Ecco in sintesi le raccomandazioni dei pedagogisti medici:
·Non
usare la lezione frontale non interattiva come strumento didattico
principale. Privilegiare invece modalità interattive.
·Non
trattare argomenti di clinica o organizzazione senza considerarne
anche le implicazioni etiche, sociali, economiche,
inter-professionali, le aspettative ed i valori dei pazienti
·Non
utilizzare l'esame orale non strutturato e non valutare le abilità
pratiche unicamente con strumenti di tipo cognitivo
·Non
far apprendere le procedure direttamente sul paziente senza
preparazione inappropriato modello di simulazione
·Non
utilizzare unicamente test di tipo cognitivo ed a prevalente
indirizzo biologico per la selezione all'accesso ai corsi di laurea o
specializzazione.
Si
tratta di affermazioni forti che configurano una sorta di rivoluzione
pedagogica per gli standard del nostro paese e, in quanto tale,
piuttosto difficile da attuare in tempi brevi e senza scontare
l'opposizione di una parte dagli addetti ai lavori. I suggerimenti
degli esperti di pedagogia medica, contrariamente allo spirito
astensionista dell'iniziativa (fare di più non significa fare
meglio), comportano un cambiamento qualitativo e soprattutto
quantitativo, all'insegna del fare di più e del fare meglio. Ad
esempio la classica alternativa alla lezione frontale, vale a dire
l'apprendimento interattivo in piccolo gruppo basato sui problemi
(PBL, problem based learning) comporta per il docente un surplus di
impegno didattico e di tempo, e non certo un “fare di meno”, come
suggerisce implicitamente lo slogan di SM. Insomma per mettere in
pratica le raccomandazioni della SIPeM in positivo si dovrà
insegnare “più meglio”, come dicono i bambini.
Inoltre
sorprende l'insistenza con cui la SIPeM squalifica la componente
cognitiva dell'insegnamento e della valutazione, senza tuttavia
precisare l'alternativa pedagocica, che è un po' il limite di simili
prese di posizione. Evidentemente la pedagogia medica stà un po'
stretta nella cornice metodologica “destruens” dell'iniziativa di
SM, che prevede solo l'indicazione di pratiche cliniche inappropriate
da abbandonare e non la fase “costruens” di alternative
appropriate. La lezione frontale è emblematica dei limiti
dell'approccio cognitivo, individualistico, mentalistico e decontestualizzato
all'insegnamento, che presuppone il passaggio di nozioni,
informazioni e concetti dal docente alla mente del discente,
considerato come un passivo ricettore delle medesime. Il sapere
teorico ed astratto dal contesto viene trasferito nella lezione
frontale da una fonte esperta (insegnante, testo, computer etc..) al
discente, al quale spetta quindi il semplice compito di applicarlo
“tecnicamente” nel proprio lavoro per risolvere i problemi ed
agire con competenza professionale.
Nella
realtà invece l'apprendimento efficace e la competenza esperta sono
sempre situate, vale a dire mediate e contestualizzate in relazione
- alla dimensione spazio-temporale ed epidemiologica della pratica professionale
- alla routine e alle regole esplicite e implicite che governano l'organizzazione
- ai vincoli normativi del sistema sanitario, locale e regionale/nazionale
- alle conoscenze tacite personali e al sapere pratico frutto dell'esperienzia
- alle risorse tecnologiche del posto di lavoro
- alla cultura, alla storia e alle relazioni sociali della comunità di appartenenza
Come
specifica il contributo della SIPeM “la lezione ex cathedra rimane
lo strumento più utilizzato nella formazione medica, dai corsi di
laurea alla formazione continua, spesso nella più completa ignoranza
dei principi elementari della comunicazione e della gestione d'aula”,
ovvero con modalità didattiche “associate a scarsa attenzione da
parte della maggior parte dei discenti e scarsa ritenzione dei
contenuti”. Oltre a queste motivazioni, squisitamente cognitive, la
messa in discussione della lezione frontale poggia sul suo carattere
astratto e decontestualizzato rispetto al sapere pratico e alla
formazione situata.
