E’ stata approvata da un ramo del parlamento la legge che introduce nel
nostro ordinamento le cosiddette Disposizioni Anticipate di Trattamento o DAT.
I capisaldi della legge sono tre.
·
Sulla base della “tutela del diritto alla vita, alla salute, alla dignità e
all'autodeterminazione della persona”, si stabilisce che “nessun trattamento
sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e
informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti
dalla legge”.
·
“Ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in
parte qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal
medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso.[…] Ai fini
della presente legge, sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione
artificiale e l'idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su
prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici”.
·
“Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione
di un'eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito
adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può,
attraverso le DAT, esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti
sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici
o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari”.
Le critiche alla legge si appuntano su due argomenti fondativi (http://www.centrostudilivatino.it/le-dieci-ragioni-per-le-quali-la-legge-sulle-dat-stravolge-la-professione-medica/)
·
l’introduzione del principio della disponibilità della vita umana contro
quello, scritto in Costituzione e derivante da secoli di civiltà giuridica,
della sua indisponibilità;
·
la sostituzione del consenso informato, quale “atto fondante” della
relazione fra medico e paziente, al principio di beneficialità, che finora ha
orientato tale relazione.
1.Le considerazioni che seguono attengono alla sfera etica e bioetica senza
entrare nel merito dell’apparato giuridico-normativo della legge legislative
sulle DAT. Si farà riferimento, nell’analisi del consenso informato e della
DAT, a due cornici culturali mutuate dall’etica e dalla filosofia politica, in
particolare al pensiero e alle categorie interpretative di Max Weber
(1864-1920) e Isaiah Berlin (1909-1997).
Entrambi gli autori hanno analizzato il cosiddetto pluralismo dei
valori e dei principi, l’uno dal punto di vista delle Scienze politiche
storico-sociali e l’altro dal versante della storia delle idee: i valori che
ispirano le scelte politiche ed individuali, lungi dall’essere universali e
necessari, sono caratterizzati da una intrinseca pluralità ed
incommensurabilità, nel senso che ogni valore ha una legittimità in sé, e
proprio per questo non sempre vi è coerenza e sintonia tra diversi
valori. Anzi spesso vi è dissonanza o aperto conflitto, tanto da proporre al
decisore difficili dilemmi morali perché "i conflitti di
valore fanno parte dell'essenza di ciò che sono i valori e di ciò che noi
stessi siamo". Il cosiddetto monismo, che si colloca agli antipodi del pluralismo dei
valori, ritiene al contrario che possa esistere una società ideale nella quale
i diversi valori si armonizzano e si integrano in un tutto organico e coerente.
Nell’ambito della bioetica la discrasia o dissonanza tra principi generali
è frequente tanto da alimentare i dibattiti e le argomentazioni a favore
dell’uno o dell’altro principio in casi concreti. In un certo senso si può
affermare che la soluzione dei dilemmi bioetici è la principale attività dei
comitati e delle commissioni chiamate a dare il proprio parere su materie
specifiche. Le DAT non sfuggono al pluralismo dei valori/principi: il dibattito
pubblico si è focalizzato sul contrasto tra sostenitori dell’autodeterminazione
del paziente – precondizione del consenso/rifiuto informato – e coloro che
privilegiano il principio dell’indisponibilità della vita, evocato nel
documento dell’Associazione Livatino.
La pluralità dei valori e il loro conflitto emerge con evidenza nel caso della legge sulle DAT che risolve il contrasto a favore del principio giuridico dell’autodeterminazione, cioè a vantaggio dell’autonomia decisionale del paziente. Come osserva Sandro
Spinsanti l'orientamento filosofico al rispetto per l'autonomia, di derivazione Kantiana, viene interpretato in ambito sanitario
"come divieto di interferire nelle scelte autonome dell'individuo per ciò
che riguarda vita e morte, salute e malattia, trattamento terapeutico e limiti
di questo".
La pluralità dei valori e il loro conflitto emerge con evidenza nel caso della legge sulle DAT che risolve il contrasto a favore del principio giuridico dell’autodeterminazione, cioè a vantaggio dell’autonomia decisionale del paziente.
