“da eroi a capri espiatori il passo è più breve di quanto sembri e gli amministratori del servizio sanitario, dopo aver lasciato i medici di famiglia senza protezioni e supporti, scoprono ora le gravi carenze del territorio”.
E' trascorso un lustro dall'inizio del COVID-19 ma la sottolineatura delle carenze del territorio durante la pandemia è proposta di continuo, tanto da diventare un giudizio di professionalità per tutto il comparto delle cure primarie. La gestione della pandemia, secondo questa vulgata, sarebbe la prova del nove dell'arretratezza e dell'insignificanza di una medicina generale inaffidabile, tanto che solo il passaggio alla dipendenza potrebbe sortire un cambiamento in positivo.
Le cose stanno davvero in questi termini? I dati epidemiologici e della gestione pandemica confermano questa fosca diagnosi? Per avere una conferma o una confutazione di questa diffusa opinione bisogna rivolgersi ai prospetti che la protezione civile diffondeva nel tardo pomeriggio d'ogni giorno, con alcune avvertenze sul loro significato e sulla loro interpretazione, che spero il lettore avrà la pazienza di seguire.
I dati sotto riportati arrivano al maggio 2021 e riguardano la II e III ondata (i dati della I ondata sono inaffidabili per sottostima). L'obiettivo dell'elaborazione è di stabilire qual è stata la percentuale di pazienti Covid-19 ospedalizzati rispetto a quelli diagnosticati e curati sul territorio dai medici dell'assistenza primaria, dall'ottobre 2020 al maggio 2021.
Conviene iniziare dai dati complessivi delle due ondate, dividendo convenzionalmente la pandemia 2020-2021 in questi due periodi:
- II ondata: 2.037.562 casi, dal 1/10/2020 al 15/1/2021
- III ondata: 1.865.398 casi dal 16/1/2021 al 31/5/2021
I I dati contenuti nel report quotidiano sono di due tipi:
- quelli che documentano una progressione lineare e cumulativa degli eventi, come i nuovi casi e i decessi, e
- quelli che invece subiscono variazioni in più ed in meno nell'arco di settimana o mesi in funzione dell'evoluzione della pandemia, come il numero dei ricoveri, quelli dei soggetti dimessi o in isolamento domiciliare.
Ecco ad esempio il prospetto del 31/5/2021.
Purtroppo per questa seconda tipologia non è possibile avere un dato cumulativo nell'arco delle settimane o dei mesi, come per i primi, in quanto il prospetto indica, ad esempio, solo il numero di soggetti ricoverati in una certa data, che variano in funzione dell'andamento quotidiano: ad esempio il numero giornaliero dei ricoverati è influenzato nei due sensi dai nuovi ingressi, dalle dimissioni, dai trasferimenti in terapia intensiva e dai pazienti che tornano in corsia provenienti dallo stesso reparto.
Quindi è impossibile un computo certo del numero assoluto mensile di coloro che sono stati ricoverati nei reparti ordinari e in quelli intensivistici. Ecco ad esempio il grafico dell'incidenza cumulativa mensile di nuovi casi diagnosticati, decessi e dimessi guariti.
Ecco alcuni confronti relativi ai mesi centrali delle due ondate: come si vede la differenza tra attualmente positivi e in isolamento domiciliare corrisponde esattamente, tranne nel dato di marzo, al numero di soggetti ricoverati alla fine di ogni mese, con un range che va dal 4,6 al 5,6 per cento.
Se quindi applichiamo la percentuale media del 5% di ricoverati al numero complessivo di casi registrati nelle due ondate abbiamo questi dati finali, anche se nel computo dei soggetti ospedalizzati bisogna aggiungere il numero dei decessi per un ulteriore 2% circa.