Una
verifica empirica della modesta efficacia dell'insegnamento teorico
si ha durante il tirocinio post-laurea. Basta esercitare il ruolo di
tutor valutatore del tirocinio propedeutico all'esame di stato per
toccare con mano i limiti dell'insegnamento basato sulla lezione
frontale, specie per quanto riguarda la metodologia clinica ed il
procedimento diagnostico. Svolgendo la funzione tutoriale si avverte
l'importanza del sapere pratico ed esperienziale - rispetto alla
dimensione puramente cognitiva - che i neo-laureati hanno l'occasione
di "sperimentare" nel mese di frequentazione dello studio.
Anche per loro il tirocinio rappresenta un'occasione di apprendimento
sul campo non assimilabile al tirocinio ospedaliero svolto al VI anno
per il suo carattere situato nel contesto territoriale.
Nell'esperienza
del tirocinio si fondono in modo unico, come in un “crogiuolo”,
le componenti cognitive, pratiche, tacite, riflessive e
sociorelazionali della professione, che sono state oggetto di
distinti insegnamenti teorici durante la formazione curricolare,
spesso di buona qualità ma in genere tra loro irrelati. In
particolare la metodologia clinica dovrebbe avere la funzione di
collante delle dimensioni semeiotico-percettiva, inferenziale e
decisionale della pratica clinica; purtroppo non sempre nel contesto
formativo ospedaliero si realizzano le condizioni perché si
concretizzi questo apprendimento interattivo, che riflette inevitabilmente le caratteristiche epidemiologiche delle cure
primarie (alta prevalenza di disturbi minori e auto-limitanti, di
condizioni croniche e di problematiche piso-sociali etc..). Il
tirocinio pre-esame di stato sopperisce a questo deficit in quanto
permette al neo-laureato di venire in contatto con la componente di
sapere tacito, informale e situato della pratica ambulatoriale, che
per sua natura è la parte meno codificabile e trasmissibile del
bagaglio professionale, specie se si utilizzano tecniche didattiche
tradizionali.
Al
momento della valutazione finale il tutor sconta un certo disagio nel
giudicare le abilità e competenze del neo-laureato, che dovrebbe
essere preminenti rispetto alla valenza formativa che viene
impropriamente ad assumere il tirocinio stesso. Il sistema proposto
infatti presuppone una valutazione decontestualizzata della
competenza acquisita, mentre nella realtà fattuale il tirocinio
serve più che altro a colmare le lacune pratiche del neo-laureato,
specie per quanto riguarda il procedimento diagnostico nel contesto
epidemiologico e relazionale territoriale, tema trascurato a favore
della tradizionale semeiotica di tipo ospedaliero.
Non c'è nulla di più utile dell'esperienza sul campo per attivare processi meta-cognitivi, di apprendimento e riflessione nel corso dell'azione, proposti quotidianamente a 360 gradi dai problemi del contesto ambulatoriale. Così il tirocinio da momento valutativo evolve in occasione di apprendimento compensativo della formazione di base, per via dei limiti di una formazione prettamente “cognitiva”, messa all'indice dai pedagogisti medici nella lista "nera" stilata per "Fare di più non significa fare meglio". Come afferma la psicologa sociale Zucchermaglio è "necessario ridare centralità alle pratiche reali con cui le persone imparano e lavorano nei contesti lavorativi e di vita quotidiana e superare una visione razionalista, individualistica ed empiristica dell'apprendimento e della conoscenza".
Non c'è nulla di più utile dell'esperienza sul campo per attivare processi meta-cognitivi, di apprendimento e riflessione nel corso dell'azione, proposti quotidianamente a 360 gradi dai problemi del contesto ambulatoriale. Così il tirocinio da momento valutativo evolve in occasione di apprendimento compensativo della formazione di base, per via dei limiti di una formazione prettamente “cognitiva”, messa all'indice dai pedagogisti medici nella lista "nera" stilata per "Fare di più non significa fare meglio". Come afferma la psicologa sociale Zucchermaglio è "necessario ridare centralità alle pratiche reali con cui le persone imparano e lavorano nei contesti lavorativi e di vita quotidiana e superare una visione razionalista, individualistica ed empiristica dell'apprendimento e della conoscenza".
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