giovedì 12 luglio 2018

Considerazioni critiche sulla Presa in Carico al temine del primo semestre di arruolamento (II parte)

"L'ascolto è insostituibile, perchè soltanto attraverso di esso si può conoscere il reale funzionamento di un sistema di interrelazioni umane.[...]. Non si può comprendere una situazione se non analizzando ciò che dicono le persone che la vivono realmente. Mettendosi al loro posto, si coglie la razionalità [dei] comportamenti concreti di persone prese nelle strette di un meccanismo complesso, nel quale hanno responsabilità, ma che non controllano". Michel Crozier, La crisi dell'intelligenza, 1997

2-CRITICITA' DELLA PRESA IN CARICO (continua dal precedente post)

Il filo conduttore delle iniziative regionali in fatto di cronicità è stato nel segno di un profondo pregiudizio negativo nei confronti della professionalità dei MMG, una specie di peccato originale, peraltro mai dettagliato e supportato da dati empirici a dimostrazione del deficit di competenze cliniche, gestionali ed amministrative (si veda il post precedente). Il discredito verso la MG era dato per scontato e soprattutto per condiviso dalla maggioranza dei diretti interessati, cioè i cronici abituali frequentatori degli studi medici sul territorio; evidentemente i decisori regionali erano inconsapevoli che, nel decennio precedente, gli stessi cittadini avevano riservato un elevato ed unanime gradimento per il proprio medico, come dimostrato da svariate ricerche demoscopiche sulla qualità percepita e sulla soddisfazione degli utenti del SSN. Un caso emblematico di discrasia tra "percezioni" della stessa realtà, valutata da punti di vista antitetici, quello astratto delle burocrazie/èlite regionali e quello concreto delle persone coinvolte delle pratiche assistenziali sul territorio. 

Così la PiC si poteva rivelare lo strumento adatto per sopperire alla "mancanza di competenze" dei generalisti, facendo leva su quello che potremmo definire con una metafora idraulica un "effetto tappo di lavabo": una volta rimosso il tappo della vasca, grazie all'introduzione dei Gestori organizzati e della PiC,  il bacino della MG si sarebbe naturalmente svuotato dei cronici insoddisfatti delle prestazioni del proprio curante e ben contenti di rivolgersi al CM delle strutture pubbliche o private, a sua volta ben disposto ad accogliere il flusso di pazienti in uscita dal territorio per confluire nel bacino ospedaliero. I
l cavallo di Troia per by-passare la MG, a favore del Gestore organizzato, era la scelta opzionale del paziente se aderire o meno alla PiC contenuta nella lettera inviata agli oltre 3 milioni di cronici lombardi. Riservando ai cronici, e non al MMG come accade con l'istituto del passaggio in cura, questa decisione strategica si sono create anche le condizioni per il suo progressivo esaurimento temporale. Una volta giunte a destinazione le lettere, nel primo semestre del 2018, nel secondo verrà meno anche l'input per attivare il percorso di PiC, che inizia con la telefonata al Call Center per esprimere la manifestazione di interesse dell'assisto alla PiC stessa. Alla prova dei fatti la rimozione del tappo e il cavallo di Troia non hanno funzionato e l'atteso esodo dei cronici non si è verificato per la sottovalutazione, speculare al pregiudizio negativo verso le cure primarie, del legame sociorelazionale tra assistito e medico della persona sul territorio.

La PiC, per la proverbiale eterogenesi dei fini, si è rivelata un efficace stress test sulla tenuta sociale, sul grado di soddisfazione professionale e sulla stabilità della relazione del MMG con i pazienti cronici, nonchè un’indiretta dimostrazione che costoro percepivano già di essere stati presi in carico dal proprio medico curante. Invece di confluire sul CM, grazie all’eliminazione del “tappo” che impediva loro di rivolgersi ad un professionista alternativo, i cronici hanno riconfermato con l’astensione dalla PiC la relazione fiduciaria con il MMG. Così la PiC si è rivelata un inintenzionale esperimento naturale sull’assetto delle cure primarie, che ha dimostrato i rischi della sottovalutazione della dimensione antropologico-culturale del territorio e di un'ardua e improbabile rottura del legame sociale tra medici e assistiti. 

