venerdì 7 settembre 2018

Presa in carico, come uscire dal vicolo cieco

I punti deboli della Presa in Carico dei pazienti cronici (PiC) sono emersi almeno su 3 fronti:
•             adesioni minoritarie dei MMG alle Coop, inferiori alla metà dei generalisti lombardi
•             numero insignificante di cronici arruolati dai Clinical Manager, specie tra i Gestori privati
•             sostanziale disinteresse per la cronicità delle strutture pubbliche e private

Di conseguenza lo scenario si è evoluto rispetto alle iniziali attese di efficacia della riforma, in particolare sul versante dei Gestori organizzati; la riforma ha scontato una tipica impostazione top-down per il disinteresse dei decisori pubblici verso la consultazione e il recepimento delle indicazioni di chi opera sul campo. Con i dati del semestre di arruolamento le criticità sono diventate evidenti conducendo la riforma in un vicolo cieco, dal quale si sta tentando di uscire con l’apporto propositivo degli ordini dei medici, consultati dall’assessorato in tavoli ad hoc.

Eppure la FIMMG lombarda a fine 2017 aveva prospettato una soluzione razionale, vale a dire la possibilità per i MMG non aderenti alla PiC di redigere il PAI per i propri assistiti cronici ( http://www.quotidianosanita.it/lavoro-e-professioni/articolo.php?articolo_id=57345 ). La regione rispondeva picche approvando la Delibera 7655 del 28 dicembre che introduceva la figura del Clinical Manager (da ora CM) proprio con un ruolo alternativo al MMG non aderente alla Coop, chiudendo ad ogni ipotesi di allargamento della PiC. La proposta sindacale di inserire nell'AIR la compilazione del PAI equivaleva a trasformare di fatto i MMG lombardi in cogestori, in attesa del prossimo ACN che dovrà attuare il Piano Nazional della Cronicità (PNC).

La richiesta sindacale ha avuto il merito di portare in primo piano il tema di una revisione dell'impianto normativo della PiC, in linea con l'impostazione dell'accordo ligure sulla cronicità e nella cornice del PNC. Le prime Delibere sulla PiC hanno sofferto fin dall’inizio di un’ambiguità di fondo, vale a dire la confusione tra sfera clinica e sfera organizzativa; con la quarta Delibera di fine dicembre 2017 tale ambiguità è venuta meno, nel senso che al CM del Gestore sono state affidate entrambe le funzioni, in sostituzione del MMG non aderente alla PiC.

Riprendendo un post di questo stesso blog, risalente alla fine del 2017, si può affermare che il superamento di questa sovrapposizione e dei rischi ad essa connessi è semplice: basta introdurre una chiara distinzione tra CONDUZIONE CLINICA della patologia e GESTIONE ORGANIZZATIVA, con la separazione dei ruoli dei diversi attori, adombrata dalla proposta della FIMMG. Basterebbe affidare la prima esclusivamente al MMG, tramite la compilazione del PAI, e la seconda al Gestore Organizzativo in qualità di erogatore e coordinatore delle prestazioni previste dal PAI.

In pratica, l'assistito polipatologico, dopo la compilazione del il PAI da parte del proprio MMG, potrebbe rivolgersi ad un GESTORE di sua scelta/fiducia per affidargli, previa sottoscrizione del patto di cura, il mandato di organizzare l’erogazione delle prestazioni, nel rispetto dei tempi e delle modalità previste dal Piano Individuale; in tal modo la conduzione clinica del caso resterebbe al MMG. Il CM non può che essere il medico che redige il PAI, ovvero il MMG titolare del monitoraggio degli indicatori clinico-strumentali di processo/esito della patologia, evitando la sovrapposizione confusiva con il Gestore organizzativo.

Al Gestore organizzativo, privato della parte clinica della PiC, spetterebbe la sottoscrizione del Patto di cura, la programmazione ed erogazione delle prestazioni del PAI, la rendicontazione informatica e il contatto con l’assistito per la puntuale esecuzione delle prescrizioni, tramite il call center. Il Gestore organizzativo avrebbe il vantaggio di affidare l’arruolamento dei cronici al MMG per poter più facilmente raggiungere quella massa critica di adesioni necessarie per conseguire l’equilibrio economico.

Gestore e MMG diventerebbero così partner ideali della PiC, ognuno dei quali è in grado di concentrarsi sul proprio punto di forza (la gestione clinica per il MMG e la gestione organizzativa per il Gestore) delegando viceversa all’altro il proprio speculare punto di debolezza (l’organizzazione per il MMG e la clinica per il Gestore). In tal modo il nuovo modello di PiC garantirebbe una razionale distinzione di ruoli, compiti e responsabilità tra i diversi attori, senza rischi di sovrapposizione od estromissione del MMG dalla gestione clinica dei propri pazienti cronici.

giovedì 23 agosto 2018

Pubblicata sul BURL la quinta delibera sulla Presa in Carico

Ecco in sintesi schematica i contenuti della Delibera N. 412 del 2 agosto 2018

1.       In allegato la delibera comprende il Facsimile di contratto per il 2018 dei rapporti giuridici ed economici tra l'Agenzia di Tutela Salute (ATS) e i soggetti gestori accreditati e a contratto o soggetti gestori MMG/PLS in forma aggregata per la PiC dei pazienti cronici;
2.      La remunerazione della tariffa di presa in carico sarà così corrisposta: il 75% alla validazione del PAI, effettuata automaticamente con un algoritmo basato sui set di riferimento, previa fatturazione dell'importo entro il mese successivo, e il saldo finale di competenza al termine della validità annuale del PAl stesso esclusivamente in caso di forme associative di MMG/PLS ed in caso di Gestori accreditati e a contratto con presenza di cogestore; la tariffa di presa in carico si intende al netto della quota del PAl
3.       Si dispone, per quanto riguarda i pazienti ex CreG, che la remunerazione a partire dal 1 gennaio 2018 fino alla data di arruolamento con il nuovo modello sarà pari alla tariffa prevista per la presa in carico, al netto dei 10 euro previsti per il PAl, essendo quest'ultimo gia stato remunerato nel modello CreG, calcolata in proporzione al tempo intercorrente dal 1 gennaio 2018 fino alla data di arruolamento al nuovo percorso;
4.       Alla luce dei primi mesi di attuazione della PiC il termine di 45 giorni, previsto per la fissazione da parte del Gestore dell'appuntamento per il patto di cura e per il PAl, viene modificato nel termine indicativo di 60 giorni; si conferma che, nel caso in cui il paziente disponga di prestazioni sanitarie già prenotate entro 70 giorni dal primo contatto con il gestore, verrà mantenuta tale prenotazione, al fi­ne di non gravare sulla pianificazione delle agende e il gestore provvederà in quell’occasione alla stipula del patto di cura;
5.       Viene dato mandato alle ATS, titolari del trattamento dei dati relativi ai pazienti cronici e fragili, di adeguare la gestione della PiC alle norme europee sulla protezione delle persone fisiche, con riguardo al trattamento dei dati personali.
Al link il testo completo:
https://app.box.com/s/41n9vqwbup9v9opdue5iaay7ivwqpmw7

