ll concetto di appropriatezza si rivela il cavallo di Troia utilizzato a
360 gradi per condizionare e censurare le prescrizioni mediche in
base a logiche finanziarie. Mentre la ministra della Salute si
affanna a dimostrare che il decreto Appropriatezza prescrittiva non
mira ad un risparmio economico
le cronache sanitarie locali informano di interventi contro MMG
accusati di presunta iperprescrizione inappropriata di farmaci, per via dello
scostamento individuale rispetto alle medie di spesa dell'ASL o
regionali. L'argomento è tornato prepotentemente d'attualità a
seguito della recente pubblicazione dell'elenco delle prestazioni
diagnostiche previste dal cosiddetto Decreto Lorenzin, oggetto di
contestazione da parte di tutto lo schieramento sindacale medico. La
valutazione dell'appropriatezza di un intervento sanitario scaturisce
dalla combinazione di tre considerazioni
- la prescrizione dell'accertamento diagnostico o del farmaco al paziente giusto, nel momento giusto secondo le indicazioni accreditate della letteratura
- tenendo conto del rapporto tra benefici attesi e rischi potenziali
- evitando sia il sovrautilizzo che il sottoutilizzo di indagini diagnostiche o di farmaci.
Per definizione la valutazione corretta dell'appropriatezza prescrittiva deve essere condotta nei singoli casi e, in quanto orientata alla dimensione individuale, nulla ha a che fare con il rispetto ragionieristico di parametri statistici medi nella popolazione. Questo concetto risulta più chiaro se si considera l'appropriatezza prescrittiva delle prescrizioni diagnostiche: l'eventuale accusa di inappropriatezza, con le relative sanzioni previste dal Decreto Lorenzin, potrebbe scattare solo nel caso in cui l'esame prescritto non rientrasse tra i criteri previsti dalla Nota per il singolo paziente e non tra tutti gli assistiti in carico al singolo medico. L'appropriatezza ha una connotazione qualitativa individuale (il farmaco o l'accertamento giusto nel paziente giusto al momento giusto) e non quantitativa sulla popolazione (le medie finanziarie). Se un esame è stato prescritto in modo appropriato o meno, nel sospetto di una patologia specifica, lo si può stabilire solo in relazione al singolo caso clinico e non certo in riferimento ad una coorte.
Ad
esempio ad un medico potrebbe essere contestata l'inappropriata
prescrizione dell'elettroforesi proteica e della calcemia, per il
monitoraggio di una gammopatia monoclonale, in quanto tale condizione
clinica non è contemplata tra quelle elencate nelle relative Note.
Tale contestazione potrebbe essere formulata solo ad personam e non
in base alle medie prescrittive della calcemia e dell'elettroforesi
proteica nelll'intera popolazione assistita. Anche l'ipotesi di
ipo-prescrizione risulta più evidente se rapportata al settore degli
accertamenti clinici: ad esempio un deficit nel monitoraggio dei
parametri metabolici nel singolo diabetico, rispetto alle indicazioni
di buona pratica clinica dei percorsi diagnostico-terapeutici,
potrebbe dare adito all'”accusa” di inappropriatezza per difetto
che, abbinata ad una ipoprescrizione di farmaci antidiabetici,
potrebbe anche portare ad un ricovero per diabete scompensato.