2.Per meglio comprendere la natura del conflitto/dilemma tra
autodeterminazione e indisponibilità è opportuno ricorrere ad un altro schema
interpretativo, che dobbiamo sempre a Max Weber, ovvero alla distinzione
radicale tra Etica delle intenzioni, ma anche delle convinzioni e dei
principi, ed Etica della responsabilità o delle conseguenze. Per la prima a
guidare le scelte dell’agente prevalgono le (buone) intenzioni, spesso con
sfumature religiose, che possono essere assimilate in bioetica al dovere della
beneficialità.
All’opposto, nell’etica della responsabilità sono preminenti le valutazioni
delle probabili o possibili conseguenze delle scelte individuali e collettive,
con la clausola che oltre agli esiti prevedibili, sono da mettere in conto
anche effetti imprevisti, controintuitivi o addirittura perversi. Secondo Weber
le due etiche sono inconciliabili dal punto di vista della razionalità dei
mezzi in rapporto ai fini e asimmetriche riguardo alla prescrittività
normativa, che prevale nell’etica delle intenzioni.
La distinzione etica weberiana è il discrimine che separa anche i principi
generali della bioetica. E’ facile infatti intravvedere in filigrana i due
versanti: da un lato le intenzioni/doveri bioetici, con i principi di
beneficialità e non maleficità, e dall’altro l’etica delle
responsabilità/conseguenze con i principi autonomia e giustizia distributiva.
L’esempio più frequente di conflitto all’interno del pluralismo dei principi
bioetici è quello tra una concezione illimitata della beneficialità verso
il singolo malato e il dovere dell’equa distribuzione delle risorse a favore di
tutta la popolazione di malati e sani. Le DAT propongono quindi un inedito
conflitto tra consenso/rifiuto informato (principio di autonomia decisionale)
versus indisponibilità della vita, connotata peraltro più dal punto di vista
giuridico che etico. Le DAT risolvono il contrasto tra intenzioni e
responsabilità a favore dell'autodeterminazione, nel momento in cui si profila
tra i due attori una divergenza di valutazione circa la beneficialità di
un’opzione diagnostico-terapeutica.
Non a caso nel documento del Centro Studi Livatino si indica nella
beneficialità il corollario dell’indisponibilità della vita, intesa come
principio guida delle decisioni, in quanto gerarchicamente sovraordinata
rispetto al consenso/rifiuto, ovvero all’autonomia del paziente espressa con le
DAT. Va da sè che se le direttive anticipate non contano in virtù
dell’indisponibilità della vita - ad esempio per l’interruzione
dell’idratazione e dell’alimentazione artificiale - le volontà del cittadino
passano in secondo piano rispetto alla beneficialità del medico, chiamato a
gestire idratazione e alimentazione contro i desiderata del diretto
interessato. Porre a fondamento del rapporto tra medico e paziente la
beneficialità, a scapito del consenso/dissenso, significa imporre
paternalisticamente l’etica delle intenzioni per dirimere il contrasto tra
difformi opinioni circa le conseguenze delle decisioni diagnostico-terapeutiche.
Peraltro anche l’indisponibilità della vita è soggetta ad una gradazione
pratica (nel senso della logica fuzzy) e non alla dicotomia tutto/nulla. Si
pensi ad esempio ad un paziente che rifiuti consapevolmente un trattamento, per
una patologia grave, avente buone possibilità di successo nel senso della
guarigione. Il rifiuto informato della cura proposta non equivale forse ad una
assunzione di disponibilità circa la sorte della propria esistenza? Il caso
della ragazza padovana che nel 2016 rifiutò la chemioterapia per una forma
leucemica acuta, grazie al raggiungimento della maggiore età, è in questo senso
emblematico. Se è legittimo qui ed ora rifiutare consapevolmente una terapia
“salva vita” fino all’exitus, perché non si può dissentire ex-ante in caso di idratazione/alimentazione
di un organismo mantenuto artificialmente in vita in quanto privo di una
ragionevole speranza di guarigione?
Bibliografia a richiesta
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