mercoledì 15 agosto 2018

Vaccinazioni tra scelta razionale, rischi futuri e rimpianti anticipati

Le vaccinazioni sono sempre al centro dell'interesse e del dibattito pubblico, che si è riacceso dopo l'introduzione dell'obbligo vaccinale ai fini dell'iscrizione alla scuola primaria (legge Lorenzin) ed a seguito delle prese di posizione del Governo Conte rispetto a tale obbligo, che hanno rinfocolato l'opposizione dei no-vax alla Legge.
Se i genitori decidessero solo in modo distaccato, a mo' di freddi statistici bayesiani, non si porrebbe la questione del rifiuto dell'immunizzazione, perchè il beneficio atteso è inequivocabilmente a favore della vaccinazione. A dimostrazione di quanto sia influente l’aspetto emotivo sulle decisioni riguardanti la salute, basta ricordare l'effetto che ebbero nel 2014 le notizie sui presunti decessi attribuiti al vaccino influenzale Fluad, con un calo del 30% circa delle adesioni alla campagna vaccinale. E in quel caso si trattava della salute del diretto interessato e non di decidere per un minore come il proprio figlio, con tutti i risvolti psicologici di tale decisione in termini di responsabilità genitoriale e di rammarico per eventuali conseguenze negative della vaccinazione, seppur rare.
Tra gli addetti ai lavori ci si interroga sulle motivazioni che spesso spingono i genitori a rifiutare di vaccinare i propri piccoli, e sulle dinamiche psicologiche alla base di tale decisione, nonostante siano noti i dati sul rischio di gravi complicanze da morbillo, come la temibile encefalite. Si tratta solo di pulsioni "irrazionali" oppure, sotto sotto, si possono intravvedere anche nodi problematici di natura cognitiva razionalmente comprensibili (anche se non condivisibili)? 

Alla base di questa scelta vi è, a mio parere, un'asimmetria temporale del giudizio probabilistico, associata ad una rilevante componente emotiva di avversione al rischio e di bias dello status quo, che hanno alimentato un'errata percezione degli effetti avversi della vaccinazione mediata dall'anticipazione del rammarico. Le successive considerazioni sono un tentativo di chiarificare queste dinamiche cognitivo-comportamentali, senza alcuna simpatia o giustificazione per l'ideologia anti-scientifica del movimento no-vax ed anzi con la ferma convinzione personale dell'utilità delle vaccinazioni per i singoli e per la comunità.

Dal punto di vista della teoria della scelta razionale e della massimizzazione dell'utilità attesa dalle conseguenze, il decisore dovrebbe scegliere di sottoporsi o meno ad una pratica medica seguendo un processo decisionale scandito dalle seguenti tappe:
  • considerare i potenziali corsi d'azione da intraprendere;
  • per ognuno valutare le conseguenze, positive o negative, vantaggi e svantaggi;
  • per ogni esito calcolare la probabilità del suo verificarsi;
  • infine comparare le stime e scegliere l’azione che garantisce la massima resa (la massimizzazione dell’utilità attesa) sia oggettiva che soggettiva.
Nella prospettiva razionale la decisione si configura come un bivio attuale, come un'opzione alternativa al tempo presente, previo bilancio dei rischi/benefici degli esiti immediati o a breve termine della decisione. Gli esempi in campo medico riguardano ad esempio la scelta tra una terapia medica ed una chirurgica, oppure tra due tecniche chirurgiche con diversi rapporti tra benefici e rischi, oppure ancora tra una terapia radiante ed una chirurgica, come nel caso della terapia del Ca prostatico. 

Nel caso della vaccinazione invece si deve confrontare, in termini matematico-statistici, un beneficio a lungo termine (prevenzione della malattia e delle eventuali gravi complicanze) con un rischio presente (effetti collaterali e complicanze del vaccino). In pratica la decisione finale dovrebbe emerge dal raffronto tra i due ipotetici rischi grazie dopo un calcolo probabilistico, astratto e per molti un po' astruso; peraltro il confronto è asimmetrico poichè ad un rischio noto (il numero di effetti collaterali o avversi) si contrappone una duplice probabilità, quella di essere contagiati (ignota e aleatoria) e quella di subire una grave complicanza della malattia (statisticamente nota); purtroppo il computo razionale dei rischi non è accessibile a tutti, ma anzi è a rischio (mi si passi il gioco di parole) di generare incertezze e dubbi condizionati da componenti emotive ben note. 

Per di più sul piatto della bilancia decisionale ha un peso determinante il beneficio sociale sovraindividuale (l'immunità di gregge) rispetto alle considerazioni individuali (l'utilità attesa). Tant'è che proprio le motivazioni di "salute pubblica" hanno giustificato l'introduzione dell'obbligo di legge, di matrice paternalistica, a scapito del principio del consenso informato individuale all'immunizzazione, precedentemente vigente. 
Aderendo alla proposta di vaccinazione il genitore espone consapevolmente il proprio figlio ad un rischio qui ed ora, sebbene molto piccolo; al contrario rifiutando la vaccinazione mantiene lo status quo e proietta la speculare probabilità di contrarre la malattia, con l'eventuale complicanza, in un futuro indefinito ed aleatorio. Di contro la probabilità di gravi complicanze della malattia è più elevata degli effetti avversi da vaccino; nei confronti delle prime però i genitori non avvertono alcun tipo di responsabilità diretta, che invece peserebbe in caso di effetto collaterale da vaccinazione, generando un rimpianto per aver esposto deliberatamente ad un rischio il proprio "cucciolo". 
Nella scelta tra effetti della vaccinazione e rischi della malattia ha un ruolo preminente il fattore tempo che, come abbiamo visto sopra, non rientra nelle normali scelte tra due trattamenti medici di immediata attuazione. Lo scarto temporale tra vaccinazione immediata ed eventuale contagio futuro, con le ipotetiche conseguenze negative, condiziona la valutazione dei rischi/benefici e la scelta pro immunizzazione.  

E' in gioco un bias di valutazione probabilistica condizionato dall'asimmetria temporale dei due differenti rischi: da un lato vi è l’ansia per la messa a repentaglio qui ed ora del benessere del “cucciolo”, per via dei temuti effetti collaterali del vaccino, e dall'altro il rischio di un'ipotetico contagio proiettato in un futuro imprecisato. Ma oltre allo sfasamento temporale tra rischio di effetti collaterali da vaccino e protezione dalle complicanze, entra in gioco l'asimmetria tra rammarico anticipatorio per una perdita di salute e soddisfazione per un guadagno (quella che gli economisti comportamentali definiscono contabilità mentale). 

Come dimostra la teoria del prospetto il rimpianto per una perdita (ad esempio di denaro per un investimento sbagliato) ha una valore doppio rispetto alla soddisfazione procurata da una simmetrica "vincita" finanziaria: da questo squilibrio "emotivo" nasce la cosiddetta avversione per il rischio che si associa spesso al bias dello status quo. Questa tendenza viene amplificata dal fattore fattore tempo, che tende a svalutare vantaggi e benefici collocati in un orizzonte temporale indefinito rispetto al godimento immediato (la cosiddetta scelta intertemporale degli economisti).  Si può facilmente immaginare quanto conti questa asimmetria quando si tratta di decidere se aderire o meno ad una pratica sanitaria rischiosa che coinvolge un figlio, qui ed ora, a fronte di un beneficio in "negativo" (l'evitamento della malattia) cronologicamente imprecisato.

