mercoledì 21 marzo 2018

Presa in carico: appropriatezza organizzativa e relazioni professionali

La gestione delle condizioni croniche, come ribadito in numerosi passaggi del Piano Nazionale per la Cronicità, richiede processi di integrazione, condivisione e cooperazione, come quelli previsti dai PDTA, e soprattutto scelte strategiche ispirate all’appropriatezza organizzativa.

Per garantire l’appropriatezza della Presa in Carico (da ora PiC) e della gestione della cronicità è centrale la suddivisione consensuale dei compiti tra i vari attori organizzativi, specie tra I° livello territoriale e II° livello specialistico, per evitare contrasti, duplicazioni o inutili sovrapposizioni; senza un esplicito riconoscimento dei ruoli reciproci si rischia di favorire la cosiddetta "generalizzazione della medicina specialistica", ovvero la tendenza di alcuni specialisti a "sconfinare" nell'area delle cure primarie sottraendo spazio e competenza al MMG.

I PDTA sono stati elaborati ed applicati dall’inizio del secolo proprio con l’intento di condividere tra MMG e Specialisti ruoli organizzativi e compiti clinico-assistenziali, in particolare per quanto riguarda il diabete mellito. Prima di allora infatti il Centro Diabetologico si faceva carico di seguire assistiti affetti da Diabete tipo II non complicato, che potevano essere agevolmente curati sul territorio dal MMG. Si trattava di un evidente inappropriatezza organizzativa che aveva come conseguenza il sovraccarico del Centro, con allungamento dei tempi e delle liste d’attesa, di cui pagavano le conseguenze i diabetici “complessi”. 

Per superare questo assetto organizzativo “irrazionale” fu avviata, contestualmente all’implementazione dei PDTA, la “dismissione” dei diabetici tipo II non complicati, riaffidati alle cure della medicina territoriale.
Oggi di fatto con la PiC in versione lombarda si ritorna al passato, complice la riproposizione dello stesso modello di relazioni inter-professionali inappropriate di allora; se il paziente decide di accettare la PiC da parte del Gestore ospedaliero il Clinical Manager (CM) della struttura si riapproprierà, ad esempio, dei diabetici che attualmente sono seguiti dal MMG. Sebbene la relazione tra MMG e CM resti ancora indefinita, di fatto la scelta del paziente cronico di affidarsi alle cure del CM in alternativa al medico curante, configura una sorta di ricusazione selettiva del MMG da parte dell’assistito.

Come ha sottolineato la Federazione regionale degli Ordini dei Medici della Lombardia nel documento che rileva le criticità etico-deontologiche della PiC “si introduce in buona sostanza una dicotomia tra compiti clinico-assistenziali del MMG e quelli affidati al Clinical Manager del Gestore, che potrebbe pregiudicare la continuità e l’integrazione dell'assistenza” ad esempio “quando si rendessero necessarie variazioni della terapia cronica, anche in assenza di riacutizzazioni, per cui la persona assistita dovrà comunque e sempre far riferimento al Clinical Manager del Gestore”.

In sostanza l’offerta di PiC suona come un invito a cambiare medico per un’implicita squalifica professionale del MMG, di cui si dichiara indirettamente l’incompetenza a curare la malattia cronica. Si tratta di una novità in quanto fino ad ora le relazioni inter-professionali erano negoziate tra MMG e specialista, ricorrendo ai due istituti previsti dagli Accordi Collettivi Nazionali: la tradizionale visita di consulenza o al passaggio in cura dal MMG allo Specialista. Ora invece l’assistito viene formalmente invitato a “by-passare” le cure primarie per affidarsi stabilmente ad un professionista alternativo, in un contesto organizzativo ospedaliero.

Per un’appropriata suddivisione dei compiti tra MG e Medicina Specialistica è essenziale la categorizzazione delle diverse forme di cronicità, che si distribuiscono lungo un continuum ai cui estremi si trovano
·         da un lato gli assistiti sani e asintomatici portatori di uno o più fattori di rischio ad elevata prevalenza (semplice iperglicemia e/o ipertensione arteriosa ben compensati e senza danno d'organo) e  
·         dall’altro quelli affetti da monopatologie “complesse” a bassa prevalenza (malattie infiammatorie intestinali, connettiviti, emopatie, epilessia, tumori, malattie neurodegenerative etc..)  o pluripatologie ad elevata intensità clinico-assistenziale (ipertesi e/o diabetici con plurime complicanze, retinopatia, coronaropatia, uremia, polineuropatia, FA e scompenso cardiaco etc..).

Ogni categoria nosografica richiede un bilanciamento appropriato del contributo delle cure primarie e di quelle specialistiche, in funzione della complessità e problematicità del singolo caso. La distribuzione consensuale dei compiti professionali ed organizzativi è influenzata da due variabili, ovvero la preparazione del medico, specialistica o generalistica, e l'esperienza pratica accumulata sul campo.

Nel caso delle condizioni ad alta prevalenza il MMG è in grado di giocare un ruolo perché l’esperienza può in certa misura sopperire alla preparazione generalistica; al contrario nelle patologie a bassa prevalenza e ancor di più in quelle rare è improponibile un affidamento esclusivo alla MG, i cui compiti restano ancillari rispetto allo specialista, proprio per una combinazione "in negativo" di preparazione non specialistica e soprattutto scarso bagaglio esperienziale di pratiche e di casi clinici. 

In un’ottica di appropriatezza organizzativa si possono così schematizzare le relazioni professionali tra I° e II° livello nelle patologie croniche:
·        Relazione consulenziale “classica”. L’assistito è in carico del MMG e il parere dello specialista può essere richiesto occasionalmente dal generalista per un dubbio diagnostico o terapeutico in assistiti portatori di singoli fattori di rischio ad alta prevalenza: la PiC e la gestione del caso restano affidati al MMG secondo i criteri da PDTA ma senza la necessità del PAI
·         Assistito “condiviso”. In caso di patologie ad altra prevalenza con complicanze d’organo la gestione può essere condivisa tra MMG e Specialista in base ai PDTA (follow-up specialistici periodici concordati) con eventuale PAI in caso di assistiti complessi
·         Passaggio in cura. Per patologie a bassa prevalenza/rare o in caso di pluripatologie la gestione resta prevalentemente specialistica, con PAI e supporto della MG per follow-up periodici, sorveglianza e monitoraggio delle terapie in atto etc..
·         Pazienti domiciliari disabili, non autosufficienti, fragili etc. Vengono in genere seguiti con l’assistenza domiciliare del MMG, in ADP o ADI, con consulenze specialistiche domiciliari, in alternativa al “ricovero” in RSA o strutture analoghe.

I dubbi sull’appropriatezza organizzativa della PiC riguardano la seconda e l'ultima categoria. Saranno in grado i Gestori ospedalieri di ri-farsi carico in toto dei pazienti fino ad ora "condivisi" con la MG? Chi assicurerà in futuro la cosiddetta medicina di prossimità, la visione globale dei problemi e il coordinamento degli interventi sul territorio? Chi garantirà l’assistenza ai cronici fragili e/o non autosufficienti, attualmente in assistenza domiciliare o in ADI, che sceglieranno il Clinical Manager?  Il CM potrà recarsi regolarmente al domicilio dell’assistito per monitorarne le condizioni cronica, come fanno attualmente i MMG?

P.S. Al link una proposta di revisione della PiC elaborata da un gruppo di MMG lombardi:  https://app.box.com/s/yql53so9fha0yvlidpwmrcusu0p551dd


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