Inoltre l’esito del semestre di arruolamento ha confutato un’altra tesi, agitata a livello politico con un classico “processo alle intenzioni”: vale a dire l’ipotesi, cara ad alcuni ambienti politici, della PiC come cavallo di Troia per la privatizzazione strisciante e mai esplicita della sanità pubblica, a favore delle Lobby affaristico-assicurative pronte ad accaparrarsi il quasi mercato interno al SSR grazie all'effetto "tappo di lavabo". Nella realtà non solo le strutture private si sono dimostrate fin dall’inizio piuttosto timide verso la riforma - si vedano in proposito le dichiarazioni prudenti del presidente AIOP Lombardia Dario Beretta  - ma nei fatti, dati alla mano, hanno dimostrato la più bassa propensione ad arruolare i cronici, come dimostra il gap tra manifestazioni di interesse e sottoscrizione del Patto. Quando oltre il 50% dei cronici, dopo il colloquio di presentazione del progetto per l'adesione, opta per la defezione dalla PiC non si può che ipotizzare un sostanziale disinteresse se non un implicito disimpegno da parte del Gestore privato. Anche perché le percentuali di Patti firmati con il MMG ed anche, seppur in misura minore, con i Gestori pubblici sono ben diverse e di dimensioni speculari.

Per quanto riguarda gli aspetti gestionali della PiC le procedure informatiche hanno scontato i problemi che incontra all'avvio ogni nuovo progetto di gestione centralizzata delle informazioni. Non sono mancati periodi di stop e disfunzioni varie che hanno condizionato in particolare la redazione telematica del PAI, con tempi ancora poco allineati ad una gestione routinaria delle informazioni cliniche.

Per completare i PAI dei pazienti che hanno sottoscritto il Patto entro il 30 giugno serviranno alcuni mesi di lavoro, tenuto conto del rallentamento delle attività nel periodo estivo. Se poi anche l'arruolamento dovesse essere prolungato fino all'autunno si potrebbe verificare una sorta di ciclo continuo delle procedure della PiC che, terminate a fine 2018, dovranno riprendere a pieno ritmo con l'inizio dell'anno nuovo, con un impegno di tempo e di risorse non indifferente e a scapito del tempo clinico. C'è da chiedersi quale sia il valore aggiunto di procedure farraginose ed impegnative dal punto di vista della gestione dello studio, che suonano dissonanti con l'imperativo categorico della "semplificazione burocratica e amministrativa", vero mantra di ogni dichiarazione programmatica di riforma della pubblica amministrazione.

Gli esiti non brillanti dell’arruolamento semestrale dei cronici lombardi sono riconducibili ad alcune contraddizioni intrinseche al disegno riformatore, sul versante macro e su quello micro, in particolare riguardo al tema dell’appropriatezza organizzativa e dell’integrazione/continuità assistenziale. La prima ambiguità dalla riforma è quella di aver previsto di fatto due diversi regimi assistenziali, tra loro divergenti e disallineati: quello del cronico con MMG aderente alla PiC, in continuità con la precedente gestione della patologia sul territorio, e quello inedito con il CM della struttura, riconducibile all'istituto del "passaggio in cura" ed assimilabile ad un’implicita “ricusazione” del MMG non aderente alla PiC. I pazienti hanno percepito come negativa la seconda opzione conservando, di conseguenza, la relazione con il proprio curante. Basta pensare alle modalità di arruolamento: virtualmente continue per tutto l'anno nel caso del MMG aderente mentre per i Gestori organizzati l'arruolamento è limitato al primo semestre del 2018 in quanto subordinato all'input delle lettere inviate agli assistiti i cui MMG non partecipano alla PiC.

Uno dei nodi problematici del sistema è quello relativo ai rapporti funzionali tra medicina generale e specialistica. Negli anni ottanta e novanta del secolo scorso l’equilibrio sistemico nella gestione della cronicità pendeva a favore dei vari centri specialistici, sorti in tutti gli ospedali, per la cura di diabetici, ipertesi etc..; i Centri si facevano carico in modo "autoreferenziale" di assistiti che potevano essere tranquillamente seguiti dai MMG, con un'evidente duplicazione di compiti, nel segno dell’inappropriatezza organizzativa, di una delega non concordata della MG verso quella specialistica e dello spreco di risorse umane ed organizzative.

Per rimediare alla smisurata crescita dei tempi d’attesa per l’accesso "selvaggio" ai centri specialistici il sistema imboccava la strada del “ritorno al territorio”, vale a dire della “restituzione” al MMG degli assistiti impropriamente gestiti dai centri specialisti, che si potevano quindi dedicare alla presa in carico dei pazienti più impegnativi. Lo strumento culturale ed operativo per favorire tale processo era il PDTA, nel contempo guida clinica e organizzativa per definire una razionale suddivisione dei compiti di cura ed assistenza tra I e II livello e migliorare quindi l’integrazione/continuità del sistema nel suo complesso.

