giovedì 10 marzo 2022

Case della Comunità in montagna, un difficile adattamento

E' passata una settimana dalla divulgazione del DM 71 che prevede 1 Casa della Comunità (CdC) ogni 45-50 mila abitanti e un Ospedale di Comunità (OdC) ogni 100mila; quasi contemporaneamente il governo ha varato un provvedimento per favorire lo sviluppo economico e la ripresa delle aree montane, con l’obiettivo di contrastarne lo spopolamento, attraverso norme ed incentivi per compensare le aree svantaggiate, anche a favore di medici e figure socio sanitarie che vi prestano la propria opera professionale (si veda il QS del 10 marzo).

Gli standard demografici delle strutture del PNRR sono più adatti alla zone urbane ad alta densità demografica che non a quelle extraurbane scarsamente popolate della pianura, della collina e soprattutto della montagna. Tenuto conto che il 90% degli 8mila comuni italiani ha meno di 15mila abitanti e che il 30% della popolazione abita in località con meno di 10mila residenti sarà impossibile garantire l’attuale capillarità assicurata dagli studi dei MMG. I residenti in zone disagiate con difficoltà di collegamenti stradali, già ora penalizzati per la distanza dagli ospedali, difficilmente potranno gravitare e fruire delle CdC e degli OdC. Inoltre in queste aree i MMG saranno restii a lasciare i propri studi, diffusi sul territorio, per confluire in poliambulatori lontani dalle residenze dei propri assistiti. Medicina di prossimità significa rapporto stretto con il proprio territorio mentre 1.350 CdC a livello nazionale non garantiscono un solido legame con le aree extra-urbane di riferimento. 

Nei comuni dove CdC ed OdC non saranno attuabili per questioni logistiche l’attuale rete di studi di medicina generale, in particolare le medicine di gruppo, le AFT e le Unità Complesse continueranno ad essere il punto di riferimento per i cittadini già svantaggiati per lo spopolamento delle zone alpine ed appenniniche. Con il concreto rischio di costruire strutture inadatte alle caratteristiche geodemografiche ed orografiche della montagna, quindi non di prossimità ma di distanza specie per l'assistenza domiciliare, e con difficoltà a reperire le figure professionali per il loro regolare funzionamento, già oggi carenti in molte zone. Strutture territoriali diversificate e con standard demografici adeguati alle caratteristiche del territorio sarebbero l'incentivo più efficace per attirare o trattenere i professionisti sanitari, contrastare lo spopolamento e venire incontro alle esigenze della popolazione stanziale.

Distribuzione delle CdC e degli OdC nell'ATS della Montagna

Per questi motivi gli standard introdotti dal DM71 appaiono inappropriati per i bisogni delle popolazioni delle aree in via di spopolamento; tant'è che in Lombardia con la DGR 6080 del 7/3/2022, sull'esempio della diversificazione della Case della Salute emiliane, è stato dimezzata lo standard delle CdC degli OdC nell'ATS della montagna, raddoppiandone il numero affinché nei “territori montani siano individuati strumenti adeguati a garantire la presenza capillare dei servizi, l’attrazione dei professionisti e in generale la capacità di assicurare le cure necessarie su un territorio molto vasto e non densamente popolato”, prevedendo “una serie di strumenti e modalità che consentano di rendere fattive le previsioni di una sanità di montagna realmente capace di rispondere ai bisogni dei cittadini”. A questi stessi obiettivi mirano i finanziamenti inseriti nelle recente riforma lombarda per l'attivazione degli ambulatori sociosanitari territoriale nei piccoli comuni la cui attività erogativa "deve essere coordinata con l’attività e i servizi delle case di comunità" (LR 22 del 30/11/2021).

Quindi da un lato con le strutture della Missione6 del PNRR si rischia di penalizzare proprio le zone di montagna mentre dall'altro si introducono incentivi rivolti al personale sanitario e ai cittadini per contrastare l'abbandono delle stesse aree. Non sarebbe stato più opportuno che i ministeri si coordinassero o si consultassero sulla ratio di queste misure, che hanno tutta l'aria di decisioni di policy "a silos"? I paladini del centralismo sanitario forse dovrebbero riflettere sulle virtù di modelli organizzativi definiti centralmente, a tavolino, in modo rigido e calati sul territorio a prescindere dalle caratteristiche delle zone a cui invece dovrebbero adattarsi, per poter "garantire la presenza capillare dei servizi e l’attrazione dei professionisti".

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