Come suggerisce la psicologia evoluzionistica di fronte ad emozioni profonde, come la paura, c'è poco spazio per considerazioni e argomentazioni razionali, specie di natura probabilistica come il concetto di rischio, spesso fonte di equivoci e bias valutativi. Sulla bilancia decisionale a favore del rifiuto della vaccinazione pesa l'avversione per il rischio basata su due considerazioni sinergiche:
  • una sopravvalutazione quali-quantitativa degli effetti collaterali della vaccinazione - framing decisionale su cui fanno leva strategicamente i no-vax per indurre un bias di negatività - in genere transitori e reversibili ma assimilati a quelli avversi più gravi e irreversibili, per fortuna rarissimi (a parte naturalmente la bufala dell'autismo mai dimostrato);
  • l'anticipazione del rammarico per una scelta che espone deliberatamente il proprio figlio a questi rischi.
Per aderire con convinzione alla vaccinazione, ad esempio anti-morbillo, occorre superare l'asimmetria temporale, vincere lo "spettro" del rammarico e la tendenza allo status quo indotta dall'avversione per la perdita. Se è vero che le mamme non sbagliano mai, parafrasando il titolo del libro del neuropsichiatra Bollea, in questo tipo di scelta l'emozione negativa del rammarico anticipato segnala una differenza tra i due eventi non irrilevante: sui piatti della bilancia decisionale emotiva pesano, da un lato, un evento certo (la vaccinazione) che comporta un rischio di effetti avversi - potenzialmente gravi, seppur rarissimi - mentre sull'altro piatto troviamo un evento futuro ed incerto (l’eventuale contagio della malattia) che a sua volta espone ad un rischio di complicazioni, ma meno probabili rispetto al contagio. 

Il confronto tra le due opzioni è influenzato dalla sinergia tra (i) l’asimmetria probabilistica temporale e (ii) l'avversione al rischio e il rammarico anticipato per l'eventuale "perdita" di salute; tale sinergia gioca psicologicamente a sfavore della decisione deliberata di accettare qui ed ora la vaccinazione, a fronte delle ipotetiche complicazioni di una ipotetica malattia. Insomma l'avversione per il rischio/rimpianto attuale è emotivamente superiore al vantaggio della protezione dal rischio di malattia futura.
Par superare tale asimmetria cognitiva, spiegata "razionalmente" dall'economia comportamentale, devono essere enfatizzati gli effetti "ecologici" e sociali dell'immunizzazione, ovvero le cosiddette esternalità positive della vaccinazione di massa (l'immunità di gregge). Grazie alle campagne vaccinali su larga scala alcuni virus sono stati di fatto eradicati, come è accaduto con poliomielite, vaiolo etc.., mentre una bassa copertura vaccinale nella popolazione ne riattiva la diffusione, come invece pare stia avvenendo negli USA e in alcuni paesi europei. In questo senso l'immunizzazione di massa è equiparabile ad un bene comune, mentre nella decisione di non vaccinare prevalgono le motivazioni strettamente individuali ed "egoistiche". A mo’ di esempio contro-fattuale si immagini cosa sarebbe successo negli anni cinquanta se l'anti-polio non fosse stata obbligatoria!

Infine c’è un dato storico e culturale da non sottovalutare: quando le vaccinazioni erano per legge obbligatorie i genitori, specie le mamme, si sentivano deresponsabilizzati in partenza per eventuali effetti avversi, peraltro accettati e quasi fatalmente messi nel conto. La successiva volontarietà della vaccinazione ha enfatizzatola la percezione della responsabilità individuale per l’adesione alla campagna vaccinale e il conseguente rammarico in caso di problemi. A questo proposito si può quasi evocare il rischio di un effetto controintuitivo del principio di autonomia, del consenso informato e della responsabilizzazione individuale sulle decisioni riguardanti la propria salute. D'altra parte la svolta obbligatoria contraddice una tendenza ultradecennale ad enfatizzare la necessità etica del libero consenso informato dell'interessato per compensare quell'asimmetria informativa su cui si basava il paternalismo medico, nelle due versioni benevola o "autoritaria" e autoreferenziale.
In medicina hanno poco spazio i giudizi definitivi, irrevocabili e tanto meno una presunta certezza scientifica; contano solo le evidenze empiriche ed i dati di fatto, dai quali è doveroso partire per formulare valutazioni ponderate e razionali. Nessuno pretende di avere verità assolute e indiscutibili e tanto meno si illude e illude la gente che possa esistere il rischio 0, ad esempio di effetti collaterali a fronte di un'efficacia garantita a priori e senza alcun rischio. Forse coloro che contestano i vaccini sono invece convinti che esista una (presunta) scienza assoluta e deterministica, garante di esiti incontrovertibile priva di effetti collaterali, imprevisti e rischi minimi etc..

APPENDICE. Teoria delle decisioni, biases e probabilità.

La psicologia cognitiva e l'economia comportamentale sono discipline affini che da qualche decennio si pongono problemi di scelte pratiche simili a quella che devono affrontare i genitori dei cuccioli quando devono decidere se aderire o meno ad una campagna di vaccinazioni. Anzi il caso della vaccinazione è un esempio pratico della discasia messa in evidenza dall'economia comportamentale tra:
  • l' approccio normativo-prescrittivo, fondato sulla teoria della scelta razionale e dell'utilità attesa del cosiddetto homo oeconomicus, sopra schematizzata, in base alla quale per portare a termine una decisione corretta basta conformarsi alle regole e agli assiomi del calcolo delle probabilità che orientano le preferenze del decisore verso l'opzione che massimizza il guadagno o la soddisfazione
  • ed approccio descrittivo "naturale", che si limita ad osservare senza giudicare come la gente normale, in carne, ossa ed emozioni, prende decisioni pratiche, che spesso violano o non si conformano ai prinicipi aulici della scelta razionale, soprattutto per via di una "razionalità limitata" e di alcune anomalie del giudizio probabilistico di cui soffrono molti umani (a questo filone teorico è riconducibile il progetto di ricerca "euristiche e bias", che ha fruttato il premio Nobel per l'economia ad Herbert Simon, Daniel Kahneman e Richard Thaler nel 2017). 
Si tratta di un confronto teorico e pratico che impegna schiere di ricercatori in psicologia ed economia da decenni, nel tentativo di trovare una via d'uscita a questa contraddizione, magari per comprendere l'influenza delle emozioni e fare si che la gente decida in modo più meditato ed appropriato. Come, ad esempio, quando i genitori sono restii a vaccinare i propri figli perchè influenzati da alcuni biases
  • avversione alla perdita propensione per lo status quo
  • bias di negatività
  • asimmetria della valutazione intertemporale o bias del presente
  • affetto frming
  • anticipazione del rammarico
Nel caso della vaccinazione emerge però un nodo problematico che deriva da una RIGOROSA e RAZIONALE applicazione delle regole della scelta razionale; per una corretta valutazione probabilistica dell'utilità della vaccinazione, in rapporto ai vantaggi del non vaccinare, non è sufficiente il raffronto tra la probabilità delle  gravi complcanze del morbillo versus quella degli effetti avversi della vaccinazione altrettanto gravi.

In pratica bisogna considerare anche la probabilità di contrarre il morbillo p(A), che è la condizione non indipendente poter calcolare correttamente anche la probabilità di subire una complicanza p(B); il dato corretto si ottiene moltiplicando le due probabilità: p(A) x p(B).

Se poniamo che vi sia un'immunità di gregge elevata la p(A) sarà piuttosto bassa e quindi il prodotto delle due probabilità porterà ad un rischio ancor più basso di complicanze, nell'ordine o inferiore a quello degli effetti avversi da vaccino p(C) [ammesso che si possa determinare in modo certo la p(A), a partire dall'incidenza annuale del morbillo in una certa nazione o regione].

