sabato 28 marzo 2020

Approccio bayesiano a soglia per la diagnosi di Covid-19 sul territorio

Nall'approccio clinico sul territorio al Covid-19 abbiamo 4 risorse informative, variamente combinate e da aggregare:
  • anamnesi "geografica" e familiare (contatti stretti con soggetti già diagnosticati e con sintomi analoghi non ancora diagnosticati)
  • soggettività del paziente: febbre, tosse, dispnea, astenia, ageusia e/o anosmia, mialgie o artralgie, anoressia, nausea, vomito, diarrea, altri sintomi simil-influenzali
  • informazioni cliniche: esame obiettivo cario-polmonare, frequenza cardiaca e respiratoria, stato di coscienza, temperatura corporea e PA, presenza di comorbilità e terapie in atto
  • accertamenti strumentali: saturazione di O2, Rx torace/TC, tampone, esami ematici e sierologici
Ognuno di questi sintomi/segni ha diversa sensibilità, specificità e valore predittivo e quindi la diagnosi emerge dalla loro combinazione, secondo l’incremento bayesiano delle probabilità, da quella a priori (epidemiologica) fino a quella finale a posteriori. La traduzione comportamentale della “cinematica” delle probabilità che più si avvicina al comportamento decisionale sul campo è quella denominata “threshold approach”, ovvero approccio a soglia. Il modello prevede due soglie decisionali: quella minima inferiore, superata la quale si procede alla prescrizione dei test che possono confermare o confutare l’ipotesi diagnostica di partenza, e quella più elevata, oltre la quale si procede al trattamento senza la prescrizione di test in quanto la diagnosi è altamente probabile.

Se le informazioni raccolte con l’anamnesi e l’esame obiettivo sono rilevanti dal punto di vista probabilistico/condizionale (alta sensibilità e specificità dei sintomi/segni) la prima soglia verrà “saltata” e quindi si potrà procedere alla terapia senza ulteriori indugi. Se invece le informazioni cliniche non sono significative (bassa sensibilità/specificità clinico-anamnestica) allora sarà necessario procedere alla prescrizione di test che per la loro significatività possono incrementare o ridurre la probabilità di malattia, facendo toccare la seconda soglia, quella oltre la quale scatta la terapia. La figura illustra graficamente il processo di incremento delle probabilità con le due soglie decisionali. 

E' chiaro che in tempi normali la diagnosi bayesiana emerge dall'incremento probabilistico delle diverse probabilità condizionali, come quelle dei criteri diagnostici ministeriali per il Covid-19 che partendo da uno zoccolo duro di probabilità di base (chiari sintomi + contatto stretto) prevedono come tappa finale della cinematica probabilistica l'esecuzione del tampone (elevata specificità) per la conferma eziologica in ambiente ospedaliero. Con il tempo però i due criteri previsti dal primo protocollo ministeriale sono stati rivisti, mano a mano che è aumentata l'incidenza in alcune zone della Lombardia, Emilia e Veneto e quindi anche la probabilità a priori.
Tant’è che la successiva circolare prevedeva un allargamento dei criteri iniziali: "nell’ambito dell’assistenza primaria o nel pronto soccorso ospedaliero, tutti i pazienti con sintomatologia di infezione respiratoria acuta devono essere considerati casi sospetti se in quell’area o nel Paese è stata segnalata trasmissione locale". Tenuto conto che nella definizione ministeriale di "infezione respiratoria acuta" (insorgenza improvvisa di almeno uno tra i seguenti segni e sintomi: febbre, tosse e difficoltà respiratoria) non rientrano casi paucisintomatici atipici (dalla semplice rinite/anosmia ai disturbi gastroenterici senza febbre) molti pazienti non potrebbero soddisfare i criteri di sospetto.
Tuttavia in tempi di assedio virale non ci si può permettere un approccio a soglia basato su criteri troppo selettivi e altamente specifici che comportano costi e tempi poco appropriati rispetto al contesto emergenziale; serve quindi un processo bayesiano semplificato e meno specifico, specie quando la probabilità a priori (epidemiologica) è di per se già alta e suggestiva di Covid-19 come nelle zone ad elevata incidenza. Quindi bisogna "accontentarsi" dell'apporto informativo della clinica “al telefono”, che è pane quotidiano dei medici pratici sul territorio; ad esempio la diagnosi clinica a mio parere è più affidabile e sensibile in caso di tampone (falsamente) negativo.

In molti casi il sospetto di infezione da Covid-19 viene da sè dopo aver ascoltato i resoconti di febbre prolungata, grandissima spossatezza, inappetenza, nausea e mialgie diffuse, per non parlare dell'anosmia (forse il sintomo più specifico) e della diarrea, per nulla rare e talvolta isolate. Tantè che si è ipotizzato che potrebbe bastare anche un solo sintomo per procedere al tampone. La figura a lato illustra quanto si avvicinano e si allontanano le soglie del test e del trattamento con il variare dell'incidenza/prevalenza della malattia (probabilità a priori).

Insomma il quadro clinico del Covid-19 è poliedrico e l'ipotesi dell'infezione si rafforza via via dopo una veloce anamnesi ed un sommario esame obiettivo, anche grazie al fiuto clinico allenato dall'esperienza pratica di queste settimane. Inoltre dopo l’eventuale conferma diagnostica della saturazione di O2 e/o dell'Rx torace, seppur con i noti limiti di sensibilità nella diagnosi di polmonite interstiziale, è possibile superare in modo ampio la soglia terapeutica senza la necessità del tampone. In un tempo successivo si potranno eseguire i tamponi per dimostrare la guarigione ed evitare che restino in circolazione troppi portatori sani con il rischio contagiare, in modo inconsapevole, altri soggetti specie tra gli addetti a compiti sanitari-assistenziali-emergenziali.

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