Dopo lo shock della primavera 2020, dall’autunno è iniziato un lento processo di riorganizzazione della risposta territoriale al Covid-19, a fasi alterne e a macchia di leopardo in relazione ai diversi SSR. Ad esempio con l’attivazione delle USCA, a regime dall’inverno 2020, è stata messa in campo una risposta per compensare le obiettive difficoltà della MG, specie dove la rete territoriale era meno strutturata come in Lombardia, con un servizio dedicato alla situazione emergenziale. Rispetto al dirompente esordio della prima ondata nelle successive il panorama è via via cambiato grazie all’evoluzione organizzativa e al miglioramento della gestione preventiva, diagnostico-terapeutica e clinica e profilattica. L’evoluzione della risposta della medicina territoriale, dopo l’ondata della primavera 2020, è così schematizzabile.
Seconda ondata (variante beta). Le USCA si sono rivelate uno strumento appropriato per l’approccio domiciliare dei casi più impegnativi, garantendo cure specialistiche al Covid-19 che non era alla portata del MMG isolato, grazie ad una migliore organizzazione e dotazione tecnologica (ecografia polmonare, tamponi domiciliari, esami bioumorali etc..) con risultati tangibili a partire dell’autunno 2020. Con le USCA la medicina del territorio ha imboccato la strada della differenziazione in senso tecno-specialistico ad hoc, per aumentare la varietà della risposta nel senso della legge di Ashby; questo cambiamento è risultato speculare al processo di “generalizzazione” adottato dall’organizzazione ospedaliera. Sempre nella seconda ondata dell’autunno inverno 2020-2021 una migliore disponibilità di DPI, di tamponi antigenici, di coordinamento delle cure primarie e di protocolli clinici ha ottimizzato la tempestività della diagnosi, la gestione sul territorio e l’integrazione con l’ospedale.
Terza ondata (variante inglese). Con l’inizio della vaccinazione di massa, a partire dagli operatori sanitari dal gennaio 2021, è iniziata una nuova fase nella gestione sul territorio, caratterizzata da una migliore protezione del rischio infettivo, anche grazie ad un’ampia fornitura di DPI, dalla piena funzionalità delle USCA, dalla diffusione dei tamponi in farmacia e da un uso più appropriato dei farmaci nelle fasi iniziali, che hanno ridotto in modo significativo le ospedalizzazioni e la letalità nel corso dell’ondata primaverile dovuta alla nuova variante.
Quarta ondata (variante delta e omicron). Nell’autunno-inverno 2021-2022 le vaccinazioni hanno dato un contributo determinante al contenimento della variante Omicron, di estrema contagiosità, anche per la prontezza della diagnosi garantita dai tamponi antigenici eseguiti nelle farmacie e dalla diffusione di quelli “fai da te”. Fortunatamente all’elevata diffusività ha fatto da contrappeso un decorso clinico paucisintomatico, con un basso tasso di ospedalizzazioni, ed il calo della letalità a valori inferiori all’0,5%.
Dalla quarta alla sesta ondata. A cavallo tra la fin del 2021 e l’inizio del 2022 si è sviluppata la più imponente ondata pandemia, con oltre 9 milioni di casi, seguita dalla sesta in tono minore in primavera e dalla settima nell’estate con un nuovo picco di casi. Nonostante l’allentamento delle misure di contenimento è continuato il trend positivo sul piano clinico con sintomi sempre meno intensi, con un contenimento delle ospedalizzazioni e ed anche con una ulteriore riduzione della letalità, attestatasi sotto lo 0,5%.
La settima ondata tra l’autunno 2022 e l’inverno 2023 segna il declino della pandemia che successivamente, tra la primavera e l’estate 2023, si esaurisce, fino all’eliminazione dell’isolamento domiciliare dei positivi contenuti nel DL dell’8 agosto 2023. Ciononostante la letalità, dalla metà di settembre 2022 all’inizio di agosto 2023, è arrivata allo 0,34% a fine febbraio 2023 mentre nell’VIII ondata ha toccato lo 0,86% per il “fisiologico” ritardo dei decessi, a seguito di prolungate degenze in rianimazione rispetto all’inizio dei sintomi e ai picchi epidemici.
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