Se tutti i genitori dovessero fare una scelta secondo questo modello (ponendo che i genitori bayesiani siano una netta minoranza) l'adesione alla vaccinazione oscillerebbe tra questi due estremi probabilistici:
  • in presenza di bassa immunità di gregge converrà fare la vaccinazione, in quanto p(C)< p(A) x p(B), mentre 
  • in caso di alta immunità di gregge sarà conveniente il rifiuto della vaccinazione, in quanto p(C)> p(A) x p(B)
Voglio dire che se si fa leva su argomentazioni razional-probabilistiche per supportare una decisione bisogna utilizzarle in modo rigoroso ed oggettivo, considerando tutte le variabili in gioco e le loro relazioni.

sabato 14 luglio 2018

Bilancio della Presa in Carico dei cronici in Lombardia al primo semestre 2018

La Delibera 7655 del 28 dicembre 2017 prevedeva come attività preponderante nel primo semestre del 2018 l'arruolamento dei soggetti cronici e/o fragili fulcro della nuova modalità di presa in carico. Ad un mese dalla scadenza non sono ancora stati diffusi i dati delle adesioni alla PiC e quindi si possono valutare i risultati ed abbozzare un primo bilancio della riforma a partire dalle cifre provvisorie diffuse nella conferenza stampa del 5 giugno scorso. 

E' assai probabile, visto il black-out informativo sulle adesioni, che i dati finali del semestre non si discostino da quelli già forniti dall'Assessore a giugno ( http://www.quotidianosanita.it/regioni-e-asl/articolo.php?articolo_id=62537 ), vale a dire:
  • pazienti che hanno manifestato interesse alla PiC contattando il call center: 257.998 pari al 8,44% dei 3.057.519 cronici invitati
  • cronici arruolati con patto di cura + PAI: 140.724 pari al 4,6%
  • è probabile che la % di sottoscrizioni del patto di cura si collochi al un livello intermedio tra i due dati precedenti, ovvero attorno al 6,5-7%
Dati dell'ATS di Brescia al 27 giugno 2018, su oltre 350000 lettere inviate:
  • Pz. che hanno espresso manifestazione di interesse: 16729 (di cui 13578 a favore di una Coop di MMG/PLS) vale a dire poco meno del 5%
  • Pz. arruolati con patto di cura: 14305 (di cui 13578 da parte dei MMG)
  • Pz. presi in carico con PAI: 6834 (di cui 6664 da parte dei MMG)
Sulla base di questi dati è possibile abbozzare un primo bilancio della PiC meneghina:
·         l’esito complessivo della PiC, con un’adesione attorno al 7%, rispetto alle 3 milioni di lettere inviate ai cronici, non si può certo definire un successo ed è sicuramente inferiore all’obiettivo atteso, peraltro mai esplicitato pubblicamente, anche se l'Assessore si è augurato di raggiungere il milione di adesioni a fine 2018;
·         la stragrande maggioranza degli arruolamenti sono stati effettuati dai MMG/PLS in Coop, specie con pazienti "provenienti" dai CReG, mentre l’apporto dei Gestori organizzati è insignificante, nell'ordine delle centinaia di arruolati per struttura; in teoria i Gestori ospedalieri avevano un potenziale bacino di utenti superiore alla metà della popolazione, vale a dire i cronici seguiti dai MMG non aderenti alla PiC, mentre nei fatti il loro contributo alla PiC si attesta attorno al 5% dei soggetti arruolati;
·         i cronici arruolati, ovvero coloro che hanno firmato il Patto di cura, calano in modo significativo rispetto a quanti hanno manifestato il proprio interesse alla PiC telefonando al call center (gli abbandoni sono più frequenti tra chi contatta un Gestore ospedaliero privato e minimi per le Coop di MMG);
·         il gap temporale tra il tempo 1 (sottoscrizione del patto) e l’effettiva PiC (redazione del PAI) è significativo, a dimostrazione dell’impegno richiesto per la compilazione del Piano e per l’espletamento di tutte le procedure amministrative ed informatiche previste (oltre all'efficienza della piattaforma informatica, non ancora a regime);
·         l’adesione, com’era prevedibile, è stata superiore nelle ATS che avevano già adottato i CReG, con punte massima del 1o-13% nelle ATS dell'Insubria, di Bergamo e della Brianza, rispetto a quella deludente della altre ATS, con il livello minimo inferiore al 5% in quelle di Brescia e Pavia;
·         la variabilità territoriale dell’arruolamento segnala i problemi della gestione informatica del processo di PiC, soprattutto nelle ATS che dal 2012 non hanno sperimentato i CReG.

PROSPETTIVE DEL SECONDO SEMESTRE 2018

Per quanto riguarda gli sviluppi della PiC nel secondo semestre dell’anno, non sarà agevole raggiungere l’obietto indicato dall’assessore, ovvero l’arruolamento di 1 milione di cronici nel 2018, tenendo conto che
·         le lettere sono già arrivate a tutti i cronici e quindi da settembre mancherà l' “input” per attivare la manifestazione di interesse, specie per i pazienti i cui medici non partecipano alla PiC, che devono per forza contattare un Gestore ospedaliero tramite il Call Center;
·         nei mesi estivi si rallenterà fisiologicamente il processo di arruolamento per la riduzione dell’organico negli ospedali e le vacanze estive di medici e pazienti;
·         con queste premesse da luglio a dicembre, all'attule ritmo di circa 1000 PAI/die x 5 giorni a settimana, si potranno arruolare all'incirca 20mila cronici al mese, ovvero 100-120mila nel semestre (il doppio con i 2000 PAI/die, ritmo previsto dal sindacato);
·         sommando questa cifra ai Patti sottoscritti al 30 giugno (200mila circa) si arriva ad un dato annuo complessivo di circa 300-350mila PAI (che superano il mezzo milone con il ritmo del sindacato);
·         sono annunciate modifiche al processo telematico di PiC, visti i risultati non certo soddisfacenti, che potrebbero influenzare la propensione dei medici ad arruolare i cronici nel secondo semestre dell’anno;
·         in autunno arriveranno a sentenza i ricorsi al TAR promossi da organizzazioni sindacali ed associazioni professionali che potrebbero mettere in discussione la riforma, in tutto o in parte;
·         il rinnovato ACN è in fase di applicazione e probabilmente si discuterà, in sede di AIR, anche la parte normativa della nuova Convezione, che ha formalmente recepito il Piano Nazionale della Cronicità;
·         i CM ospedalieri hanno dimostrato una sostanziale inconsistenza nell'arruolare i cronici dei MMG che non partecipano alla PiC stessa (il 55% circa) e quindi potrebbero essere ridimensionati;
·         il sindacato FIMMG si è detto favorevole alla rivalutazione dei co-gestori che in un primo momento erano stati squalificati se non apertamente contrastati dal sindacato;
·         infine si attendono gli esiti dei tavoli di consultazione avviati con la federazione regionale degli ordini dei Medici che potrebbero apportare cambiamenti significativi alla riforma.
Visti i risultati del primo semestre è improbabile che venga raggiunto l’obiettivo del milione di adesioni fissato dall’Assessore Gallera. Nella seconda metà del 2018 la PiC entra in una fase di incertezza per i probabili aggiustamenti destinati ad entrare in vigore, secondo indiscrezioni, all'inizio del 2019.

giovedì 12 luglio 2018

Considerazioni critiche sulla Presa in Carico al temine del primo semestre di arruolamento (II parte)