Il
problema in questo delicato settore sta negli accordi aziendali su
cui si basano le contestazioni delle commissioni ASL per
l'appropriatezza: se i sindacalisti accettano la logica della cornice
finanziaria centrata sulle medie di spesa, come parametro di
riferimento per la valutazione dell'appropriatezza, allora si aprono
ampi spazi per le iniziative inquisitorie dei funzionari ASL. Bisogna
invece spostare il baricentro della valutazione dal versante
finanziario a quello scientifico e culturale, ovvero sulle scelte
prescrittive e sugli esiti di salute a fronte della tipologia dei
pazienti in carico, in relazione alle buone pratiche cliniche
suggerite dalle linee guida e dai PDTA, comprovate dai dati estratti
dai data-base professionali. Se mancano queste condizioni si finisce
per subire passivamente i diktat finanziari di funzionari, che non
hanno un'adeguata preparazione e non dispongono degli indicatori
clinici per poter valutare l'operato del MMG sotto il profilo degli
esiti di salute. In queste circostanze la linea difensiva per
rispondere alle accuse si articola in 3 tipologie di dati estratti in
modo analitico dal SW professionale, in una sequenza gerarchica che
va dal generale al particolare:
1-La
composizione
anagrafica
degli assistiti: se un MMG dimostra di avere in carico un numero di
over65, grandi anziani, invalidi civili e con accompagnamento
superiori alla media dell'ASL è già sulla buona strada, poichè i
consumi sono correlati con queste variabili di per sè, cioè
indipendentemente da altri parametri per via della progressione delle
malattie croniche correlata all'aumento dell'età media della
popolazione assistita.
2-La
prevalenza
delle patologie croniche:
se un MMG ha ad esempio una prevalenza del 10% di diabetici - vale a
dire un 30% circa in più rispetto alla prevalenza media dell'ASL -
già questo semplice dato, peraltro correlato al precedente,
giustifica uno sfondamento proporzionale delle prescrizioni di
farmaci rispetto alla media ASL. Idem per quanto riguarda le più
frequenti complicanze CV come by-pass, PTCA, insufficienza renale ed
alcune patologie a bassa prevalenza (dializzati, emofilici, assistiti
con malattie rare, immunodeficit, disabili, trapiantati, malati
terminati, polipatologie invalidanti, epatiti croniche etc..). Va da
sè che le medie individuali di spesa si distribuiscono
statisticamente in modo gaussiano in relazione al case mix
epidemiologico individuale e ai comportamenti prescrittivi.
3-La
prescrizione
di farmaci suggeriti, con nota AIFA o piano terepautico.
Questo è il terzo fronte difensivo, quello più specifico: se un MMG
utilizza in modo puntuale la funzione origine spesa (mi riferisco
ad esempio al programma Millewin) può dimostrare che la prescrizione
di alcuni farmaci costosi è stata indotta dallo specialista, in
particolare per quelli soggetti a Piano terapeutico specialistico. Un
esempio paradigmatico è quello dei colliri anti-glaucoma: è
evidente che non si può imputare un eccesso di spesa al MMG dal
momento che non ha alcun ruolo nella diagnosi e nel monitoraggio
terapeutico dell'ipertensione oculare, fattore di rischio gestito in
toto e in completa autonomia dall'oculista. La spesa indotta o
gestita dalle strutture specialistiche andrebbe detratta dai "conti"
del MMG, specie per alcune categorie di farmaci ATC, come le molecole
soggette a Piano terapeutico (interferoni, anticoagulanti di ultima
generazione, anti-neoplastici, ormonali, fattori di crescita
ematologici e della coagulazione, immunomodulatori etc..).
Per
finire due esempi pratici per dimostrare che non conta tanto il
confronto astratto tra parametri finanziari ma il raffronto tra le
medie di spesa e i comportamenti prescrittivi, a fronte delle
prevalenze delle patologie croniche e delle buone pratiche cliniche.
Un medico potrebbe risultare ipo-prescrittore perchè ha una bassa
prevalenza di diabetici o ipertesi nella propria popolazione, oppure
perchè ha una prevalenza in linea con le medie statistiche ma
utilizza in misura superiore alla media farmaci generici. Entrambi
potrebbero essere giudicati ipo-prescrittori, ma per motivi
antitetici: il primo perché trascura di fare diagnosi di diabete o
ipertensione, mentre il secondo al contrario essendo in linea con le
prevalenze attese nella popolazione generale, perchè privilegia
correttamente alcune categorie ATC rispetto ad altre.
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