mercoledì 7 giugno 2017

Le Direttive Anticipate di Trattamento alla luce della pluralità dei valori e dell'etica delle conseguenze

E’ stata approvata da un ramo del parlamento la legge che introduce nel nostro ordinamento le cosiddette Disposizioni Anticipate di Trattamento o DAT. I capisaldi della legge sono tre.

·                     Sulla base della “tutela del diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all'autodeterminazione della persona”, si stabilisce che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge”. 
·                     “Ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso.[…] Ai fini della presente legge, sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l'idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici”. 
·                     “Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un'eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può, attraverso le DAT, esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari”.                                                                                                                                                                     
Le critiche alla legge si appuntano su due argomenti fondativi (http://www.centrostudilivatino.it/le-dieci-ragioni-per-le-quali-la-legge-sulle-dat-stravolge-la-professione-medica/)
·                     l’introduzione del principio della disponibilità della vita umana contro quello, scritto in Costituzione e derivante da secoli di civiltà giuridica, della sua indisponibilità;
·                     la sostituzione del consenso informato, quale “atto fondante” della relazione fra medico e paziente, al principio di beneficialità, che finora ha orientato tale relazione.

1.Le considerazioni che seguono attengono alla sfera etica e bioetica senza entrare nel merito dell’apparato giuridico-normativo della legge legislative sulle DAT. Si farà riferimento, nell’analisi del consenso informato e della DAT, a due cornici culturali mutuate dall’etica e dalla filosofia politica, in particolare al pensiero e alle categorie interpretative di Max Weber (1864-1920) e Isaiah Berlin (1909-1997).

Entrambi gli autori hanno analizzato il cosiddetto pluralismo dei valori e dei principi, l’uno dal punto di vista delle Scienze politiche storico-sociali e l’altro dal versante della storia delle idee: i valori che ispirano le scelte politiche ed individuali, lungi dall’essere universali e necessari, sono caratterizzati da una intrinseca pluralità ed incommensurabilità, nel senso che ogni valore ha una legittimità in sé, e proprio per questo  non sempre vi è coerenza e sintonia tra diversi valori. Anzi spesso vi è dissonanza o aperto conflitto, tanto da proporre al decisore difficili dilemmi morali perché "i conflitti di valore fanno parte dell'essenza di ciò che sono i valori e di ciò che noi stessi siamo". Il cosiddetto monismo, che si colloca agli antipodi del pluralismo dei valori, ritiene al contrario che possa esistere una società ideale nella quale i diversi valori si armonizzano e si integrano in un tutto organico e coerente.

Nell’ambito della bioetica la discrasia o dissonanza tra principi generali è frequente tanto da alimentare i dibattiti e le argomentazioni a favore dell’uno o dell’altro principio in casi concreti. In un certo senso si può affermare che la soluzione dei dilemmi bioetici è la principale attività dei comitati e delle commissioni chiamate a dare il proprio parere su materie specifiche. Le DAT non sfuggono al pluralismo dei valori/principi: il dibattito pubblico si è focalizzato sul contrasto tra sostenitori dell’autodeterminazione del paziente – precondizione del consenso/rifiuto informato – e coloro che privilegiano il principio dell’indisponibilità della vita, evocato nel documento dell’Associazione Livatino. 

La pluralità dei valori e il loro conflitto emerge con evidenza nel caso della legge sulle DAT che risolve il contrasto a favore del principio giuridico dell’autodeterminazione, cioè a vantaggio dell’autonomia decisionale del paziente. Come osserva Sandro Spinsanti l'orientamento filosofico al rispetto per l'autonomia, di derivazione Kantiana, viene interpretato in ambito sanitario "come divieto di interferire nelle scelte autonome dell'individuo per ciò che riguarda vita e morte, salute e malattia, trattamento terapeutico e limiti di questo".

2.Per meglio comprendere la natura del conflitto/dilemma tra autodeterminazione e indisponibilità è opportuno ricorrere ad un altro schema interpretativo, che dobbiamo sempre a Max Weber, ovvero alla distinzione radicale tra Etica delle intenzioni, ma anche delle convinzioni e dei principi, ed Etica della responsabilità o delle conseguenze. Per la prima a guidare le scelte dell’agente prevalgono le (buone) intenzioni, spesso con sfumature religiose, che possono essere assimilate in bioetica al dovere della beneficialità.

All’opposto, nell’etica della responsabilità sono preminenti le valutazioni delle probabili o possibili conseguenze delle scelte individuali e collettive, con la clausola che oltre agli esiti prevedibili, sono da mettere in conto anche effetti imprevisti, controintuitivi o addirittura perversi. Secondo Weber le due etiche sono inconciliabili dal punto di vista della razionalità dei mezzi in rapporto ai fini e asimmetriche riguardo alla prescrittività normativa, che prevale nell’etica delle intenzioni.

La distinzione etica weberiana è il discrimine che separa anche i principi generali della bioetica. E’ facile infatti intravvedere in filigrana i due versanti: da un lato le intenzioni/doveri bioetici, con i principi di beneficialità e non maleficità, e dall’altro l’etica delle responsabilità/conseguenze con i principi autonomia e giustizia distributiva. L’esempio più frequente di conflitto all’interno del pluralismo dei principi bioetici è quello tra una concezione illimitata della beneficialità  verso il singolo malato e il dovere dell’equa distribuzione delle risorse a favore di tutta la popolazione di malati e sani. Le DAT propongono quindi un inedito conflitto tra consenso/rifiuto informato (principio di autonomia decisionale) versus indisponibilità della vita, connotata peraltro più dal punto di vista giuridico che etico. Le DAT risolvono il contrasto tra intenzioni e responsabilità a favore dell'autodeterminazione, nel momento in cui si profila tra i due attori una divergenza di valutazione circa la beneficialità di un’opzione diagnostico-terapeutica.

Non a caso nel documento del Centro Studi Livatino si indica nella beneficialità il corollario dell’indisponibilità della vita, intesa come principio guida delle decisioni, in quanto gerarchicamente sovraordinata rispetto al consenso/rifiuto, ovvero all’autonomia del paziente espressa con le DAT. Va da sè che se le direttive anticipate non contano in virtù dell’indisponibilità della vita - ad esempio per l’interruzione dell’idratazione e dell’alimentazione artificiale - le volontà del cittadino passano in secondo piano rispetto alla beneficialità del medico, chiamato a gestire idratazione e alimentazione contro i desiderata del diretto interessato. Porre a fondamento del rapporto tra medico e paziente la beneficialità, a scapito del consenso/dissenso, significa imporre paternalisticamente l’etica delle intenzioni per dirimere il contrasto tra difformi opinioni circa le conseguenze delle decisioni diagnostico-terapeutiche.

Peraltro anche l’indisponibilità della vita è soggetta ad una gradazione pratica (nel senso della logica fuzzy) e non alla dicotomia tutto/nulla. Si pensi ad esempio ad un paziente che rifiuti consapevolmente un trattamento, per una patologia grave, avente buone possibilità di successo nel senso della guarigione. Il rifiuto informato della cura proposta non equivale forse ad una assunzione di disponibilità circa la sorte della propria esistenza? Il caso della ragazza padovana che nel 2016 rifiutò la chemioterapia per una forma leucemica acuta, grazie al raggiungimento della maggiore età, è in questo senso emblematico. Se è legittimo qui ed ora rifiutare consapevolmente una terapia “salva vita” fino all’exitus, perché non si può dissentire ex-ante in caso di idratazione/alimentazione di un organismo mantenuto artificialmente in vita in quanto privo di una ragionevole speranza di guarigione? 


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