La RT è stata messa in discussione, a partire dagli anni ottanta del secolo scorso, dalla consapevolezza “dell’importanza per la pratica reale di fenomeni –
complessità, incertezza, instabilità, unicità e conflitti di valore – che non
si accordano con il modello della razionalità tecnica”. Nella prospettiva riflessiva, definita dal cognitivista Donald Schön, considerando solo la “soluzione tecnica di problemi” si finisce per trascurare “l’impostazione del problema”, che implica la conoscenza implicita nell'azione, processi decisionali e metodologie per un efficace problem solving (https://mega.nz/file/HuB3hYCC#ZhN7CSIO62ZGBeZV5GRorsFioWZrfqL1vJXv8lFjHEM).
Nella pratica sul campo non tutte le situazioni possono essere risolte applicando teorie generali e tecniche standardizzate, poiché alcuni casi non si presentano come problemi “dati” e ben definiti in partenza, ma come situazioni “incerte, complesse, uniche”. Proprio in queste caratteristiche rientrano le questioni di maggiore interesse umano e i problemi più difficili che sfuggono alla standardizzazione delle routine. Schön sostiene che le situazioni connotate da incertezza, varietà, instabilità, complessità o conflitti di valore possano essere affrontate attraverso un processo di riflessione secondo due modalità: la “conoscenza nell’azione” e la “riflessione sull’azione” (http://nuovadidattica.lascuolaconvoi.it/agire-organizzativo/3-la-conoscenza/donald-alan-schon/ )
Nella pratica sul campo non tutte le situazioni possono essere risolte applicando teorie generali e tecniche standardizzate, poiché alcuni casi non si presentano come problemi “dati” e ben definiti in partenza, ma come situazioni “incerte, complesse, uniche”. Proprio in queste caratteristiche rientrano le questioni di maggiore interesse umano e i problemi più difficili che sfuggono alla standardizzazione delle routine. Schön sostiene che le situazioni connotate da incertezza, varietà, instabilità, complessità o conflitti di valore possano essere affrontate attraverso un processo di riflessione secondo due modalità: la “conoscenza nell’azione” e la “riflessione sull’azione” (http://nuovadidattica.lascuolaconvoi.it/agire-organizzativo/3-la-conoscenza/donald-alan-schon/ )
Nelle situazioni reali «i problemi non si presentano al professionista come dati. Essi devono essere costruiti a partire dai materiali di situazioni problematiche che sono sconcertanti, turbative, incerte. Per trasformare una situazione problematica in un problema, il professionista deve svolgere un certo tipo di lavoro». Il
professionista deve riequilibrare e ricomporre la tensione tra
una conoscenza schematica a priori, acontestuale e spesso rigida, e un sapere
pratico in azione, cioè situato nel contesto, flessibile e dinamico. Per risolvere il dilemma tra agire secondo standard d' azione prefissati o secondo un principio di pertinenza rispetto al singolo caso si può ricorrere
a due forme di riflessione
- una
sorta di conversazione con la situazione problematica, quando il professionista è impegnato nel
tentativo di trovare soluzioni immediate
- la riflessione a posteriori sull’azione, di carattere meta-cognitivo, grazie allo scarto temporale, al distanziamento critico ed emotivo rispetto all’urgenza dell’agire.
Nel
tentativo di comprendere le criticità emerse nella gestione della pandemia da
covid-19 utilizzerò le categorie proposte da Schon per caratterizzare il
problem solving individuale del professionista riflessivo nel contesto della pandemia. Si tratta di
un’analisi ex post, ovvero una ricostruzione con il senno di poi, di come è
stata affrontata collettivamente l’emergenza pandemica attraverso il metodo per
tentativi ed errori, che mai come in questa occasione è risultato evidente (e sconcertante) per
l’opinione pubblica. Il sistema e i professionisti sanitari hanno dovuto fronteggiare una situazione epidemica
unica, di imprevedibile complessità, fonte di incertezza a vari livelli,
instabilità e tensioni per la tenuta della rete ospedaliera e territoriale, come mai era accaduto nell'ultimo secolo. Ecco il suo schematico profilo.
Incertezza.
Ha punteggiato tutta l’evoluzione della
pandemia, sia a livello di scelte ministeriali che di valutazioni cliniche
individuali e degli epidemiologi.