Nel 2018 invece con la PiC il sistema imbocca la direzione opposta, ovvero la contro migrazione verso l’ospedale dei pazienti dismessi nell’ultimo decennio; in teoria essi vengono riaffidati alle cure del Clinical Manager ospedaliero, sulla base della libera scelta del diretto interessato a prescindere dal profilo di intensità clinica, assistenziale ed organizzativa, come stabilivano invece i PDTA. Insomma, un contrordine in piena regola che ribalta di 360° gradi la logica funzionale che aveva improntato le politiche sanitarie nel ventennio precedente.

A questa macro-contraddizione corrisponde quella micro, vissuta in prima persona dai singoli assistiti posti di fronte all’alternativa tra essere seguiti dal proprio medico di MG ed essere invece di nuovo riaffidati ad una struttura specialista, nella persona del CM. Non è difficile comprendere quanto la seconda opzione sia stata percepita dagli interessati come dissonante rispetto all'obiettivo dichiarato di una presa in carico globale ed integrata della propria condizione patologica; la scelta del CM configurava un paziente dimezzato, gestito da due medici a mezzo servizio. Senza contare i prevedibili problemi di continuità assistenziale nel passaggio da una relazione fiduciaria, stabile e personalizzata, come quella con il MMG e quella impersonale e verosimilmente variabile con un anonimo CM del Gestore organizzativo.

2-FINE

3 commenti:

  1. Personalmente penso che la presa in carico non è una questione ideologica o kafkiana. Ritengo che l'andamento delle sperimentazione in corso in parte coincide con l'analisi prospettata. Credo però che se anche questa misura costituirà l'ennesima occasione mancata, ci resta il problema delle cronicità, ed in particolar modo dei pazienti cronici ed anziani che crescono a ritmi preoccupanti, senza dimenticare che già oggi la cronicità assorbe il 70% della spesa sanitaria ed a fruirne sono solo il 30% della popolazione assistita. Se questo modello non funziona a mio avviso il punto debole è proprio il mancato coinvolgimento significativo e adeguato - troppo pochi - dei Medici di medicina Generale che, al di là, di alcuni volonterosi, la maggioranza si è defilata da ogni impegno rifiutando il prezioso coinvolgimento.
    Ogni progetto per la presa in carico potrà essere lodevole per lo sforzo organizzativo messo in campo ma, se non diventerà sistema efficace ed efficiente per i processi di cura, avremo perso tutti. Quindi il problema è reale, ma lo strumento messo a disposizione non ha convinto troppi soggetti determinati per un reale cambiamento dei processi di cura.
    Non so come se ne uscirà, ma il problema posto è dirimente: o si realizzano percorsi di condivisione e partecipazione per la razionalizzazione, oppure il problema è destinato a peggiorare. In questo caso a rimetterci sarà la collettività e i processi di cura che si sposteranno sempre di più verso settori a pagamento. Pensiamoci, ma soprattutto preoccupiamoci del futuro e delle sue incertezze di una sanità ispirata a principi "universalistici" come prevede l"art 32 della ns Costituzione.

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    1. Non si contesta la necessità della PiC, nello spirito del Piano Nazionale della Cronicità, e nemmeno ci si pone in antagonismo con i colleghi che hanno aderito alle Coop: sarebbe una strategia miope e perdente. Un modello callaudato ed efficace, anche se migliorabile, di gestione della cronicità c'è da oltre 10 anni ed è il Governo Clinico dell'ATS di Brescia:http://m.bresciaoggi.it/territori/citt%c3%a0/presa-in-carico-la-facciamo-da-anni-1.6642820

      Purtroppo la PiC meneghina ha fatto tabula rasa del progetto di Governo Clinico, riportandoci indietro di 13 anni e disperdendo un patrimonio, unico nel suo genere, di esperienza comunitaria e professionale. Bastava rilanciare questa iniziativa al livello regionale e nel giro di un paio di anni i risultati sarebbero arrivati, ma con esiti pratici e un livello qualitativo ed informativo nettamente superiore alla PiC: https://goo.gl/MrLkmW

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  2. La risposta intelligente e sensata mi consente di ricordare e riscoprire che alcuni modelli della PiC già esistevano, vedi sperimentazione Brescia, ma il dilemma è sempre lo stesso: quando si tratta di protagonismo politico anche i modelli virtuali si perdono.
    Tuttavia ha sempre senso parlarne e richiamare i modelli virtuali già conosciuti o sperimentati, è un dovere di informazione e di partecipazione costruttiva, proprio come parla l'articolo, ovvero: tendere al miglioramento valorizzando il già fatto.

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