Ieri sera a Brescia l'ex ministro Speranza ha presentato il suo libro; altro relatore, ovvero Nino Cartabellotta presidente GIMBE, nel suo intervento di approfondimento della crisi finanziaria del SSN ha fatto emergere una amara e paradossale verità.
L'ex ministro ha esordiato paventando il rischio di un cambiamento del nostro modello di tutela della salute verso la privatizzazione; per prevenire questa deriva ha più volte citato come ideale baluardo il richiamo ai principi costituzionali contenuti dell'articolo 32, che recita:
"La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti".
Il cambiamento del nostro modello di SSN è già in atto da anni, per via delle liste d'attesa e del gap tra domanda ed offerta, come testimonia la proliferazione di strutture polispecialistiche che offrono in tempi rapidi, in regime libero-professionale o con copertura assicurativa, le prestazioni che il SSN non è in grado di erogare in tempi ragionevoli.
Si tratta di una deriva che nessuno ha deliberato o programmato scientemente ma che si stà affermando per la forza delle cose e come dato di fatto empirico da tutti verificabile quotidianamente quando si ha bisogno di una "prestazione": basta mettere mano al portafoglio! Stupisce che ancora non si sia colto e preso atto del lento salto di qualità prodotto dalla trasformazione silenziova avviata da tempo.
Ebbene, come ha sottolineato il presidente di GIMBE, di questo lento ed inarrestabile scivolamento verso il mercato privato fanno le spese - si fa per dire - principalmente proprio gli indigenti, ai quali invece dovrebbero essere costituzionalmente garantite cure gratuite, mentre non coinvolge i solventi e coloro che si possono permettere un'assicurazione integrativa.
Ma vi è anche un paradosso nel paradosso, se si interpreta il "non detto" del dettato costituzionale: infatti dato che la Repubblica garantisce cure gratuite agli indigenti implicitamente esclude dalla stessa garanzia i non indigenti, che dovrebbero quindi provvedere di persona alle cure, sebbene si affermi che la salute è "un fondamentale diritto dell'individuo" tutelato dalla Repubblica. Ergo la prima parte dell'art. 32 è in linea con l'attuale tendenza all"out of poket, come si dice pudicamente, per avere accesso a prestazioni e cure.
Di fatto la deriva in atto verso il libero mercato sanitario che promette di consolidarsi nei prossimi anni - visto l'abissale deficit del fondo sanitario nazionale, denunciato da GIMBE, rispetto al finanziamento minimo per evitare il collasso del sistema - è coerente con il dettato costituzionale che assicura la gratuità ai soli indigenti.
Ma il bello è che il servizio che attualmente sul territorio garantisce le cure di prossimità gratuite alle fasce più deboli della popolazione è l'assistenza territoriale, sulla quale è stata riversata, nella stessa serata, la solita accusa squalificante di essere essente e inefficace, a differenza del medico di famiglia dei bei tempi andati. L'ennesimo paradosso...
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