mercoledì 6 gennaio 2016

Specialista sarà lei...ovvero il paradosso della specialità in generalità

Da tempo immemorabile si discute sul carattere più o meno specialistico della MG. Dopo oltre un ventennio di formazione specifica in MG, che ha visto proliferare una miriade di scuole a livello regionale, i neo-generalisti “formati” si affacciano alla professione e rivendicano pari dignità normativa ed economica rispetto ai colleghi ospedalieri. Si tratta di una legittima richiesta fondata più su motivazioni “ufficiali” e certificative e meno sul ruolo professionale effettivo nella pratica extra-ospedaliera. E' indubbio che la formazione specifica in MG abbia migliorato la preparazione dei futuri generalisti, anche se il lascito identitario della generazione di MMG avviata al pensionamento non appare solido, come accade in altri paesi europei di lunga tradizione culturale ed accademica in MG.
La connotazione specialistica della MG è un ossimoro e una contraddizione in termini, visto che per definizione il generalista si interessa più alle persone, nella loro interezza psico-fisica e sociorelazionale, e meno ai loro organi ed apparati. Non si dà uno specialista in generalità proprio perchè la specialità risponde per principio ad una logica di differenziazione in senso prevalentemente riduzionistico, parcellare e sub-specialistico, con l'eccezione di alcune discipline trasversali, come l'etica e la pedagogia medica. L'evoluzione del sapere medico, delle pratiche e delle organizzazioni sanitarie sono pervase dalla tendenza alla differenziate per funzioni specifiche, come vengono definite dai sociologici sistemici le società contemporanee dominate dai processi di differenziazione.
A riprova di ciò basta considerare la nascita della nuova figura del MMG con special interest e all'evoluzione in tal senso della formazione post-universitaria, che è evidentemente in controtendenza rispetto alla formazione specifica “generalistica”, ossia per definizione non specialistica. In futuro avremo quindi due categorie di medici sul territorio: i generalisti-generalisti, tendenzialmente di serie B rispetto ai più blasonati generalisti-special interest. Se la tendenza alla differenziazione è inarrestabile, pervasiva e irreversibile tanto varrebbe orientare in senso specialistica anche il corso di formazione specifica!
Il paradosso della rivendicazione di uno status di “specialista generalista” segnala il tentativo, forse un po' ingenuo, di rinsaldare la fragile identità professionale della categoria, testimoniata dalla mezza dozzina di espressioni succedutesi nel corso dell'ultimo mezzo secolo per denominare il medico del territorio, a partire dall'aura di “medico della mutua” (o di “generico”, in contrapposizione a “specialistico”) che ancora deturpa l'immagine pubblica del MMG. La discrasia tra generalista tutto tondo e con special interest rischia paradossalmente di rimettere in discussione se non di squalificare il rafforzamento identitario della formazione specifica che, bene o male, ha rappresentato una svolta per la comunità professionale italiana. 

Tuttavia la richiesta di status specialistico resta per ora confinato nell'ambito sindacale e normativo, come dimostra la richiesta di pari dignità con gli altri neo-specialisti. Sarà il massiccio ingresso nell'arena territoriale dei neo-MMG “formati” nell'ultima decade, in sostituzione della generazione dei sessantenni in procinto della pensione, a dimostrare l'impatto delle nuove leve sull'immaginario collettivo, sul ruolo organizzativo e sulla dimensione sociale della MG.
La rivendicazione della specialità in MG passa inevitabilmente per l'istituzione di dipartimenti accademici al pari delle altre specialità. Tuttavia è assodato che il contesto del tirocinio è luogo ideale per la formazione del generalista e il suo graduale inserimento nella comunità di pratica a contatto con il MMG tutor; se la dimensione sociale dell'apprendistato è prioritaria per l'acquisizione del sapere pratico e dell'expertise l'insegnamento accademico conta meno della formazione esperienziale nel setting, peraltro quanto mai diversificato e variabile, dell'ambulatorio territoriale. 

