza (competenza) specialistica a 360° tutte le iperglicemie dovrebbero essere affidate al diabetologo, gli ipertesi al cardiologo, le bronchiti croniche allo pneumologo e così via; il generalista che se ne vorrebbe occupare è inattendibile e “impertinente”, per via di un ruolo sociale residuale e di una superflua ridondanza organizzativa. Tanto vale metterlo da parte: su questa visione radicale della differenziazione funzionale faceva affidamento l’ipotesi della PiC lombarda di far migrare i cronici dal generalista agli specialisti ospedalieri: abbiamo visto con quale esito gli specialisti si sono fatti carico dei pazienti polpatologici e fragile a loro destinati.
Alla prima antinomia si sovrappone quella tra dimensione individuale e collettiva. La discrasia tra approccio ad personam ed esigenze pubbliche taglia trasversalmente tutta la medicina, dall’epidemiologia alla metodologia clinica, dall’etica alla deontologia, dall’allocazione delle risorse alla valutazione probabilistica e riguarda anche il medico del territorio, storicamente individualista con una visione privata della professione.
Tuttavia nella dimensione pubblica il generalista può ritrovare quell'insperata pertinenza/competenza negata dal marketing; il retorico ruolo centrale va conquistato e coltivato nella comunità di pratica, formazione, ricerca e nella relazione di cura. Perché l’identità professionale non è solo quella che ci si auto-attribuisce ma è anche quella che gli altri proiettano e “agiscono” nella relazione. Ne’ la rivendicazione di una etichetta ontologica di specialista, in sostituzione di un attestato di formazione specifica, può sbrogliare l’ossimoro logico e paradossale dello “specialista in generalità”.
Con quale vision strategica la MG può recuperare legittimazione sociale e professionale?
Il punto di partenza è l’incolmabile dislivello tra varietà ambientale e bisogni illimitati, da un lato, e scarse risorse professionali e tecnologiche sistemiche, dall’altro; per compensare il gap si deve scegliere che strada imboccare al bivio (dilemma) della complessità. La più battuta è quella della differenziazione funzionale specialistica, che si traduce in una rigida selezione per l’erogazione delle prestazioni, testimoniata dalle liste d’attesa per accertamenti e visite e dal boarding in Pronto Soccorso, in attesa della disponibilità di un posto letto.
In alternativa si può percorrere la strada indicata della legge della varietà necessaria di Ashby, che suona più o meno così: solo la varietà delle modalità di gestione delle risposte può tener testa alla varietà/complessità delle esigenze ambientali. In questa prospettiva l’ “impertinenza” generalista cambia di segno e quella che appariva una superflua ridondanza si può rivelare una atout spendibile. La gamma di bisogni presi in carico dal MMG è il frutto di una riserva di ridondanza funzionale, utile anche a preservare l’equilibrio sistemico; durante le prime due ondate di Covid-19 il suo venir meno è stato pagato con la paralisi dell’ospedale per la necessità di spostare quasi tutte le truppe specialistiche sulla prima linea pandemica a costo di bloccare l'offerta di prestazioni verso il territorio.
Oggi, ad esempio, confidando proprio sul surplus di ridondanza generalista, che giustifica la mission di gestire la cronicità in modo appropriato ed efficace, si vorrebbe affidare al MMG due compiti aggiuntivi: il rinnovo sul territorio dei Piani Terapeutici continuamente prorogati dal 2020 e non più gestibili in ospedale, se non a prezzo di una paralisi semestrale, e un ruolo di alternativa al PS, a dispetto di un incolmabile gap tecnologico con l’ospedale e di un’incerta ristrutturazione della rete sociosanitaria, che solo a regime potrà intercettare una parte dei codici minori. In PS peraltro vengono regolarmente prescritti accertamenti diagnostici e visite specialistiche alla quasi totalità dei codici minori, bianchi e verdi, gli stessi che il “generico” dovrebbe gestire a “mani nude”, assumendosi i rischi e l’incertezza che una pervasiva medicina difensiva non tollera, avendo a disposizione le risorse tecnologiche per minimizzarli e gestirli.
Insomma in 3 anni si è passati dal tentativo di liquidare l’impertinente generalista alla sua rinascita nei panni di superman clinico, in grado di farsi carico di condizioni croniche e acute, vicariando il PS e sopportando un fardello burocratico insostenibile. Non saranno richieste eccessive per un professionista squalificato, residuale e avviato sul viale del tramonto?
Davvero questo complesso scenario potrà essere rivoltato come un calzino dalla quinta riforma calata dall’alto o introducendo ope legis un nuovo status giuridico a supporto del “ruolo centrale del medico di base”? Domanda retorica: non si cambia la società per decreto (Crozier)!
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