- All’inizio dell'epidemia l'incertezza era correlata alla sovrapposizione tra criteri diagnostici ministeriali schematici (sintomi + provenienza geografica) e la concomitante coda dell’epidemia influenzale; la compresenza tra primi casi di Covid-19 e sindrome influenzale ha ingenerato confusione diagnostica, probabilmente all'origine di alcuni fatali contagi tra i medici del territorio, recatisi al domicilio dei pazienti senza adeguate protezioni individuali;
- l’impossibilità di prescrivere sul territorio il tampone naso-faringeo, per discriminare tra le due virosi, ha accentuato i dubbi dei medici pratici; l'incertezza è stata enfatizzata dal carattere poliedrico delle manifestazioni cliniche non comprese nei criteri ministeriali di definizione del caso sospetto (basti pensare ai sintomi gastrointestinali e all'anosmia/ageusia) rivisti ripetutamente rispetto a quelli di febbraio ma pur sempre schematici;
- infine nell’ultima fase dell’epidemia, per la diffusione dei tamponi e del dosaggio anticorpale, è mutato il contesto epidemiologico ed è cresciuta l’incertezza circa la valutazione quotidiana dei nuovi casi comunicati dalla Protezione Civile. In realtà dal mese di maggio sono stati registrati in prevalenza casi di soggetti asintomatici contagiati nei mesi precedenti: agli effettivi nuovi pazienti sintomatici, peraltro scarsi e di lieve entità, si sono aggiunti i tamponi positivi riscontrati in prevalenza tra soggetti IgG positivi e quelli individuati con lo screening di massa del personale sanitario, dei candidati a ricoveri chirurgici, degli accessi in PS, dei ricoverati etc..
All’incertezza clinica sopra schematizzata si è aggiunta quella epidemiologica
sull’origine della pandemia in Italia, con una datazione variabile dei primi
casi sia in Europa sia in Cina, e quella sull’interpretazione clinica del
tampone in relazione alla quantificazione della carica di RNA. Con indagini di
biologia molecolare più approfondite è stata documentata una grande variabilità
nella carica virale, assai elevata ed altrettanto contagiosa nelle prime fasi
cliniche piuttosto che a basso rischio negli asintomatici.
Unicità e varietà.
La sintomatologia e il decorso della pandemia hanno avuto una poliedricità clinica sconosciuta nelle precedenti epidemie influenzali, si è scontrata con la rigidità dei criteri delle circolari ministeriali per la denuncia di un caso sospetto e per la prescrizione del tampone diagnostico. L’anosmia/ageusia, segnalata clinicamente fin dalla metà di marzo, è stata ignorata dalle circolari ministeriali fino alla metà di maggio, pur essendo il sintomo più specifico tra quelli attribuibili alla malattia da Covid-19 tanto da renderlo quasi patognomonico.
Instabilità.
L’evoluzione della pandemia nell'arco di tre mesi, documentata dalle statistiche sui nuovi casi, ricoveri in terapia intensiva, guarigioni, dimissioni ospedaliere, segnalazioni alle USCA ha cambiato radicalmente lo scenario epidemiologico e clinico rispetto all’ondata iniziale; a questa instabilità si è aggiunta anche quella dell’evoluzione clinica, imprevedibile nei singoli casi ricoverati in rianimazione, con aggravamenti improvvisi e spesso fatali di difficile interpretazione fisiopatologica.
Complessità.
Si è manifestata a livello di interazione tra
virus ed ospite con interpretazione fisiopatologiche che si sono susseguite
nelle settimane in relazione alle nuove acquisizioni della ricerca. La prima interpretazione della polmonite interstiziale come infiltrato infiammatorio è stata superata dall'osservazione del ruolo pro-trombotico del virus in vari organi a partire dal parenchima polmonare.
Conflitti di valore.
Si sono manifestati a due livelli: con il dilemma
dell’appropriatezza nella richiesta del tampone diagnostico, nel caso 1 all’ospedale
di Codogno il 20 febbraio, e con la gestione dei casi più gravi in terapia
intensiva nel picco epidemico di marzo. A Codogno è stato grazie ad una
violazione delle regole prescrittive ministeriali, circa l'appropriatezza del tampone naso-faringeo, che la dott.ssa della terapia
intensiva ha risolto il caso della strana polmonite che da alcuni giorni aveva
condotto il paziente 1 ripetutamente in ospedale e messo a dura prova le
abilità diagnostiche dei sanitari. Durante la fase di maggior afflusso in TI i medici hanno dovuto fronteggiare difficili situazioni decisionali per la sproporzione tra la domanda e l'effettiva disponibilità di respiratori per tutti i ricoverati. Anche la terapia farmacologia, in assenza di trial clinici sull'efficacia dei farmaci, ha proposto un dilemma etico-deontologico tra necessità di intervenire in situazioni di grave pericolo per la vita e mancanza di prove scientifiche a supporto di alcuni trattamenti, se non altro riguardo alla loro sicurezza come nel caso del Plaquenil.
CONCLUSIONI. Il paradigma dell'epistemologia della pratica e il modello del professionista riflessivo possono essere utili per interpretare sia le scelte cliniche individuali sia la gestione pubblica della pandemia da Covid-19.
CONCLUSIONI. Il paradigma dell'epistemologia della pratica e il modello del professionista riflessivo possono essere utili per interpretare sia le scelte cliniche individuali sia la gestione pubblica della pandemia da Covid-19.
Bibliografia
Schön D.A. (1993). Il professionista riflessivo. Bari: Edizioni Dedalo.
Schön D.A. (2006). Formare il professionista riflessivo. Per una nuova prospettiva della formazione e dell’apprendimento nelle professioni. Milano: FrancoAngeli.
Striano M. (2001). La razionalità riflessiva nell’agire educativo. Napoli: Liguori.
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