Questi concetti sono troppo rilevanti per non meritare un approfondimento, seppure schematicoSecondo gli antropologi Lave e Wenger l’apprendimento, inteso come condivisione di una pratica sociale, situata e distribuita, è la risultante:
  • del coinvolgimento e della “partecipazione periferica legittima” ad un'attività pratica, oltre che di lezioni “teoriche”;
  • in specifici contesti organizzativi e professionali e non in modo astratto e decontestualizzato;
  • dell'acquisizione di un'identità professionale, come esito del processo di graduale partecipazione ed  appartenenza alla comunità di pratica;
  • percorso mediato dalla condivisione di un sapere pratico e di risorse cognitive o strumentali, ossia “linguaggi, stili di azione, sensibilità, modalità ricorrenti di azione e pensiero” e infrastrutture e/o artefatti tecnologici.
Le difficoltà di affermazione accademica della MG sono dovute al fatto che le componenti tacite, contestuali, situate e relazionali sono preponderanti e, nel contempo, dissonanti rispetto al modello biomedico classico, che prevale in ospedale e nell'insegnamento, a parte le consuete eccezioni. Per certi versi la lezione accademica di MG assume un carattere paradossale analogo alla rivendicazione di una rassicurante aura specialistica, utile tutt'al più per non fare “brutta figura” con la gente ed accreditarsi alla pari con i "veri" specialisti. Per accostarsi alla professione di MG una seduta di ambulatorio vale quanto una lezione frontale.
Se il profilo del MMG è quello sopra delineato la dimensione del sapere specialistico, parcellare e riduzionistico passa in secondo piano rispetto al sapere pratico legato all'esperienza e alla condivisione di modalità di approccio, valutazione, intervento, gestione, decisione e soluzione dei problemi; queste abilità afferiscono più che altro al concetto di competenza o expertise professionale, maturata prima nel periodo di partecipazione periferica legittima della formazione specifica e poi proseguita negli anni di professione attiva e con l'educazione continua. Perchè l'identità professionale si acquisisce nella pratica sul campo, con la partecipazione esperienziale e l'appartenenza alla comunità di apprendimento, situata e distribuita nel contesto organizzativo e sociorelazionale della MG. Quindi, più che uno specialista, il generalista "formato" è prima di tutto un esperto o competente nel suo ambito di intervento
Se l'apprendimento non è solo un fatto cognitivo e mentalistico ma la condivisione di un sapere pratico, situato, distribuito, esperienziale, comunitario e sociale ben vengano quindi i tirocini pre- e post- laurea, anche se faranno storcere il naso a qualche accademico, scettico sul fatto che un laureando possa imparare qualche cosa di diverso e di nuovo, rispetto alla lezione frontale, frequentando lo spoglio ambulatorio del generalista.

2 commenti:

  1. Commento:
    condivido l’ossimoro specialista-generalista al quale aggiungerei la natura di fondo antiaccademica della Medicina Generale. Ciò che a mio avviso manca nell’analisi di Belleri è la constatazione che la Medicina dovrebbe essere una sola, nell’interesse dei cittadini, ossia un malessere- bisogno- sintomo-segno dovrebbe avere la stessa possibilità di essere descritto e, se possibile, riconosciuto-etichettato come problema clinico in tutti gli ambiti e ad ogni livello della Medicina. Ho sempre amato il paradigma del decathlon come descrizione della Medicina Generale contrapposto alle singole specialità sportive, non si tratta di antinomie ma di una reale e insostituibile organizzazione “universalistica, inclusiva e solidale” di accogliere-raccogliere-analizzare-descrivere-riconoscere-gestire i bisogni sanitari e non sanitari della popolazione.
    La capacità del MMG non potrà essere definita e certificata una volta per tutte, il MMG riceverà nella migliore delle ipotesi un patentino che certifica la sua capacità di analizzare, raccogliere, indagare, attraverso una semeiotica clinica impeccabile di primo livello (di cui è e resta l’unico medico depositario) ed l’uso di accertamenti di primo livello. Affronterà, risolverà e/o gestirà nel tempo la maggior parte dei bisogni sanitari della popolazione, inviando un “semilavorato” (mi scuso per il termine industriale) al secondo livello delle cure specialistiche di organo o apparato. Rimane ovviamente in parallelo il discorso delle urgenze-emergenze. La sua sfida e anche la sua “condanna” professionale sarà quella di sviluppare e mantenere queste competenze che andranno riviste e tarate periodicamente, accanto alla necessità di aggiornamento a tutto campo che richiede necessariamente una accurata selezione e traduzione pratica delle nuove conoscenze. Il MMG non può essere un tuttologo a rischio di delirio di onnipotenza farlocca ma neppure un riduzionista-sportellista-gatekeeper che trattiene il volgo affinchè gli specialisti non vengano troppo disturbati nei loro ritmi. Il suo ruolo rappresenta però lo snodo e la condizione essenziale per “far girare bene” il sistema delle cure, secondo il principio di una “decrescita felice” del consumismo sanitario. Sempre che questo sia ancora di reale interesse pubblico. E’ indubbio che la parcellizzazione delle risposte, il rimestio dei livelli di cura, la moltiplicazione dei curanti e delle prestazioni produce molti più consumi ed aumenta il PIL della Sanità. Non escludo che questo sia un obiettivo che sta imponendosi nella società tardo industriale, dove contano più gli azionisti che i cittadini.
    9 gennaio 2016 Giancarlo Gatta Michelet

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  2. Mi scuso per il refuso, questa la frase completa circa a metà del testo: Affronterà, risolverà e/o gestirà nel tempo la maggior parte dei bisogni sanitari della popolazione, inviando un “semilavorato” (mi scuso per il termine industriale) al secondo livello delle cure specialistiche di organo o apparato i casi ed i problemi di competenza.
    09.01.2016 Giancarlo Gatta Michelet

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