La fine dell'inverno segna il declino dell'influenza e delle virosi respiratorie in genere, peraltro presenti in modo sporadico tutto l'anno, complice l'utilizzo spesso scriteriato dei climatizzatori nei mesi estivi. Le infezioni delle vie aeree sono la prima causa di consultazione in MG e propongono il principale dilemma terapeutico per il medico del territorio: quando è appropriata la prescrizione di un antibiotico?
In teoria l'antibiotico va prescritto in tre casi: nelle forme chiaramente batteriche ab inizio, nelle virosi respiratorie complicate da una sovrainfezione da germi oppure, a scopo preventivo, nei pazienti a rischio per una patologia cronica (diabete, asma, BPCO, scompenso cardiaco etc). Tuttavia alcuni medici per l'incertezza della diagnosi, in presenza di febbre elevata, tosse e/o faringodinia, e per non sottovalutare un'infezione batterica, sono indotti a prescrivere l'antibiotico anche a persone giovani e in buona salute.
In genere il medico, in mancanza di informazioni dirimenti sulla natura del disturbo, propende per un trattamento che lo mette al riparo da un eventuale "errore". Questo atteggiamento riguarda sia la fase diagnostica che quella terapeutica, e rivela il grado di tolleranza per l'incertezza del decisore. In caso di dubbio il medico, piuttosto che attendere l'evoluzione spontanea delle virosi nell'arco di 2-3 giorni, tende ad agire in due direzioni: acquisire nuove informazioni sulla causa dell'infezione, attraverso la prescrizione di indagini eziologiche, e/o iniziando una terapia antibiotica. In questo atteggiamento prudenziale è spesso spalleggiato dal paziente, preoccupato per la propria salute e desideroso di guarire in fretta. In buona sostanza la prescrizione dell'antibiotico compensa un deficit di conoscenza circa la natura dell'infezione in atto.
Purtroppo la prima strategia, ovvero il ricorso a test per una diagnosi differenziale tra virus e batteri non è agevole, ad eccezione delle faringotonsilliti e delle rinosinusiti dove i tamponi per la coltura batterica possono fornire informazioni dirimenti. Tuttavia nelle situazioni acute i tempi tecnici per ottenere la risposta del tampone - almeno tre giorni lavorativi - non consentono di attenderne l'esito prima di instaurare la terapia corretta. In questi casi possono venire in aiuto del medico alcuni score clinici, che si basano sulla rilevazione di parametri come livello della febbre, presenza o meno di dolore o rigonfiamento delle ghiandole linfatiche etc.., che con buona approssimazione consentono di distinguere la faringite virale da quella batterica (streptococco beta emolitico).
Negli altri casi non esistono test affidabili per sciogliere i dubbi sulla causa dell'infezione. In pratica non abbiamo strumenti diagnostici semplici, di facile ed immediato utilizzo ambulatoriale o domiciliare per stabilire l’eziologia di un’infezione delle vie aeree. Questo è il nodo cruciale che condiziona la gestione diagnostico-terapeutica delle infezioni acute delle alte vie respiratorie. Un'altro elemento contribuisce all'incertezza: non esistono cure specifiche per gli innumerevoli virus che si localizzano tra naso e gola, con l'eccezione di alcuni anti-virali parzialmente attivi sul virus influenzale. Una battuta circola a proposito delle terapie per le virosi respiratorie "alte": senza cure il raffreddore guarisce in una settimana ma con le cure in 7 giorni.
In particolare l’associazione tra febbre elevata e tosse insistente spaventa non poco l’interessato e pone il sospetto di tracheobronchite o broncopolmonite, che nelle prime fasi può non dare segni clinici specifici. Proprio per questo alcuni medici, timorosi di “sbagliare”, prescrivono comunque un antibiotico a scopo prudenziale, talvolta per l'esplicita richiesta degli assistiti convinti della sua efficacia a 360 gradi.
Il problema sono le attese non sempre realistiche della gente che sopravvaluta le potenzialità sia diagnostiche che terapeutiche, ritenute efficaci a 360 gradi su tutte le infezioni. Per evitare di sovra-trattare in modo improprio con un antibiotico una virosi respiratoria, e quindi aumentare il rischio di resistenze batteriche, servirebbe invece l'accettazione e la condivisione tra medico e assistito di una parte di incertezza.
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