"L'ascolto è insostituibile, perchè soltanto attraverso di esso si può conoscere il reale funzionamento di un sistema di interrelazioni umane.[...]. Non si può comprendere una situazione se non analizzando ciò che dicono le persone che la vivono realmente. Mettendosi al loro posto, si coglie la razionalità [dei] comportamenti concreti di persone prese nelle strette di un meccanismo complesso, nel quale hanno responsabilità, ma che non controllano". Michel Crozier, La crisi dell'intelligenza, 1997

2-CRITICITA' DELLA PRESA IN CARICO (continua dal precedente post)

Il filo conduttore delle iniziative regionali in fatto di cronicità è stato nel segno di un profondo pregiudizio negativo nei confronti della professionalità dei MMG, una specie di peccato originale, peraltro mai dettagliato e supportato da dati empirici a dimostrazione del deficit di competenze cliniche, gestionali ed amministrative (si veda il post precedente). Il discredito verso la MG era dato per scontato e soprattutto per condiviso dalla maggioranza dei diretti interessati, cioè i cronici abituali frequentatori degli studi medici sul territorio; evidentemente i decisori regionali erano inconsapevoli che, nel decennio precedente, gli stessi cittadini avevano riservato un elevato ed unanime gradimento per il proprio medico, come dimostrato da svariate ricerche demoscopiche sulla qualità percepita e sulla soddisfazione degli utenti del SSN. Un caso emblematico di discrasia tra "percezioni" della stessa realtà, valutata da punti di vista antitetici, quello astratto delle burocrazie/èlite regionali e quello concreto delle persone coinvolte delle pratiche assistenziali sul territorio. 

Così la PiC si poteva rivelare lo strumento adatto per sopperire alla "mancanza di competenze" dei generalisti, facendo leva su quello che potremmo definire con una metafora idraulica un "effetto tappo di lavabo": una volta rimosso il tappo della vasca, grazie all'introduzione dei Gestori organizzati e della PiC,  il bacino della MG si sarebbe naturalmente svuotato dei cronici insoddisfatti delle prestazioni del proprio curante e ben contenti di rivolgersi al CM delle strutture pubbliche o private, a sua volta ben disposto ad accogliere il flusso di pazienti in uscita dal territorio per confluire nel bacino ospedaliero. I
l cavallo di Troia per by-passare la MG, a favore del Gestore organizzato, era la scelta opzionale del paziente se aderire o meno alla PiC contenuta nella lettera inviata agli oltre 3 milioni di cronici lombardi. Riservando ai cronici, e non al MMG come accade con l'istituto del passaggio in cura, questa decisione strategica si sono create anche le condizioni per il suo progressivo esaurimento temporale. Una volta giunte a destinazione le lettere, nel primo semestre del 2018, nel secondo verrà meno anche l'input per attivare il percorso di PiC, che inizia con la telefonata al Call Center per esprimere la manifestazione di interesse dell'assisto alla PiC stessa. Alla prova dei fatti la rimozione del tappo e il cavallo di Troia non hanno funzionato e l'atteso esodo dei cronici non si è verificato per la sottovalutazione, speculare al pregiudizio negativo verso le cure primarie, del legame sociorelazionale tra assistito e medico della persona sul territorio.

La PiC, per la proverbiale eterogenesi dei fini, si è rivelata un efficace stress test sulla tenuta sociale, sul grado di soddisfazione professionale e sulla stabilità della relazione del MMG con i pazienti cronici, nonchè un’indiretta dimostrazione che costoro percepivano già di essere stati presi in carico dal proprio medico curante. Invece di confluire sul CM, grazie all’eliminazione del “tappo” che impediva loro di rivolgersi ad un professionista alternativo, i cronici hanno riconfermato con l’astensione dalla PiC la relazione fiduciaria con il MMG. Così la PiC si è rivelata un inintenzionale esperimento naturale sull’assetto delle cure primarie, che ha dimostrato i rischi della sottovalutazione della dimensione antropologico-culturale del territorio e di un'ardua e improbabile rottura del legame sociale tra medici e assistiti. 

Inoltre l’esito del semestre di arruolamento ha confutato un’altra tesi, agitata a livello politico con un classico “processo alle intenzioni”: vale a dire l’ipotesi, cara ad alcuni ambienti politici, della PiC come cavallo di Troia per la privatizzazione strisciante e mai esplicita della sanità pubblica, a favore delle Lobby affaristico-assicurative pronte ad accaparrarsi il quasi mercato interno al SSR grazie all'effetto "tappo di lavabo". Nella realtà non solo le strutture private si sono dimostrate fin dall’inizio piuttosto timide verso la riforma - si vedano in proposito le dichiarazioni prudenti del presidente AIOP Lombardia Dario Beretta  - ma nei fatti, dati alla mano, hanno dimostrato la più bassa propensione ad arruolare i cronici, come dimostra il gap tra manifestazioni di interesse e sottoscrizione del Patto. Quando oltre il 50% dei cronici, dopo il colloquio di presentazione del progetto per l'adesione, opta per la defezione dalla PiC non si può che ipotizzare un sostanziale disinteresse se non un implicito disimpegno da parte del Gestore privato. Anche perché le percentuali di Patti firmati con il MMG ed anche, seppur in misura minore, con i Gestori pubblici sono ben diverse e di dimensioni speculari.

Per quanto riguarda gli aspetti gestionali della PiC le procedure informatiche hanno scontato i problemi che incontra all'avvio ogni nuovo progetto di gestione centralizzata delle informazioni. Non sono mancati periodi di stop e disfunzioni varie che hanno condizionato in particolare la redazione telematica del PAI, con tempi ancora poco allineati ad una gestione routinaria delle informazioni cliniche.

Per completare i PAI dei pazienti che hanno sottoscritto il Patto entro il 30 giugno serviranno alcuni mesi di lavoro, tenuto conto del rallentamento delle attività nel periodo estivo. Se poi anche l'arruolamento dovesse essere prolungato fino all'autunno si potrebbe verificare una sorta di ciclo continuo delle procedure della PiC che, terminate a fine 2018, dovranno riprendere a pieno ritmo con l'inizio dell'anno nuovo, con un impegno di tempo e di risorse non indifferente e a scapito del tempo clinico. C'è da chiedersi quale sia il valore aggiunto di procedure farraginose ed impegnative dal punto di vista della gestione dello studio, che suonano dissonanti con l'imperativo categorico della "semplificazione burocratica e amministrativa", vero mantra di ogni dichiarazione programmatica di riforma della pubblica amministrazione.

Gli esiti non brillanti dell’arruolamento semestrale dei cronici lombardi sono riconducibili ad alcune contraddizioni intrinseche al disegno riformatore, sul versante macro e su quello micro, in particolare riguardo al tema dell’appropriatezza organizzativa e dell’integrazione/continuità assistenziale. La prima ambiguità dalla riforma è quella di aver previsto di fatto due diversi regimi assistenziali, tra loro divergenti e disallineati: quello del cronico con MMG aderente alla PiC, in continuità con la precedente gestione della patologia sul territorio, e quello inedito con il CM della struttura, riconducibile all'istituto del "passaggio in cura" ed assimilabile ad un’implicita “ricusazione” del MMG non aderente alla PiC. I pazienti hanno percepito come negativa la seconda opzione conservando, di conseguenza, la relazione con il proprio curante. Basta pensare alle modalità di arruolamento: virtualmente continue per tutto l'anno nel caso del MMG aderente mentre per i Gestori organizzati l'arruolamento è limitato al primo semestre del 2018 in quanto subordinato all'input delle lettere inviate agli assistiti i cui MMG non partecipano alla PiC.

