Una
delle caratteristiche della competenza professionale è quella di
sapersi adattare alla specificità del contesto professionale,
epidemiologico, organizzativo etc.. e quindi di “accomodare”
le indicazioni generali di buona pratica clinica alle particolari
condizioni dei singoli assistiti. Abilità che derivano
dall'esperienza pratica sul campo, più che dal bagaglio di nozioni
teoriche. Non
esiste una competenza astratta, decontestualizzata, irrelata rispetto
alle pratiche situate
e alle condizioni
locali;
tuttavia permane
una certa diffidenza nei confronti del medico pratico, spesso
non a suo agio con
statistiche
e formule
matematiche, senza le quali tuttavia
prende innumerevoli decisioni di fronte ai
singoli
pazienti.
Pesa
ancora la squalifica implicita nella gerarchia EBM delle evidenze,
quella piramide che vede al vertice revisioni sistematiche e
metanalisi mentre alla base stanno, appunto, le opinioni degli
esperti. Probabilmente
si tratta di
una squalifica involontaria della medicina pratica, ma di fatto
quella piramide ha finito per svalutare
e ridurre l'auto-stima di chi lavora
sul campo,
ovvero si sporca le mani con la relazione medico-paziente, invece che
con inferenze e formule statistiche,
facendo
affidamento sulle proprie opinioni e valutazioni estemporanee nel
momento della decisione
(per giunta da generalista e non certo da specialista).
Certo,
le opinioni degli esperti della piramide EBM non riguardano micro
scelte diagnostiche o terapeutiche ma considerazioni
generali
ed
evidenze
statisticamente
“oggettive”.
L'equivoco
nasce da
qui:
dal punto di vista delle prove
di popolazione, astratte rispetto al contesto e relative ad
ideal-tipi nosografici
impersonali
- come i
soggetti arruolati
nei trial randomizzati in
base
di
criteri di esclusione - valgono certamente più le conclusioni delle
metanalisi che non le opinioni di un clinico pratico. Ma di fronte a
malati in carne ed ossa, nei contesti decisionali e nelle situazioni
pratiche, specie
alle
prese con casi caratterizzati da varietà, unicità e complessità
polipatologica - come la stragrande maggioranza dei malati comorbidi
- forse
le opinioni del medico
al letto del malato
non
sono meno
importanti
dei risultati dell'ultima
revisione sistematica.
Proviamo ad immaginare uno scambio di ruoli: cosa
succederebbe se un “pratico”
lavorasse
per una settimana in un centro epidemiologico,
ad
elaborare metanalisi, a
fronte della presenza di un epidemiologo
in un ambulatorio di MG sul territorio? Di sicuro il
generalista rischierebbe di combinare un
bel po' di disastri con formule matematiche e statistiche mediche.
Forse
è arrivato il tempo di sdoganare l'approccio
del
“pratico” e le sue opinioni di esperto situato.
Il
presupposto della superiore validità delle metanalisi, rispetto alle
opinioni degli esperti, sta nell'idea che le elaborazioni statistiche
sui grandi numeri sono più aderenti alla realtà rispetto alle
conclusioni di
esperti, ricavate
dall'esperienza individuale,
su
casistiche limitate e non
selezionate.
A questo
proposito,
nelle ultime settimane ho avuto
modo di seguire
tre casi clinici
della stessa patologia cronica
e, riflettendo sulle tre vicende parallele, mi sono reso conto della
grande varietà dei decorsi e delle configurazioni
patologiche.
Praticamente nessuno dei tre era
affetto da una forma “pura” ma
tutti erano
invece portatori
di diverse
comorbilità, le più variegate sia nel percorso
diagnostico-terapeutico
che nella "narrazione"; a dimostrazione che nella pratica
ambulatoriale
le forme pure ed isolate, cioè le diagnosi prototipiche da
manuale,
sono praticamente inesistenti (a
differenza degli
studi clinici che
arruolano solo
candidati filtrati
da rigorosi
criteri di esclusione, ovvero selezionando
popolazioni minoritarie rispetto alla routine delle comorbilità,
specie
geriatriche).
Per
non parlare dell'area grigia di incertezza prevalente
in MG,
popolata da disturbi orfani di diagnosi, sindromi sotto-soglia, stati
al confine tra salute e malattia, soma
e psiche,
disturbi
auto-limitanti e transitori
etc.,
condizioni poco o per nulla “ebiemmizzabili”, per usare il
colorito neologismo coniato da Giorgio Bert.
In sostanza l'approccio
del pratico
è orientato
da studi clinici ed
elaborazioni statistiche
artificiali ed
eccentriche
rispetto alla
realtà fattuale; ciononostante
continuano
ad agire e prendere decisioni con quel tipo di "faro", che
illumina solo una porzione della realtà, ma
di necessità integrata
dalle opinioni maturate in situ e nelle condizioni cliniche
date.
La competenza del medico pratico non deve essere tanto teorica o legata all'aggiornamento continuo sulla letteratura EBM, ma va ritagliata sull'esperienza e sul contesto epidemiologico, nel senso della casistica media che può incontrare nell'attività ambulatoriale quotidiana. Quindi grande sensibilità diagnostica a 360 gradi, specie dei sintomi di esordio e della diagnosi differenziale dei disturbi comuni, e soprattutto capacità gestionale delle patologia ad elevata prevalenza, con delega della gestione agli specialisti per quelle a bassa prevalenza o rare, nei confronti delle quali non può farsi quell'ampia esperienza personale, senza la quale rischia di prendere decisioni poco appropriate.
Il bagaglio di conoscenze e la competenza professionale non sono correlate a nozioni astratte, aggiornamenti e abilità decontestualizzate, ma sono situate nel contesto epidemiologico, relazionale, organizzativo, "antropologico" etc..; in questo senso fa la differenza l'esperienza e la condivisione delle pratiche sul campo, che fanno il medico esperto in MG, ovvero quello che ha fatto e fa esperienza della gestione in situ dei casi e dei problemi prevalenti sul territorio.
La competenza del medico pratico non deve essere tanto teorica o legata all'aggiornamento continuo sulla letteratura EBM, ma va ritagliata sull'esperienza e sul contesto epidemiologico, nel senso della casistica media che può incontrare nell'attività ambulatoriale quotidiana. Quindi grande sensibilità diagnostica a 360 gradi, specie dei sintomi di esordio e della diagnosi differenziale dei disturbi comuni, e soprattutto capacità gestionale delle patologia ad elevata prevalenza, con delega della gestione agli specialisti per quelle a bassa prevalenza o rare, nei confronti delle quali non può farsi quell'ampia esperienza personale, senza la quale rischia di prendere decisioni poco appropriate.
Il bagaglio di conoscenze e la competenza professionale non sono correlate a nozioni astratte, aggiornamenti e abilità decontestualizzate, ma sono situate nel contesto epidemiologico, relazionale, organizzativo, "antropologico" etc..; in questo senso fa la differenza l'esperienza e la condivisione delle pratiche sul campo, che fanno il medico esperto in MG, ovvero quello che ha fatto e fa esperienza della gestione in situ dei casi e dei problemi prevalenti sul territorio.
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