sabato 9 aprile 2022

Criticità e paradossi degli standard per le Case di Comunità

Nell’ultimo mese con lo scoppio della guerra la variabile economica è balzata in primo piano nel dibattito dell'avvio del Pnrr: inflazione annuale sopra il 5%, aumento dei costi di gas, elettricità, carburanti, materie prime e alimentari hanno messo in discussione tutto il quadro macroeconomico, con il concreto rischio della stagflazione se non di una nuova recessione. Non sarà semplice far quadrare i conti considerando che i costi delle strutture sono stati calcolati con i prezzi del 2018 e che molte regioni dovranno fare i conti anche con le coperture della spesa corrente per il personale, che non può rientrare nei fondi strutturali UE del Recovery Found. Di conseguenza si sono moltiplicate le richieste di revisione dell’utilizzo delle risorse del Pnrr da parte delle associazioni imprenditoriali e delle stesse regioni.

Il primo effetto di questa nuova fase è stato il tramonto dell'ipotesi di passaggio alla dipendenza dei medici convenzionati che il DM71 ha sostanzialmente ignorato, rinviando a tempi migliori il consistente impegno finanziario necessario a portare a termine un’operazione di ampia portata normativa ed economica. Anche i criteri di ripartizione dei fondi della missione 6 saranno messi a dura prova, in particolare quelli delle strutture per il rafforzamento della sanità territoriale, ovvero Case ed Ospedali di comunità (CdC e OdC). In questo contesto politico ed economico turbolento ed incerto la distribuzione dei finanziamenti a livello regionale resta il punto critico.

Come noto il DM71 prevede l'attivazione di 1 CdC ogni 40-50mila abitanti, per un totale che varia quindi da 1500 a 1200 strutture, differenziate in due tipologie: CdC hub di grandi dimensioni per le città con almeno 40mila abitanti e CdC spoke per comuni più piccoli distribuiti in aree rurali, della collina e della montagna scarsamente popolate. Tuttavia il Decreto non specifica la distribuzione delle due tipologie di CdC, mentre in precedenti documenti era stato prospettato un numero assoluto di 1350 CdC e 600 OdC; questa indeterminatezza è l’esito del dimezzamento dello stanziamento previsto nella prima versione del Piano per le CdC e gli OdC, divenuto insufficiente per una rete Hub&Spoke diversificata e capillare.

Evidentemente viene delegato alle regioni il compito di stabilire numero e tipologia di strutture necessarie per intrecciare una rete sociosanitaria composta da nodi adatti alle caratteristiche sociodemografiche ed orografiche di ogni realtà locale. Non potrebbe essere altrimenti visto che le regioni partono da situazioni diversificate, comprese tra i due estremi di un continuum limitato, da un lato, da amministrazioni prive di strutture territoriali e, dall'altro, da regioni con una consolidata rete di case della salute, da una cinquantina fino ad oltre il doppio come nel caso dell'Emilia Romagna. In teoria secondo i parametri del Pnrr quest'ultima regione dovrebbe edificare un centinaio di CdC hub ma avendone già attive quasi 130 non si capisce come debba utilizzare i fondi a lei destinati, se non attivando CdC spoke per una più appropriata distribuzione nelle zone disagiate.

All'estremo opposto si trova la Lombardia che, con un popolazione doppia rispetto all'Emilia, ha una ventina di Presst in attività - strutture assimilabili ad una CdC - a fronte di finanziamenti per oltre 216 Hub. E’ naturale che i fondi per le strutture ripartiti a livello nazionale con criteri standard verranno utilizzati in modo differenziato dalle regioni; ad esempio la Lombardia ha già dimezzato il parametro demografico delle Case e degli Ospedali di Comunità per adattarlo alle zone di montagna meno popolate e con problemi di viabilità. Nall’’ATS della Montagna lo standard di una CdC ogni 40-50mila abitanti e di un OdC ogni 100mila è stato ridotto rispettivamente a 19mila e 50mila residenti.

Va da sé che finanziamenti centrali ripartiti in modo puramente aritmetico in base alla popolazione verranno giocoforza utilizzati dalle regioni in relazione ai bisogni del territorio e alle caratteristiche del proprio SSR. Paradossale è il caso dell’Emilia Romagna che in base alla distribuzione dei finanziamenti dovrebbe realizzare nel prossimo quinquennio 85 CdC Hub mentre a fine 2018 ne erano in funzione 105 - di cui il 51% (53) a medio/alta complessità e il 49% (52) a bassa complessità - frutto di una decennale programmazione che prevede di realizzarne altre 38 entro il 2023 (a febbraio 2022 erano attive 127 Case della Salute).

Il problema nasce dalla discutibile decisione di ridurre da 4 a 2 miliardi il finanziamento delle strutture territoriali per deviarne due sull’assistenza domiciliare, con l’obiettivo di coinvolgere il 10% degli ultra 65enni. Questo taglio ha comportato il dimezzamento delle Case previste nella prima bozza del PNRR elaborata dal governo Conte2 a gennaio 2021. Questa scelta, oltre a pregiudicare la rete Hub&Spoke, potrebbe aggravare i problemi di gestione amministrativa, di personale e logistici (si pensi solo alla viabilità e alla necessità di parcheggi). Una rete di sole CdC di grandi dimensioni potrebbe riservare due effetti imprevisti, se non perversi:

·  A livello macro al termine del quinquennio alcune regioni si troveranno con una rete di sole macro CdC Hub da 45 mila abitanti circa mentre quelle che ne erano già dotate avranno completato una diversificata e flessibile rete Hub&Spohe, composta di CdC grandi, piccole e medie. Risultato: l’attuale disallineamento tra regioni nella dotazione di strutture e nell’erogazioni dei servizi territoriali resterà invariato, a scapito della popolazione residente nelle aree disagiate già ora svantaggiata per la distanza delle strutture ospedaliere.

·   A livello micro si pensi solo alle difficoltà e ai tempi per gli spostamenti degli operatori sociosanitari dalla CdC Hub verso le abitazioni degli utenti dell’assistenza domiciliare, residenti in un raggio di decine di Km dalla sede della Casa o peggio ancora del Distretto con un bacino di 100mila assistiti.

L’implementazione top down della Missione6 appare inappropriata in quanto prescinde dalle varietà delle situazioni locali di partenza, per caratteristiche geodemografiche, orografiche, culturali, storiche, socioeconomiche etc. Insomma non si riforma la sanità territoriale a base di rigidi ed astratti standard imposti per decreto, come si augurano i paladini di un vetero centralismo amministrativo per rimediare ai “20 servizi sanitari regionali”, ignorando uno dei cardine di una PA efficiente ed efficace: la territorializzazione dei servizi e delle funzioni.

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