Uno dei nodi problematici del sistema è quello relativo ai rapporti funzionali tra medicina generale e specialistica. Negli anni ottanta e novanta del secolo scorso l’equilibrio sistemico nella gestione della cronicità pendeva a favore dei vari centri specialistici, sorti in tutti gli ospedali, per la cura di diabetici, ipertesi etc..; i Centri si facevano carico in modo "autoreferenziale" di assistiti che potevano essere tranquillamente seguiti dai MMG, con un'evidente duplicazione di compiti, nel segno dell’inappropriatezza organizzativa, di una delega non concordata della MG verso quella specialistica e dello spreco di risorse umane ed organizzative.

Per rimediare alla smisurata crescita dei tempi d’attesa per l’accesso "selvaggio" ai centri specialistici il sistema imboccava la strada del “ritorno al territorio”, vale a dire della “restituzione” al MMG degli assistiti impropriamente gestiti dai centri specialisti, che si potevano quindi dedicare alla presa in carico dei pazienti più impegnativi. Lo strumento culturale ed operativo per favorire tale processo era il PDTA, nel contempo guida clinica e organizzativa per definire una razionale suddivisione dei compiti di cura ed assistenza tra I e II livello e migliorare quindi l’integrazione/continuità del sistema nel suo complesso.

Nel 2018 invece con la PiC il sistema imbocca la direzione opposta, ovvero la contro migrazione verso l’ospedale dei pazienti dismessi nell’ultimo decennio; in teoria essi vengono riaffidati alle cure del Clinical Manager ospedaliero, sulla base della libera scelta del diretto interessato a prescindere dal profilo di intensità clinica, assistenziale ed organizzativa, come stabilivano invece i PDTA. Insomma, un contrordine in piena regola che ribalta di 360° gradi la logica funzionale che aveva improntato le politiche sanitarie nel ventennio precedente.

A questa macro-contraddizione corrisponde quella micro, vissuta in prima persona dai singoli assistiti posti di fronte all’alternativa tra essere seguiti dal proprio medico di MG ed essere invece di nuovo riaffidati ad una struttura specialista, nella persona del CM. Non è difficile comprendere quanto la seconda opzione sia stata percepita dagli interessati come dissonante rispetto all'obiettivo dichiarato di una presa in carico globale ed integrata della propria condizione patologica; la scelta del CM configurava un paziente dimezzato, gestito da due medici a mezzo servizio. Senza contare i prevedibili problemi di continuità assistenziale nel passaggio da una relazione fiduciaria, stabile e personalizzata, come quella con il MMG e quella impersonale e verosimilmente variabile con un anonimo CM del Gestore organizzativo.

2-FINE

mercoledì 11 luglio 2018

Considerazioni sulla PiC al termine del primo semestre di arruolamento (I parte)

Per meglio valutare gli esiti pratici della PiC bisogna risalire al suo progenitore diretto, ovvero il progetto CReG varato con le regole di sistema del 2011. L’allegato 14 della delibera di fine anno dedicata agli esordienti DRG della Cronicità prendeva le mosse da un giudizio poco lusinghiero sulle cure primarie: la realtà dei fatti ha mostrato che l’attuale organizzazione delle cure primarie manca, in termini complessivi, delle premesse contrattuali e delle competenze cliniche, gestionali ed amministrative richieste ad una organizzazione che sia in grado di garantire una reale presa in carico complessiva dei pazienti cronici al di fuori dell’ospedale”.

Tant’è che i CReG intendevano favorire “la crescita di un soggetto in grado di sostenere il confronto con l’ospedale, non solo in termini clinici ma anche gestionali ed organizzativi, andando quindi a creare un polo territoriale forte che possa garantire il nascere della tensione necessaria ad attivare il circuito ospedale l territorio indispensabile per ottenere la gestione delle patologie croniche efficacemente anche fuori dall’ospedale, anzi, usandolo il meno possibile”. In buona sostanza, in barba alla scontata retorica sul “ruolo centrale” di quel periodo, per risollevarsi e gestire al meglio i cronici la MG doveva allineare i propri standard organizzativi e di efficienza/efficacia a quelli dell’ospedale, considerati come una sorta di glod standard e pietra di paragone per valutare l’assistenza territoriale. Così non è accaduto ed anzi, alla fine, i cronici si sono tenuti per primi alla larga dall’ospedale, ricusandone in maggioranza la Presa in carico dei Gestori organizzati.
1-EVOLUZIONE DEL PERCORSO ATTUATIVO DELLA PiC

La PiC del 2017-2018 nasce da questo assunto di base, sotto forma di un pregiudizio negativo e squalificante verso la MG, come una sorta di tenace imprinting organizzativo e manageriale su tutto il processo riformatore, seppur con qualche aggiustamento nel 2017 in corso d’opera, tra una delibera e l'altra, pur senza chiari obiettivi quantitativi e/o priorità nel processo di arruolamento. Il disinteresse misto a diffidenza verso la medicina territoriale è una costante di lungo periodo della politica sanitaria regionale, che inizia con lo smantellamento dei distretti sanitari e continua, dopo i CReG, con il mancato avvio delle forme associative della Balduzzi, in primis le AFT rimaste sulla carta. Così gli intenti programmatici di fondo della PiC hanno fatto riemergere nel 2018 lo spettro che si aggira da decenni tra i MMG, vale a dire la messa in liquidazione delle cure primarie, la chiusura di un comparto ritenuto inadeguato, residuale e quindi facilmente sostituibile. Ecco in sintesi schematica lo sviluppo del percorso attuativo della PiC.
  •     Prima dell'avvio del processo riformatore il messaggio che passava, nemmeno tanto velatamente, durante eventi pubblici di presentazione era in sintonia con la premessa svalutativa dei CReG: se la MG non si fosse fatta carico della croncità, secondo il modello gestionale proposto, sarebbe stata sostituita da altri soggetti pronti ad entrare in campo sul territorio, in sua vece, e destinati prendersi cura dei cronici trascurati dalle cure primarie.
  •     Nella prima delibera tale impostazione era implicita negli scarsi riferimenti al ruolo della MG nella PiC, affidata elettivamente a gestori estranei alle cure primarie per i due primi livelli della stratificazione epidemiologica: insomma c'era poco spazio e futuro per una MG poco professionale ed inadeguata, in sintonia con il severo giudizio dei CReG, a cui affidare al massimo la coorte di monopatologici.
  •     Tuttavia con la seconda delibera l'impostazione top down della prima veniva rivista, dopo interlocuzioni con gli "attori che hanno il potere di resistere o di ostacolare" le riforme, come ammonisce un recente articolo del BMJ elencando i fattori che possono ostacolare il cambiamento. Consultati i sindacati della MG, l’assessorato introduceva una significativa modifica: la possibilità per i MMG in Coop di candidarsi come Gestori della PiC, al pari delle strutture organizzate, anche per gli altri due livelli.
  •     Con la quarta delibera di fine 2017 la controparte, sempre senza la consultazione dei diretti interessati, giocava una nuova carta coerente con il punto 1: veniva introdotta l'inedita figura del Clinical Manager ospedaliero (da ora CM) che nelle intenzioni doveva farsi carico, per conto del Gestore organizzato, dei cronici malamente curati dai MMG non aderenti alla PiC (oltre il 50% dei generalisti lombardi) segnando di fatto la loro auto-emarginazione dal processo riformatore. L’ipotesi era quella di una sorta di migrazione di massa verso il CM della struttura degli assistiti del MMG non in Coop, screditato ed incapace di fidelizzare i propri “clienti”.
  •      L'esito empirico dell’ipotesi sopra descritta è testimoniato dai dati dell’arruolamento al termine del semestre: lo scarso successo complessivo della PiC, in termini di percentuali di adesioni, si trasforma in un evidente flop di scelte a favore del Gestore organizzato da parte dei cronici, mentre i soli che riescono a portare a termine il processo con numeri significativi di Patti/PAI sono i MMG in Coop, nonostante i problemi informatici. Il dato più sorprendente è però il disinteresse dei Gestori organizzati che hanno di fatto snobbato la PiC, specie quelli privati; a loro volta i CM hanno esternato il loro disagio verso la riforma, imposta senza tenere conto dei problemi e delle dinamiche organizzative degli ospedali pubblici, come testimonia la presa di posizione dei primari ospedalieri lombardi.
  •      Visti gli esiti non entusiasmanti, frutto di un cambiamento imposto top-down, i decisori regionali si sono risolti ad "aprire" i tavoli per consultare gli Ordini dei Medici, coinvolgendo gli "attori che hanno il potere di resistere o di ostacolare" le riforme, nel tentativo di rimediare per quanto possibile alle falle della PiC, prima del suo naufragio.
1-Continua nel post successivo

sabato 30 giugno 2018

La gestione delle malattie croniche secondo il Professor Assal

Il professore ginevrino Philippe Assal è il pioniere dell'elaborazione culturale e della pratica assistenziale verso le malattie croniche; da decenni si occupa in particolare di diabete ed è il padre dell’educazione terapeutica di questa ed altre condizioni croniche. Il suo modello formativo e gestionale è un riferimento per tutti gli operatori sanitari ed è stato fatto proprio dall’OMS. Vale quindi la pena di riproporre sinteticamente le sue idee nel momento in cui la gestione della cronicità è al centro dell’attenzione della politica e al vertice dell’agenda pubblica, sia per gli addetti ai lavori che per i diretti interessati.

La tesi di fondo dell’educazione terapeutica è semplice e chiara: l'approccio alla malattia cronica rappresenta per tutti gli operatori sanitari una sfida epocale che obbliga a confrontarsi con vari sistemi di pensiero e di azione, oltre a quello biomedico tradizionale, vale a dire la sfera educativa e psicosociale per un nuovo approccio culturale ed organizzativo alle cure. L’obiettivo è di riallineare i modelli esplicativi della malattia più diffusi e radicati tra la gente, vale a dire la condizione infettiva acuta, con la nuova realtà della malattia cronica, praticamente sconosciuta fino allo sviluppo della medicina scientifica. 

Nell’arco di pochi decenni, grazie alla scoperta e all’uso clinico dell’insulina negli anni trenta del 900, il destino di schiere di malati, come i diabetici ad esordio giovanile, è cambiato quasi “miracolosamente”: da una vita segnata da stenti e non di rado dall’exitus in giovane età, ad una lunga sopravvivenza in buone condizioni, seppur a prezzo di cure e controlli assidui e con il rischio di complicazioni tardive. Il punto di partenza del modello di educazione terapeutica di Assal è la differenza tra condizione acuta e cronicità.

Infatti nella malattia acuta
·         segni e sintomi sono evidenti e si manifestano in modo più o meno repentino;
·         la crisi costituisce un momento critico, talvolta a rischio della vita, e si conclude con la restitutio ad integrum
·         bisogna formulare urgentemente una diagnosi rapida e dare inizio al trattamento terapeutico
·         l’approccio è di tipo riduzionista, si presta attenzione solo all’essenziale
·         il processo diagnostico-terapeutico in acuto è il modello di riferimento della formazione medica e influenza l’identità professionale
·         rappresenta meno del 10% dell’insieme delle visite del medico.

Nella malattia cronica invece
  • la guarigione e/o la restitutio ad integrum di regola non è possibile
  • mancano sintomi evidenti e spesso il decorso resta silente per anni al di fuori delle riacutizzazioni o delle crisi
  • se sono presenti dolori, questi tendono a persistere o a recidivare
  • spesso non vi è correlazione tra sintomi soggettivi e parametri biologici
  • l’evoluzione clinica resta incerta sul lungo periodo
  • può dipendere ed essere influenzata dallo stile di vita e dalle abitudini voluttuarie
Queste differenze hanno importanti conseguenze sull’identità professionale dei medici, sulle aspettative dei pazienti, sulle concezioni e sulle valutazioni di entrambi circa la natura della malattia, la qualità dell’assistenza e gli obiettivi delle cure. Oggi grazie a nuovi modelli di formazione degli operatori e di educazione dei pazienti l’arsenale terapeutico si è arricchito di un nuovo approccio che consente di migliorare il compenso metabolico, ridurre l’incidenza delle complicanze acute e croniche più gravi del diabete. Tuttavia per raggiungere questi risultati è necessario un coinvolgimento e un elevato grado di interazione tra medico e assistito (ad esempio i contatti telefonici sono frequenti) in un contesto organizzativo-gestionale di tipo quasi “militare”.

Secondo il Prof. Assal il cambiamento necessario per seguire i malati cronici è cruciale e comporta una nuova attenzione, da parte degli operatori sanitari, per la persona, le sue idee, la famiglia e l'ambiente sociale. Ognuno di questi livelli sistemici, oltre a quello biologico vero e proprio, può influenzare il decorso della malattia cronica e deve essere preso in attenta considerazione. Occorre un salto di qualità culturale per passare dal mondo biologico (i processi metabolici implicati nella malattia diabetica) a quello psicosociale (il malato nella sua interezza “ecologica”). Questo obiettivo comporta un riallineamento culturale tra i modelli esplicativi della malattia della gente (la cosiddetta ilness degli antropologi medici) rispetto agli schemi concettuali prevalenti a livello di formazione, "incorporati" nelle pratiche assistenziali e nelle organizzazioni sanitarie (il desease, ovvero la concezione biomedica della malattia).

In tutti i paesi e nelle diverse realtà culturali i malati cronici hanno in comune il senso di solitudine per la loro malattia.  I bisogni dei pazienti affetti da una patologia cronica sono ormai noti:
ü  ricevere cure di qualità
ü  avere la possibilità di manifestare attese e timori
ü  confidare che i curanti tengano conto delle opinioni e delle credenze della gente
ü  essere aiutati nel processo di adattamento alla malattia
ü  acquisire un saper fare per gestire la malattia in modo da
ü  conservare l’autonomia potendo nel contempo collaborare con i curanti.

Di conseguenza la relazione tra medico e assistito deve evolvere verso nuove forme che contemplino
ü  la condivisione del sapere e del potere in un modello di rapporto in cui l'operatore accetti di essere "guidato" dal paziente
ü  il superamento del riferimento teorico-pratico alle cure intensive che evoca un medico attivo e un paziente passivo recettore delle prescrizioni
ü  un accordo-compromesso tra schemi concettuali biomedici e credenze-logiche dell'assistito
ü  una nuova sensibilità per i problemi psicosociale e per il mondo della vita dei malati.

Strategie e tecniche di apprendimento, messe in atto nel corso del processo di educazione terapeutica, sono ispirate a queste principi programmatici. Ad esempio è richiesto al medico di adattarsi ai desideri del diabetico, anche se non si può rinunciare all’obiettivo pedagogico per eccellenza, ovvero l’evoluzione delle idee preconcette sulla malattia e il tentativo di integrare le nuove conoscenze con le abitudini di vita.

Assal sottolinea il fatto che le abilità pratiche acquisite dai pazienti sono il prodotto di turbamenti personali che richiedono l’elaborazione di nuovi significati della propria esperienza di malattia. A livello personale ogni malato è uno scienziato che sperimenta la validità dei consigli e delle prescrizioni del medico, ad esempio sospendendo il farmaco per verificarne l'efficacia. Così in certi casi la non-compliance è un processo quasi scientifico di validazione delle cure. La reazione del medico a questi esperimenti deve prendere in considerazione un franco confronto tra credenze del paziente e sapere medico ufficiale.

Per facilitare l'apprendimento è necessaria empatia, un'atmosfera positiva e, talvolta, anche un pizzico di spirito umoristico che non guasta. E’ dimostrato che l'educazione terapeutica riduce le complicanze acute e croniche, le ospedalizzazioni, i costi diretti e indiretti e migliora la qualità di vita della gente. Per raggiungere questi obiettivi si richiede una formazione terapeutica sistematica che superi la frammentarietà di una gestione orientata ad affrontare solo gli aspetti organici ed episodici della malattia.

Purtroppo però nell’attuale assetto dei servizi sanitari non sempre i medici che interagiscono con il diabetico sono in grado di comunicare efficacemente tra loro. E’ quindi necessario che anche l’organizzazione dell’assistenza evolva verso modelli che mettano al centro processi di integrazione e di continuità assistenziale tra i vari attori che si alternano alla cura dei malati cronici in una dimensione sistemica a rete.

L’approccio biomedico tradizionale trascura una dimensione molto importante dell’esperienza di malattia: le idee, le credenze, le attese e i pregiudizi del malato che deve essere aiutato ad esprimere le sue preoccupazioni nascoste. E’ quindi prioritaria una formazione continua che abitui gli operatori sanitari a considerare non solo l’equilibrio metabolico ma anche quello psicosociale e a prestare attenzione alle rappresentazioni mentali del malato, vale a dire i modelli esplicativi ed interpretativi della sua condizione di malato.

sabato 23 giugno 2018

Proposta di revisione della presa in Carico della Cronicità in Lombardia

Dopo la divulgazione dei dati sulla Presa in Carico (PiC) al mese di maggio, a fronte dell'insuccresso della riforma (adesioni inferiori al 5%), si è riaperto il dibattito sulla possibile revisione della modalità di PiC del paziente cronico in Lombardia.

Il punto di riferimento per ovviare alle evidenti criticità della versione meneghina della PiC restano i principi generali e le indicazioni pratiche del Piano Nazionale per la Cronicità (PNC), a cui tutte le regioni devono fare riferimento, a partire dal ruolo di Hub proattivo delle cure primarie e della centralità del Distretto.

Quatto sono i cardini per delineare un modello organizzativo più avanzato, efficace ed appropriato di PiC in sintonia con il PNC:

    adottare una logica qualitativa e funzionale nella valutazione dei bisogni e dell’offerta socio-sanitaria, invece che puramente quantitativa (come la sommatoria delle patologie prevista nella stratificazione dei pazienti della PiC)
    graduare gli interventi medici e l’organizzazione in funzione dell’intensità clinica e socio-assistenziale (il paziente monopatologico può avere un profilo di intensità superiore a quello multipatologico stabile e ben compensato)
    ancorare il modello alle pratiche cliniche, organizzative, informatiche e alla cultura del contesto ecologico-sociale delle cure primarie, intese come punto centrale (hub) dei processi assistenziali (sul modello del Governo Clinico dell’ASL/ATS di Brescia)
    tenere distinta la dimensione clinica affidata al MMG in un’ottica di prossimità - salvo casi di formale passaggio in cura alle strutture specialistiche - da quella organizzativa, delegata ad un Gestore specie per gli assistiti con elevata intensità clinico-assistenziale.

In un'ottica organizzativa eco-sistemica questi principi si traducono in alcune scelte strategiche:

eliminare la figura del Clinical Manager ospedaliero, inidoneo alla PiC, per la sua visione settoriale, salvo pazienti del I livello con situazioni cliniche complesse, come polipatologici, fragili, con frequenti ospedalizzazioni etc... Il MMG è il naturale Clinical Manager responsabile in toto della PiC e del processo clinico-assistenziale specie se affiancato da un Case Manager per i casi complessi;
limitare il PAI ai pazienti multipatologici complessi e fragili, specie in assistenza domiciliare, eliminandolo per i cronici a bassa intensità clinico-assistenziale, per i quali basta applicare il relativo PDTA;
arruolare gradualmente i cronici nell'arco di 2-3 anni, a partire da quelli più "complessi" e ad elevato rischio cardiovascolare, e prevedere il tacito rinnovo annuale della PiC salvo revisione in occasione di complicanze, comorbilità, aggravamenti funzionali etc..;
attribuire ai Gestori esclusivamente funzioni organizzative di erogazione di prestazioni previste dai PDTA e dal PAI per i pazienti polipatologici;
semplificare e ridurre le procedure informatiche (tutte le prescrizioni sono già intercettate dal SISS), prevedendo l'estrazione periodica degli indicatori di processpo/esito dalle cartelle informatizzate dei MMG, per i mono-bi-patologici a basso rischio senza danno d'organo o complicazioni (ipertesi e/o diabetici/dislipidemici);
investire nelle forme associative territoriali (AFT e Unità Complesse), prevedere la diffusione dei Case manager e degli incentivi per il personale amministrativo/infermieristico per favorire la proattività delle cure primarie;
potenziare i CUP, completare la dematerializzzaione delle prescrizioni eliminando il pro-memoria cartaco e applicare concretamente le classi di priorità delle prescrizioni diagnostiche e specialistiche ambulatoriali, attualmente in gran parte disattesi.

Lettera pubblicata in data odierna sul quotidiano BresciaOggi: https://app.box.com/s/gb535oscqj7o06ntyz7gwl09191qy2hm

Brescia giugno 2018

Hanno sottoscritto il presente documento:
Dott.ssa Marialuisa Badessi, MMG a Nuvolera
Dott. Giuseppe Belleri, MMG a Flero
Dot. Giuseppe Beltrami, MMG a Brione
Dott. Francesco Bondioli, MMG a Brescia
Dott.ssa Iside Maria Bono, MMG a Brandico
Dott. Gigi Bonvini, MMG a Borgosatollo
Dott.ssa Annamaria Bottanelli, MMG a Collebeato
Dott. Roberto Cocconcelli, MMG a Gussago
Dott.ssa Barbara Felisetti, MMG a Capriano del Colle
Dott.ssa Adriana Loglio, MMG in pensione
Dott. G.Franco Michelini, MMG in pensione
Dott. Luigi Pialorsi, MMG a Rezzato
Dott. Gianni Piazza, MMG a Botticino
Dott. Dario Pontoglio, MMG a Palazzolo sull'Oglio
Dott.ssa Mara Rozzi, MMG a Brescia
Dott.ssa Francesca Samoni, MMG a Brescia
Dott. G.Paolo Smillovich, MMG a Botticino
Dott. Alessandro Zadra, MMG a Brione